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LA STORIA DI MASS EFFECT

Edmonton, settembre 2003. Stiamo percorrendo un’ampia strada a sei corsie che abbraccia la periferia della città, e nel panorama vagamente desolato, fatto di basse strutture a uno o due piani, notiamo un piccolo ristorante in tipico stile greco, la classica combinazione di bianco e azzurro a ornare la facciata.Tre clienti stanno prendendo posto all’interno, cercando di scaldarsi dal gelo autunnale.  

Da una parte del tavolo siedono Ray Muzyka e Greg Zeschuck. Sono noti come “the doctors”, i dottori, e per una buona ragione. Dopo anni passati alternando l’attività medica all’hobby della creazione di videogiochi, nel 1995 hanno deciso di fare sul serio in quest’ultimo campo fondando Bioware.Seduto di fronte a loro c’è Casey Hudson, poco meno che trentenne, game designer. Ancora non può saperlo, ma il gioco sul quale ha appena finito di lavorare come project director è destinato a passare alla storia. Star Wars: Knights of the old Republic riscuoterà a breve un buon successo di vendite, ma la sua eredità verrà ricordata e celebrata fino ai giorni nostri.I tre parlano del più e del meno in attesa del cibo, ma ad un tratto Casey appoggia sul tavolo un foglio bianco redatto fittamente, sulla cui intestazione campeggiano tre grosse lettere: SFX. I Dottori lo guardano con aria interrogativa, non sapendo che questo momento è stato in realtà abilmente architettato, e Casey rompe il silenzio con un discorso che si è preparato con cura.

Ray, Greg: avete creduto moltissimo in me, e avete fatto un’enorme scommessa mettendomi a capo di Knights of the Old Republic. E’ arrivato il momento di parlare del futuro di Bioware, e penso che possa essere scritto su questo foglio."

E di cose, su quel foglio, ce ne sono scritte davvero tante.Il linguaggio è quello vago e altisonante tipico dei pitch, ma tra le righe si intuisce perfettamente come l’idea di Casey sia far tesoro dell’esperienza accumulata con la licenza di Star Wars e fare un lungo passo verso le stelle, creando una saga fantascientifica originale e altrettanto vasta, che comprenda una moltitudine di razze e pianeti liberamente esplorabili, oltre a svariate componenti online. Il tutto, in quattro anni di sviluppo e basandosi su un engine completamente nuovo. E’ bene a questo punto precisare che a quel tempo mancavano ancora due anni all’uscita di Xbox 360, il gioco in rete era assolutamente embrionale, e la grafica media dei videogame ancora ben lontana dall’avere un richiamo anche lontanamente cinematografico.Muzyka è talmente colpito dall’audacia delle idee di Casey che si scotta terribilmente con il cibo, costringendoli a fare una pausa. Casey non riesce a nascondere l’ansia, convinto di aver puntato troppo in alto ed aver bruciato in una sola mossa non solo la lingua del suo capo, ma anche l’occasione di una vita. Quello che Hudson non sa è che i dottori coltivavano già da tempo l’idea di rendere Bioware indipendente dal punto di vista creativo.

Casey, non abbiamo la minima idea di come sia possibile realizzare tutto questo, ma la direzione generale ci piace. Prenditi il tempo che ti serve per arrivare a un concept completo, a trovare qualcuno interessato a pubblicarlo ci penseremo noi.”

Per capire meglio tutta la situazione, dobbiamo però fare un piccolo passo indietro, e parlare un po' più a fondo di che tipo di azienda sia Bioware. 

Proprio come i suoi fondatori, è quel genere di attività nata nel boom tecnologico degli anni ‘90 dove una buona parte dei veterani, con poche eccezioni, si sono letteralmente fatti da soli, senza nessun tipo di competenza pregressa. Prima di Baldur’s Gate e Knights of the old Republic, produzioni che hanno poi consacrato l’azienda come una delle più abili nel campo dei videogiochi di ruolo, Bioware era una delle tante startup tipiche del periodo, dove per essere assunti bastavano passione, un po’ di faccia tosta e tanta voglia di imparare. Basti pensare che Preston Watamaniuk, ora game designer, prima di Bioware si guadagnava da vivere guidando un camion della spazzatura. Drew Karpyshin, sceneggiatore, faceva consegne di mobili per conto di un grande magazzino locale. E lo stesso Casey Hudson, per quanto laureato in ingegneria meccanica, viene da un passato irrequieto e costellato di continui ripensamenti.In altre parole, a Bioware l’audacia non è mai mancata, e non stupisce che l’intera azienda si lanci senza paracadute in un progetto tanto ambizioso quanto terribilmente rischioso, con un’unica, incrollabile fiducia: quella nei propri talenti, che abbandonando lavori senza futuro si sono trovati uniti in un open space alla periferia di Edmonton con lo scopo di creare i migliori giochi di ruolo di sempre. E dato che il coraggio non gli manca, decidono subito che la saga prenderà le forme di una trilogia.

Così, chiusi definitivamente i lavori sulla licenza di Star Wars, i migliori talenti di Bioware si siedono ogni giorno attorno a un grande tavolo e spendono diverse ore in brainstorming cercando di mettere a fuoco il tipo di fantascienza che vogliono raccontare con Science Fiction X, un nome in codice che non verrà cambiato per molto tempo. Enormi lavagne si riempiono di parole come teletrasporto, iperspazio, viaggi nel tempo, armi laser, ora sottolineate, ora cancellate. Con il ricordo ancora fresco degli stretti margini di manovra concessi dalla licenza di Star Wars, inizialmente l’immaginazione stenta a decollare, ma dopo qualche giro a vuoto le idee cominciano a fluire, e tutte sembrano condurre al medesimo punto. Seppure in un futuro distante, fatto di remoti pianeti, guerre interstellari e antiche civiltà, la trama parlerà di valori universali, di un’umanità alla ricerca del proprio posto nell’universo. Quanto al gameplay, Casey vuole mettere a frutto gli insegnamenti imparati con Knights of the Old Republic, eliminando gli scontri corpo a corpo e offrendo combattimenti dalla distanza basati sulla tattica e su un utilizzo rapido di abilità tecnologiche.

 E c’è un’altra cosa della quale Casey è assolutamente certo: “Il giocatore dovrà avere la propria nave. Dovrà poter camminare al suo interno, parlare con l’equipaggio, sentirla sua. La sua casa tra le stelle”. Per un ingegnere meccanico con la passione per il volo, si tratta letteralmente di un sogno da realizzare.

A proposito di passioni, i brainstorming servono anche al team per scambiarsi impressioni sulle migliori saghe di fantascienza letterarie, cinematografiche e televisive dalle quali prendere ispirazione, e per colmare alcune importanti lacune. Casey, ad esempio, ha approfittato di quel primo anno puramente pre-produttivo per mettersi in pari con Firefly, e non è certo un caso che tutti e tre i capitoli di Mass Effect contengano decine e decine di citazioni esplicite ad altrettanti pilastri della fantascienza. 

Man mano che le settimane passano, alcuni punti fermi cominciano a formare le fondamenta della trama: un protagonista ancora non c’è, ma l’idea è di creare una sorta di agente segreto spaziale incaricato di mantenere a ogni costo la pace nella galassia, a metà tra James Bond e Jack Bauer

Passati i primi mesi, l’artist Derek Watts sente di avere abbastanza elementi di fondo per rispolverare carta e matite, e comincia a creare bozzetti dedicati ai pianeti e alle razze aliene. Tra questi, tutti ricordano il famoso “dinosauro armato di fucile”: è ancora primordiale, ma se ne innamorano all’istante. Diventerà la base per una delle razze più importanti del gioco, i Krogan. Il processo, in questo senso, è molto semplice: Watts e il suo team sottopongono i bozzetti a Casey e agli sceneggiatori, e insieme scelgono quelli più adatti, iniziando a scrivere una storia attorno alle immagini. Ben presto si rendono conto che sviluppare per ogni razza aliena una versione femminile da affiancare a quella maschile richiederebbe troppo lavoro: la necessità di compensare questa mancanza porterà tempo dopo alla nascita delle Asari, una specie aliena completamente femminile.

 A circa tre mesi dall’inizio dei lavori, Casey crea un documento dove condensa una prima bozza della trama frutto dei brainstorming, intitolandolo “Master Slaves”, letteralmente “Padroni e Schiavi”. Riletto oggi, potrebbe essere scambiato per la sinossi di un tascabile di fantascienza di serie C: la storia racconta come un’antica razza aliena ormai estinta, i Nazari, abbia lasciato nella galassia alcuni frammenti della propria avanzata tecnologia che permettono il viaggio interstellare. Il cattivo della situazione è un alieno di nome Saren alla guida di una razza di creature simili a pipistrelli note come Batarian, e cerca di mettere le mani su questa tecnologia, contrapposto dall’eroe protagonista, noto come Capitano Anderson. Il twist finale consiste nella scoperta da parte dell’umanità di essere in realtà una razza schiava, assoggettata all’antica specie aliena e frutto di ingegneria genetica. Sì, avete capito bene: la prima bozza della trama di Science Fiction X non era esattamente materiale da premio letterario, seppure avrete sicuramente riconosciuto alcuni nomi ed elementi di fondo che rimarranno fino alla fine dello sviluppo. 

A rimboccarsi le maniche è il writer Drew Karpyshin, conscio che questo canovaccio non sia nemmeno lontanamente sufficiente. Quello che manca è un’ispirazione, un punto di partenza che colleghi tutto. Ebbene, la musa ispiratrice questa volta assumerà le bizzarre forme di un tubo di silicone collegato a un computer.

Quello che sentite in sottofondo si chiama KTR Robot, e fa parte di uno studio condotto in quegli anni in Giappone dall’ingegnere Hideyuki Sawada nel tentativo di dimostrare che corde vocali artificiali e una bocca sintetica potessero riprodurre la voce umana. Un esperimento che guadagna una grande fama con un video divenuto virale su Youtube, e si palesa grazie a Preston Watamaniuk durante una riunione di brainstorming, radicando nell’immaginazione del team il concetto di forme di vita artificiali talmente evolute da risultare indistinguibili da quelle organiche. Cercando di allontanarsi dal superato concetto di “alieni cattivi”, il team immagina un futuro nel quale l’umanità e diverse razze aliene convivono più o meno pacificamente dopo anni di scontri su vasta scala, una situazione tutto sommato non dissimile da quella della storia contemporanea, meno gli alieni. Il twist è rappresentato dal ritorno di una razza sintetica rimasta a lungo nascosta nello spazio profondo, e pronta a sconvolgere ogni equilibrio. Scartate le strane creature simili a pipistrelli, i nemici diventano quindi i sintetici Geth. Con queste basi decisamente più solide, la preproduzione parte ufficialmente, e si comincia a lavorare sull’immaginario visivo.

Il concept designer Matt Rodes trova finalmente l’opportunità che aspettava per proporre un immaginario molto diverso rispetto alla fantascienza in voga nei primi anni del 2000, costantemente rugginosa e dai colori spenti. Immagina quindi un qualcosa di diametralmente opposto, fatto di colori accesi e forme aerodinamiche, allungate, sinuose. Che si tratti di edifici, strutture o abbigliamento, tutto sembra essere stato modellato all’interno di una galleria del vento. Sebbene il progetto sia ancora agli albori, quei primi concept art definiscono già molto precisamente i canoni estetici della produzione, che le permetteranno di distinguersi già al primo sguardo. 

Di certo, non può esistere un immaginario fantascientifico senza un audio credibile. L’audio Director Steve Sim prende spunto dai concept art e comincia a lavorare sul suono, e da buon appassionato di effetti pratici cinematografici registra letteralmente di tutto, dal traffico in autostrada fino a una tipologia molto specifica di bidone della spazzatura a prova di orso che si trova nei parchi naturali canadesi. Il cavernoso suono prodotto dall’apertura dello sportello metallico, opportunamente rallentato, diventerà nientemeno che il rumore emesso dalla nave nemica Sovereign.

I compositori Jack Wall e Sam Hulick lavorano invece sulla colonna sonora, ispirandosi ai sintetizzatori usati da Vangelis per Blade Runner e al sound della storica band tedesca Tangerine Dream. L’obiettivo è creare musiche che si integrino perfettamente con le ambientazioni e con gli effetti sonori, diventando organicamente parte del paesaggio. A riferimento viene presa una specifica scena di Blade Runner, ossia quella del decollo dello Spinner guidato da Gaff con Deckard seduto al posto del passeggero. Il modo in cui la colonna sonora si mescola al rumore di fondo della Los Angeles futuristica è proprio l’effetto che desiderano ottenere. La qualità del risultato finale sarà limitata da un mixaggio non eccezionale, ma i temi musicali del primo Mass Effect rimangono ancora oggi apprezzatissimi, soprattutto perché i due successivi capitoli hanno completamente cambiato stile musicale, abbandonando i sintetizzatori in favori di temi decisamente più orchestrali. 

Parallelamente, il team guidato da Drew Karpyshin lavora su un sistema di dialoghi a scelta multipla che rappresenti un deciso passo avanti rispetto a quelli visti fino a quel momento nei videogiochi di ruolo, che permetta sia di interpretare il protagonista seguendo un allineamento buono o cattivo, sia di fare in alcuni momenti scelte determinanti, che abbiano effetti non solo immediati, ma anche sulla trama orizzontale e sui capitoli successivi. Definito il funzionamento di base, il team si dedica successivamente a creare un’interfaccia che permetta al giocatore di reagire in maniera rapida e istintiva durante i dialoghi, evitando così lunghe pause che rovinerebbero lo stile cinematografico degli scambi verbali. Dopo mesi di sperimentazione nasce così un menu circolare, dove le possibili risposte sono collocate secondo una logica ben precisa: nella parte destra vengono collocate quelle che portano a una rapida chiusura dello scambio, a sinistra quelle destinate a prolungare e approfondire il dialogo. In alto le repliche più gentili, in basso quelle brusche. Inoltre, il testo mostrato rappresenta solo una traccia rispetto a quanto il protagonista dirà effettivamente, e alcune scelte dialogiche producono conseguenze fisiche durante i dialoghi, come il protagonista che improvvisamente sfodera l’arma per intimidire l’interlocutore. Con questa soluzione, Bioware fa fare un enorme salto avanti alla componente dialogica nei videogiochi di ruolo, integrandoli completamente nell’esperienza di gioco e accelerandone il ritmo, rendendoli parte di un’esperienza dal sapore cinematografico.Mentre lo sviluppo procede, i dottori riescono ad assicurarsi un accordo di pubblicazione in esclusiva con Microsoft per Xbox 360, e Microsoft si mette a disposizione nel fornire supporto sia per la gestione dell’Unreal Engine, sia per portare avanti i lavori sul sistema di combattimento, che fatica a trovare un’identità tra gli scontri a fuoco e l’utilizzo di poteri e abilità. Questo difficile bilanciamento continuerà ad essere una sfida fino all’ultimo, anche a causa della totale inesperienza di Bioware in fatto di meccaniche shooter.

Proprio quando tutto sembra andare per il meglio, lo sviluppo di Science Fiction X entra per qualche mese in una pericolosa fase di stallo. E’ come se i vari team lavorassero all’interno di altrettante bolle, senza sapere cosa stiano facendo gli altri. I primi pianeti prendono forma, il protagonista, ribattezzato Shepard in onore di Alan Shepard, il primo uomo nello spazio, ha dei connotati riconoscibili grazie alle fattezze dell’attore danese Mark Vanderloo, i prototipi dedicati al combattimento cominciano a funzionare in maniera rudimentale, le razze aliene assumono identità più precise, l’adozione dell’Unreal Engine dà i suoi frutti, ma nessuno sembra avere un’idea chiara della collocazione dei vari pezzi. Sembra quasi che il peso dell’ambizione iniziale, quella galassia tanto sconfinata da sfuggire anche all’immaginazione più vasta, stia per schiacciare Bioware. Questo periodo di incertezze, della durata di qualche mese, avrà delle conseguenze molto serie sul prodotto finale e causerà diversi tagli in dirittura d’arrivo.  

A riportare la situazione sui binari contribuiscono sia la leadership di Casey Hudson, sia il lead writer Drew Karpyshin, che riorganizza la squadra degli sceneggiatori assegnando a ognuno un’area di competenza, come ad esempio le razze, i pianeti, la timeline. Da quel momento, i writer di riferimento faranno anche da consulenti per l'intero team, a disposizione di chiunque abbia bisogno di informazioni sul vasto immaginario. Oltre a creare una coesione essenziale per il team di sviluppo, questa rinnovata struttura enciclopedica darà origine al Codex, una vasta raccolta di testi consultabile in gioco, successivamente molto apprezzata dai giocatori. Con il progetto rimesso sui binari, Bioware si concentra su uno degli aspetti più ambiziosi della visione di Casey Hudson, ossia la libertà di scelta. Per Preston Watamaniuk stanno per cominciare tempi molto difficili.

Se da una parte il sistema di dialogo a scelta multipla funziona molto bene sulla carta, gestire le conseguenze dell’allineamento e delle scelte del giocatore è tutta un’altra storia, e sarà proprio il game designer a farsi carico dei moltissimi bivi che la trama di Mass Effect può presentare. Tutto questo, già consapevole che il sistema dovrà essere pronto a supportare il proseguimento della trama nei capitoli successivi, ma senza poterne conoscere le caratteristiche, o il canovaccio narrativo. L’unica cosa che esiste a questo punto è una vaghissima traccia scritta da Hudson per il secondo e il terzo episodio. 

Un giorno, Preston entra nell’ufficio di Casey e si sfoga.

Ho creato una lista di tutti i cambiamenti grandi e piccoli che la trama può subire considerando le scelte nei dialoghi, le romance, l’allineamento del giocatore. Superati i settecento ho smesso di contare. Non ho sinceramente idea di come faremo a tenere insieme tutto.

Hudson è perfettamente consapevole della situazione, ma sa anche che le scelte sono l'elemento più importante della trama, quello che davvero può contribuire all'evoluzione dei videogiochi di ruolo.

“Preston, hai tutto il mio supporto: sai bene che non ho problemi a dare una mano in prima persona. La direzione è quella giusta: sono proprio le scelte che renderanno la storia unica. Dobbiamo andare fino in fondo.”

Quello che segue è un periodo intensissimo, dove tutti i pezzi dovrebbero andare al loro posto, ma se da una parte i lavori sulla trama e sulle scelte procedono bene, dall’altra Bioware ha ancora grossi problemi nel settore del gameplay. 

E’ solo negli ultimissimi mesi di sviluppo, e con importanti contributi da parte di Microsoft nel sistema di combattimento e nella gestione dell’Unreal Engine, che Science Fiction X prende finalmente forma, arrivando in tempo alla consegna solo con enormi sforzi collettivi. E proprio quando la deadline si sta avvicinando, c’è ancora una parte del team, Casey compreso, che si è talmente abituata al nome in codice da volerlo mantenere, se non che esiste una rivista inglese che si chiama proprio SFX. Sarà uno dei dottori, Ray Muzyka, a suggerire il nome Mass Effect, riferendosi al grande impatto che una singola persona può avere sui destini dell’universo, ma anche a una tecnologia ben specifica dell’immaginario di gioco, ossia quella che dà origine al viaggio iperspaziale e ai poteri biotici.

Ray Muzika (a sinistra) ai tempi di Baldur's Gate II

La necessità di chiudere il gioco per la consegna e le difficoltà incontrate lungo lo sviluppo, ad ogni modo, hanno degli effetti ben visibili nel gioco completo, soprattutto sull’esplorazione dei pianeti, che viene enormemente ridotta rispetto alle ambizioni iniziali, e si riduce alla possibilità di esplorarli con un veicolo corazzato, il Mako, e di completare brevissime missioni secondarie. 

Quando Mass Effect uscirà in esclusiva Xbox 360 nel novembre del 2007, i sentimenti in Bioware saranno inizialmente contrastanti. Privo di tutti gli elementi multigiocatore previsti, con una componente shooter che lascia molto a desiderare, diversi pianeti tagliati e una componente esplorativa che sostanzialmente si basa su tre modelli ripetuti all’infinito, Mass Effect non corrisponde esattamente all’ambizioso sogno di Casey Hudson. Solo col tempo e dopo qualche riflessione collettiva il team accetta che si tratti, letteralmente, di un primo passo in un nuovo universo, con tutti i limiti del caso, ma anche con enormi pregi, che finiscono per brillare molto più dei difetti. A risollevare gli spiriti ci pensa il buon successo di vendite, con più di un milione e mezzo di copie vendute nelle prime sei settimane, e la risposta della stampa, che critica le ovvie carenze ma si concentra soprattutto sul lodare l’incredibile e inedito immaginario, la trama matura, i filmati e la recitazione dei dialoghi in gioco, e soprattutto il profondissimo sistema di scelte che tante preoccupazioni ha dato al team. E proprio qui la squadra guidata da Casey Hudson comprende di aver in realtà raggiunto gli obiettivi iniziali: proiettare Bioware in un futuro fatto di totale indipendenza creativa, dare al videogioco di ruolo spunti evolutivi concreti, e gettare le basi per una grande saga fantascientifica.

Su queste note incoraggianti, dopo una breve pausa si gettano a capofitto sullo sviluppo del secondo capitolo, con una missione ben chiara in testa: realizzare il sogno senza più compromessi.

 A inizio 2008, proprio da qui decide di ripartire Casey, e da buon ingegnere applica un metodo analitico al nuovo progetto.

“Per i prossimi mesi, il nostro obiettivo è solo uno: raccogliere tutto il feedback possibile su Mass Effect, che venga dal pubblico, dalla stampa o internamente, categorizzarlo, e definire le aree di miglioramento.”

Questo approccio metodico è essenziale per un motivo ben preciso: poco dopo il lancio di Mass Effect, Bioware è stata acquisita da Electronic Arts, e pur mantenendo l’indipendenza creativa deve ora rispondere a un colosso dello sviluppo del videogame. Inevitabilmente, la struttura e i processi interni devono cambiare, e i tempi nei quali Bioware poteva permettersi di dedicare un intero anno alla preproduzione senza battere ciglio sono finiti: Mass Effect 2 avrà a disposizione solo due anni di sviluppo, la metà del tempo rispetto al primo episodio. Si arriva dunque a oltre 90 categorie di perfezionamenti necessari, eppure Hudson vuole non solo migliorare il prodotto, ma anche il processo di sviluppo. Memore del lungo periodo di stallo durante la lavorazione del primo episodio, dovuto soprattutto al fatto che i vari compartimenti procedevano senza una visione d’insieme, decide che Mass Effect 2 verrà sviluppato in maniera costantemente collaborativa, con uno scambio continuo di informazioni tra i dipartimenti. Soprattutto, ogni ambientazione di gioco dovrà essere giocabile in tempo reale durante la lavorazione, un qualcosa di fondamentale per far procedere i lavori in maniera organica, senza ritrovarsi a mettere insieme i pezzi di uno sconfinato puzzle negli ultimi mesi di sviluppo. E proprio quando i lavori sembrano pronti a decollare, succede qualcosa di inaspettato

Avere un quadro completo della situazione recuperando frammenti di interviste e dichiarazioni non è facile, ma una cosa è evidente. Anche a causa dell’approccio collaborativo voluto da Hudson, Mass Effect 2 genera un grande conflitto interno a Bioware, e il team si divide: da una parte, meno numerosi, ci sono coloro che vorrebbero riunire il cast originale e continuare la storia da dove la si era lasciata, con Shepard pronto a guidare l’umanità a capo del conflitto contro i Geth. In forte contrapposizione ci sono invece diversi talenti che desiderano ripartire da zero, dare sostanzialmente un nuovo inizio alla storia, e soprattutto andare oltre le etichette classiche di “gioco di ruolo” e “shooter” creando un ibrido, dove l’azione sia quella di uno sparatutto in terza persona, ma la storia e le scelte rappresentino il vero motore dell’esperienza. Per un videogame ad alto budget e dovendo rispondere a un publisher come EA, la ripartenza è una scelta singolare e rischiosa, e questo genera ulteriori discussioni.

Bozze dei personaggi scartati da Mass Effect 2

A circa un anno dall’inizio dei lavori, la conseguenza più grave di tali prolungate tensioni interne è rappresentata dalla decisione di Drew Karpyshin, lead writer, di lasciare il suo ruolo nel team di Mass Effect e spostarsi su un’altra produzione Bioware, il gioco di ruolo online Star Wars: The Old Republic. Il motivo principale è proprio il suo personale disappunto in un approccio creativo guidato, almeno inizialmente, più dall’analisi che dall’ispirazione.

Eppure questo permette a Mark Walters, uno dei quattro sceneggiatori più importanti per il primo Mass Effect, di diventare il Lead Writer di Mass Effect 2, e portare avanti una visione radicalmente nuova per il sequel, al punto da convincere i veterani Hudson e Watamaniuk che l’unico modo per rendere la trama più matura sia sconvolgere l’arco narrativo di Shepard. Certo, il suo scopo sarà sempre quello di salvare la galassia da una distruttiva minaccia, ma per farlo dovrà scendere a enormi compromessi morali, e accettare di lavorare al soldo di un mandante misterioso e oscuro. Ecco quindi che Cerberus, organizzazione responsabile di diversi atti terroristici menzionati a più riprese nel primo capitolo, diventa il finanziatore e mandante della nuova missione di Shepard. Potrebbe sembrare un paradosso, ma l’intenzione è chiaramente quella di sfumare i confini tra male e bene, e rendere la scintillante galassia di Mass Effect molto più oscura di quanto preventivato. Tutto questo è perfettamente incarnato nella figura dell’Illusive Man, altro elemento nato dall’immaginazione di Mark Walters, un deus ex machina senza scrupoli ma dall’indubbio e misterioso fascino, in grado di muovere i destini dell’universo come un astuto burattinaio. Altrettanto simbolica di questo cambio di paradigma è Omega, la stazione spaziale esplorabile che fa da contraltare alla Cittadella del primo Mass Effect, presentando una visione molto più oscura dell’universo di gioco, fatta di despoti e oppressi, gang criminali e lotte di potere. Ma Walters non si ferma qui, e durante una riunione di brainstorming propone un’idea ancora più radicale.

“Se vogliamo davvero un nuovo inizio dobbiamo dire addio al passato. La Normandy deve andare distrutta all’inizio del gioco. Cerberus fornirà a Shepard una nuova astronave, la Leviathan.”

L’idea che la “casa tra le stelle” voluta da Hudson, nonché uno degli elementi più apprezzati dai giocatori del primo Mass Effect, possa essere rimpiazzata, risulta inaccettabile per il team dei designer capitanato da Derek Watts, soprattutto data l’enorme mole di lavoro richiesta per ridisegnare una nuova nave completamente esplorabile. Come ben sappiamo, su questo punto si arriverà a un compromesso: la Normandy SR-2 diventerà quindi una versione ampliata e potenziata del vascello del primo Mass Effect, ma ne manterrà l’estetica e tutte le caratteristiche di base.

Quanto alla trama, grazie al rinnovato approccio collaborativo e basato sul feedback, Bioware è certa che il primo Mass Effect fosse eccessivamente concentrato sulla trama principale, e avesse finito per trascurare le attività secondarie. La geniale soluzione è rappresentata da un canovaccio narrativo apparentemente semplicissimo, con Shepard che si trova a reclutare una sorta di “sporca dozzina” fatta di volti familiari e personaggi completamente nuovi, tutti accomunati da enormi conflitti e problemi personali irrisolti, e deve convincerla a lanciarsi in una missione suicida per il bene dell’universo. In questo modo, Bioware dà subito al giocatore uno scopo ben definito e rende le missioni di reclutamento il più ricche e imprevedibili possibile, così da superare il concetto di contenuti principali e secondari, plasmando un’esperienza molto più organica. 

I compagni da reclutare diventano inoltre il fulcro attorno al quale ruota lo sviluppo, soprattutto per quanto riguarda la componente narrativa e artistica, e Mark Walters finisce per sconvolgere la divisione per argomenti voluta dal suo predecessore.

“Drew aveva assegnato a ogni sceneggiatore un’area tematica di competenza. Io voglio assegnare a ognuno un personaggio, in modo che ogni storia sia seguita da uno specifico sceneggiatore.”

Questa soluzione assicura un livello qualitativo altissimo per ognuna delle storie dei personaggi secondari, che il giocatore potrà vivere nell’ordine che preferisce, andando a intrattenere con ognuno un rapporto intimo e personale. Inoltre, questo approccio viene seguito anche da altri dipartimenti, come quello della regia dei filmati di gioco, e quello dei compositori, che si dedicano a sviluppare stili e contenuti specifici per ognuna delle storie dei comprimari.Mentre la trama prende forma un team di programmatori e game designer seguito da Casey Hudson si mette al lavoro per rinnovare completamente la componente shooter del gioco. Partendo dalle basi tecniche del primo Mass Effect, spendono diversi mesi mettendo da parte tutto il resto e concentrandosi esclusivamente sul movimento del personaggio, sul feeling delle armi, sul sistema di coperture. I risultati ben presto si vedono: completo di un sistema di ricarica tradizionale delle armi e della possibilità di utilizzare alcuni poteri senza mettere in pausa l'azione, Mass Effect 2 diventa uno shooter compiuto, molto tattico ai livelli di difficoltà più elevati, e soprattutto divertente, anche grazie a un design dei livelli molto più raffinato. Soprattutto, il nuovo sistema di classi e il bilanciamento delle abilità dei comprimari restituisce una maggiore sensazione di comando sul campo di battaglia

E poi c’è l’elemento cinematografico: laddove il primo Mass Effect cercava in qualche modo di imitare il cinema di fantascienza, al punto da aggiungere una vistosa grana filmica alle immagini, il secondo capitolo applica delle genuine tecniche registiche ai filmati, soprattutto nella fotografia, con stili differenti applicati ai vari comprimari. Le scene d’azione diventano corali e spettacolari, e la colonna sonora rispecchia l’epicità del contenuto, completando un’esperienza che non cerca più solo di imitare il cinema di fantascienza, ma lo integra, entrando nell’età adulta e diventando a pieno diritto parte della cultura fantascientifica globale.

E tutto questo anche grazie a un cast appropriato: forte della fama del primo episodio e dei budget di Electronic Arts, il direttore del doppiaggio Chris Borders può ora coinvolgere i veri attori delle serie fantascientifiche che avevano studiato per ispirarsi. Martin Sheen, Tricia Helfer e Michael Hogan da Battlestar Galactica, Carrie-Ann Moss da Matrix e molti altri. Insieme al lavoro svolto dagli animatori, le loro voci portano la recitazione nelle sequenze filmati a livelli cinematografici, ed elevano il carattere e il peso drammatico dei personaggi in maniera sensibile.

Nessuno si lancerebbe consapevolmente in una missione suicida, a meno che qualcosa di enorme sia in gioco. Questo vale sia per lo straordinario cast di personaggi in cerca di redenzione, sia per Bioware stessa. Mass Effect 2 è un secondo capitolo spiazzante e atipico, rappresentando quasi più un nuovo inizio che un seguito, un qualcosa che si vede di rado nelle produzioni ad alto budget, dove seguire la strada sicura è spesso preferibile rispetto a una totale ristrutturazione. Le scelte radicali compiute lungo lo sviluppo sono state possibili solo grazie all'approccio analitico voluto da Casey Hudson sin dall’inizio, e da un lavoro portato costantemente avanti come una squadra, peraltro concluso perfettamente nei tempi e nei budget previsti. Alla fine, possiamo dire che il coraggio dimostrato da Bioware nel rifiutare di sedersi sugli allori, probabilmente spinto da quel sentimento dolceamaro che aveva accompagnato l’uscita del primo capitolo, dà i suoi frutti: sebbene una parte dei fan dell’originale rimangano spiazzati dall’eliminazione di buona parte delle meccaniche GDR, dall’enfasi sugli scontri a fuoco e dall’anima dark e ambigua della storia, Mass Effect 2 coglie nel segno e viene celebrato per quello che è, una coraggiosissima rifondazione. Oggettivamente, il primo e il secondo episodio sembrano separati da molti più anni di quanto in effetti non siano, e questo testimonia l’incredibile percorso evolutivo intrapreso da Bioware. Opportunamente, tutto questo traccia un bellissimo parallelo con Star Wars, la saga di fantascienza che era stata presa ad ispirazione da Casey scrivendo il suo pitch intitolato SFX: le caratteristiche di Mass Effect 2 lo avvicinano concettualmente a Empire Strikes Back, un secondo episodio molto più oscuro e moralmente adulto. Il successo di critica è sensazionale, al punto che ancora oggi Mass Effect 2 presenta una delle medie voti più alte di sempre nella storia del videogame, e i risultati in termini di vendite non si fanno attendere, portando immediatamente la produzione tra i best seller di tutti i tempi di Electronic Arts. 

La flow chart della Suicide Mission di Mass Effect 2

La pausa tra il completamento dei lavori sul secondo capitolo è l’inizio di quelli sul terzo è nettamente più breve rispetto a quella presa dal team alla fine del primo episodio, e i lavori su Mass Effect 3 partono letteralmente in corsa, con Electronic Arts che chiede un ciclo di sviluppo completo in meno di due anni. L’esplosivo successo di Mass Effect 2 toglie ogni dubbio a Bioware: rispetto alla galassia patinata del capostipite, i toni dark del secondo episodio, le intime storie dei comprimari e la disperata corsa verso un incerto finale hanno conquistato il grande pubblico. Seppure con queste assolute certezze, capire come concludere il conflitto galattico non è per nulla facile, e inizialmente il team spende diverse settimane in brainstorming. Casey ha tuttavia un’idea che potrebbe smuovere le acque: “Non ci siamo mai soffermati abbastanza sul personaggio di Shepard, sul prezzo personale che sta pagando a causa di questa guerra: ripartiamo da lì”

Ed ecco che la storia di Mass Effect 3 si concentra da subito sul personaggio principale, sui traumi che ha vissuto, e sui profondi legami con i suoi compagni di viaggio. Questi ultimi sono ormai profondamente radicati nell'immaginario dei giocatori, e non si tratta di un caso: già nel secondo episodio Bioware ha utilizzato il feedback del pubblico per decidere a quali dare più spazio e importanza, uno su tutti Garrus, per il quale inizialmente non era previsto che diventasse il miglior amico e confidente di Shepard, fino a quando il pubblico non ha iniziato a dimostrare un particolare apprezzamento per la sua figura. Lo stesso vale per Tali, la cui popolarità tra i fan ha decretato il suo ritorno nel terzo episodio.

Parallelamente, il team deve affrontare una sfida non da poco: la missione suicida del secondo capitolo, straordinario e celebrato climax narrativo, può avere delle conseguenze drammatiche e causare la morte di un gran numero di compagni. Tutto questo va ovviamente previsto e integrato nel terzo episodio, così da garantire per ogni diversa situazione una continuità soddisfacente. Molto più che negli episodi passati, gli sceneggiatori si troveranno quindi a scrivere interi personaggi “di rimpiazzo” per quelli eventualmente deceduti, e il paradosso è che alcuni giocatori potrebbero non vederli mai, a meno di non rigiocare tutta l’avventura sin dal primo capitolo e fare scelte differenti.  

Una volta che la storia viene condensata da Tom Walters in un trattamento di sette pagine, e diventa un enorme climax verso l’immancabile battaglia finale, il compito di Bioware diventa rendere questo scontato percorso appassionante e interessante. Viene così concepito il “readyness meter”, un indicatore che tiene costantemente informato il giocatore di quanto le sue risorse e alleanze siano sufficienti a lanciarsi nell’assalto finale. A rendere questo percorso tortuoso e complesso ci pensano le trame legate alla soluzione di conflitti a lungo narrati nei precedenti capitoli, legati principalmente alle razze Krogan e Quarian. Proprio qui si ritrovano alcuni dei momenti migliori di Mass Effect 3, dove il percorso del giocatore lungo tutti e tre i capitoli acquista un senso profondo.

Eppure, per quanto molte delle meccaniche siano già collaudate e il corpo centrale della storia sia approvato in tempo, lo sviluppo di Mass Effect 3 procede in affanno sin dai primi mesi, e la data d’uscita inizialmente fissata entro la fine del 2011 viene spostata a Marzo 2012. Nonostante lo slittamento, Hudson e Watamaniuk si trovano ben presto a tagliare contenuti in corsa, tra cui una missione che diventerà uno dei DLC più apprezzati del gioco, una lunga sequenza di confronto finale con l’Illusive Man e un’intera porzione di gioco ambientata sul pianeta natale dei Turian. E ogni taglio, naturalmente, comporta non solo sprecare settimane di lavoro degli artisti e dei game designer, ma anche ulteriori aggiustamenti e modifiche per mantenere continuità in una storia complessa e diversa a seconda delle scelte di ogni giocatore.

Quando già Hudson comincia ad avvertire profondamente il peso di lunghi anni di sviluppo intenso e di un rush finale senza scrupoli, sul suo smartphone arriva una pessima notizia

Seduto sul divano della sua abitazione un venerdì sera come tanti, rilegge quel messaggio di testo diverse volte, senza riuscire a crederci.

“Casey, abbiamo un problema. Una versione di prova interna per i dipendenti è finita su Xbox Live per qualche minuto. È stata subito rimossa, ma gli screenshot sono online.”

Il mittente è Watamaniuk. Quando il successivo lunedì in Bioware si tiene un meeting d’emergenza, le notizie sono ancora peggiori. Dal codice della versione provvisoria sono stati estratti dei documenti che contengono dettagli sulla trama evidentemente frammentari e sconnessi, ma alcune persone si stanno basando su questi per attaccare duramente Bioware. Il morale in azienda riceve un duro colpo proprio alle porte del rush finale.

L’unico modo per uscirne è smettere di leggere i commenti online e gettarsi a capofitto sul lavoro, un qualcosa in cui Hudson e Watamaniuk decidono di fare da esempio per tutto il team. Con migliaia di bug da risolvere, e Preston che gioca letteralmente di notte per stilarne l’infinita lista e ogni mattina aggiorna un enorme numero su una lavagna nella grande sala riuinioni di Bioware, a creare veri problemi è il finale. A novembre 2011 Casey Hudson e Mark Walters stanno ancora cercando l’idea giusta, e le sessioni di doppiaggio dedicate agli ultimi minuti di gioco vengono costantemente rimandate.

Il rush finale di Mass Effect 3 è ancora oggi ricordato come uno dei momenti più duri mai attraversati da Bioware, un'azienda certo non estranea al crunch e al mettere insieme i pezzi solo nelle ultime settimane di sviluppo, a grande scapito dei dipendenti e delle loro vite al di fuori dal lavoro. Se Mass Effect 2 era riuscito a sfuggire a questa discutibile logica, lo stesso non può dirsi del capitolo conclusivo.

Eppure, nonostante il ciclo di sviluppo ridottissimo e la necessità di uscire su tre piattaforme contemporaneamente, Mass Effect 3 riceve un benvenuto entusiasta da critica e pubblico, vendendo quasi un milione di copie nelle prime 24 ore, doppiando il successo di vendite del suo predecessore. Per il team di Bioware guidato da Casey Hudson sembra essere giunto il momento di un lungo e meritato riposo, e questo potrebbe essere il più classico dei lieto fine per la nostra storia di videogame. Purtroppo non è così

Proprio quel finale che tante preoccupazioni aveva dato a Hudson e Walters diventerà una dei più grandi temi di controversia della storia del videogame.

Senza entrare eccessivamente nei contenuti, limitiamoci a dire che Mass Effect 3 può offrire sostanzialmente tre filmati, che mostrano molto velocemente altrettante possibili conclusioni della vicenda. Concettualmente, i tre finali sono differenti tra loro, ma c’è un problema: la condivisione online dei filmati pochi giorni dopo l'uscita del gioco dimostra ben presto come siano quasi identici, con la differenza principale rappresentata dal colore di sfondo, che può essere blu, rosso, o verde. Non solo: qualche ulteriore approfondimento chiarisce come la selezione di un finale o l'altro non dipenda dalle scelte fatte dal giocatore nel corso dei tre capitoli. Il risultato è una vera e propria rivolta dei fan. Un sondaggio sui forum ufficiali di Bioware riceve migliaia di click in poche ore, e seguono petizioni che arrivano alle decine di migliaia, chiedendo agli sviluppatori di cambiare il finale. È un evento senza precedenti nella storia del videogame. E proprio quando le discussioni online si fanno sempre più accese e arrivano purtroppo all'harassment online di alcune figure del team di sviluppo, succede qualcosa di ancora più incredibile. Una mattina un fattorino recapita in Bioware Edmonton decine e decine di scatole di cupcake da un mittente ignoto. Sono colorati di rosso, blu e verde, ma hanno tutti lo stesso sapore. Preston Watamaniuk non la prende affatto bene, intimando a chiunque in azienda di non toccarli e portandoli personalmente alla mensa per i poveri locale. L'episodio potrebbe essere liquidato come uno scherzo, ma l'idea che chiunque con un simile gesto possa arrivare sino alle porte degli uffici di Edmonton genera ulteriori ansie e tensioni nel team. Saranno i Dottori a intervenire, decidendo che una parte del team tornerà suo malgrado al lavoro, rinunciando al meritato riposo per espandere il finale di Mass Effect 3, aggiungendo nuove sequenze filmate e momenti narrativi. Senza soffermarci su quanto questi contenuti possano o meno migliorare l'esperienza, si tratta ad ogni modo di una netta dimostrazione di smarrimento da parte dell'azienda, che sembra non essere più sicura di cosa effettivamente il suo pubblico desideri, di come rapportarsi con esso, e soprattutto non esita a spremere ancora una volta dipendenti che hanno già dato tutto.

Interviste successive ad alcuni membri del team di sviluppo hanno rivelato interessanti retroscena: i tre colori erano stati utilizzati dal cinematic director Parrish Ley negli storyboard, ben prima che i filmati fossero realizzati, con il solo scopo di categorizzarli, ma non avrebbero dovuto apparire nel prodotto finito. Inoltre, i tre finali erano originariamente molto più estesi dal punto di vista narrativo, non includevano la dissonante entrata in scena del personaggio noto come Star Child, e contenevano diversi approfondimenti sul destino dell’universo e di Shepard stesso. La decisione di tagliare questi contenuti all’osso e di riutilizzare asset di gioco già disponibili è arrivata molto tardi nel processo di sviluppo, ed è stata dovuta principalmente a motivazioni di budget e tempistiche, sottovalutando evidentemente l’impatto che questo avrebbe avuto sull’utenza, ma soprattutto contraddicendo diverse dichiarazioni fatte in fase di sviluppo, che avevano promesso un finale che avrebbe tenuto conto del percorso del giocatore lungo tutti e tre i capitoli.  

Proprio per questi motivi, Mass Effect 3 rappresenta al tempo stesso la chiusura della sua più grande opera ma anche l'inizio del declino di Bioware, che ancora oggi sembra lontana dal ritrovare una sua identità. Le pesante situazione ha generato un'onda d'urto, per certi versi forse necessaria, che ha finito per incrinare le fondamenta dell'azienda stessa, lasciando profonde cicatrici più o meno evidenti in tutti i successivi giochi sviluppati.  

Tutto ciò nulla toglie al valore straordinario della saga del comandante Shepard: da quel foglio bianco posato da Casey Hudson sul tavolo di una taverna greca è scaturita una delle saghe più influenti non solo per i videogiochi di ruolo, ma per la fantascienza stessa, e, cosa ancor più bella, il risultato è stato possibile solo grazie a un enorme lavoro di squadra. Mass Effect ha contribuito a cambiare la percezione del videogioco come arte narrativa, elevandone lo status ben oltre l'imitazione del cinema, e oggi merita di essere citato insieme alle più grandi space opera della storia letteraria e cinematografica. In questo senso, possiamo certamente dire che il lungo passo verso le stelle desiderato da un ingegnere meccanico con la passione per il volo, ha dato vita a una delle più belle, sfaccettate e complesse storie di videogame di sempre.

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A cura di
Andrea Porta

Pubblicato il: 06/05/2024

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2 commenti

Io sono tra quelli che non ha apprezzato per nulla ME2, se il primo l'avevo trovato un imperfetto ma ottimo inizio di una nuova saga (per quanto non originalissima), il secondo capitolo l'ho sempre visto come un tentativo di inseguire Gears of War ch …Altro... Io sono tra quelli che non ha apprezzato per nulla ME2, se il primo l'avevo trovato un imperfetto ma ottimo inizio di una nuova saga (per quanto non originalissima), il secondo capitolo l'ho sempre visto come un tentativo di inseguire Gears of War che in quegli anni vendeva tantissimo togliendo molte meccaniche GDR a favore di un gameplay molto più action. Per me ME2 insieme a Dragon Age2 rappresenta l'inizio del decilino di Bioware come software house di GDR per diventare una realtà molto più generica, da li in poi Bioware avrà a che fare sempre con giochi molto problematici a partire da DA Inquisition, proseguendo con ME3 e Andromeda e finire (malissimo) con Anthem.

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