GDC 2024

FLINT

TREASURE OF OBLIVION

L'estate scorsa, girovagando fra gli scaffali della mia solita libreria nel mio solito luogo di vacanza estiva nella mia solita Liguria, m'è caduto l'occhio su un'edizione in lingua originale di L'isola del tesoro e ho immediatamente pensato di proporlo come nuovo inserimento fra le letture della buonanotte con Figlia, un po' perché (credo) non l'avevo mai letto, un po' perché lei mi sembrava intrigata dalle storie di pirati. L'abbiamo letto, ci siamo divertiti, lei s'è appassionata un sacco ed era tesissima per il destino di Jim Hawkins. Due anni fa, durante la pausa scolastica di fine ottobre, tutta la famiglia (Suocero incluso) se n'è andata a trascorrere un bel weekend lungo in Bretagna, a Saint-Malo. Gran bel posto, ve lo consiglio. Due settimane fa, a San Francisco, a fine giornata di mercoledì, un paio d'ore prima che iniziasse la cerimonia dei premi della Game Developers Conference, ho arrancato lungo Market Street per raggiungere un bar/ristorante/locale per coworking in cui si tenevano appuntamenti e presentazioni con i rappresentanti di Microids e mi sono ritrovato un po' stranito a osservare un videogioco che racconta del capitano Flint e la cui demo era ambientata a Saint-Malo. Magari sbaglio, ma secondo me sono l'unico che quella settimana ha esclamato "Ah, sì, ci sono stato poco tempo fa!". Ma sto divagando.

Flint: Treasure of Oblivion è il titolo d'esordio dello studio Savage Level, fondato in quel di Parigi da un gruppo di veterani del settore che hanno deciso di organizzarsi in modo da sviluppare i propri giochi in maniera concreta, serena, senza affogare nel crunch, strutturandosi in modo da poter rifinire a dovere il proprio lavoro senza impazzire. O perlomeno questo mi ha raccontato la production director Saïda Mirzoeva, ma voglio fidarmi, voglio crederci. Il gioco su cui stanno lavorando è un po' un miscuglio di generi, un'avventura con elementi ruolistici che racconta la storia del capitano Flint, personaggio inventato da Robert Louis Stevenson per uno fra i suoi romanzi più famosi e ucciso prima ancora che cominciassero le vicende del racconto. Flint è una figura mitologica che ne L'isola del tesoro appare solo attraverso il suo ricordo e le conseguenze delle sue azioni, ma è stato esplorato in altre opere che l'hanno utilizzato come personaggio, talvolta mettendolo proprio al centro delle vicende, come nella serie TV Black Sails di qualche anno fa. E in Flint: Treasure of Oblivion sarà protagonista assoluto, accompagnato dal suo secondo Billy Bones, apparso nella parte iniziale del romanzo di Stevenson, e da un equipaggio che andremo a comporre e ampliare mano a mano. 

Quanto il gioco di Savage Level approfondirà la sua appartenenza alla mitologia creata dallo scrittore scozzese non è al momento chiaro, anche se è lecito immaginare che prima o poi salteranno fuori Long John Silver e altri pirati "noti". Il gioco, comunque, non sembra volersi posizionare come prequel in senso stretto e sfrutta più che altro gli elementi più conosciuti come punto d'ingresso per provare a raccontare il mondo della pirateria con un taglio semi-realistico, che schivi i cliché più caricaturali della narrativa di genere. Il racconto si apre come detto a Saint-Malo, con un Flint impegnato ad aggiungere uomini al suo equipaggio per lanciarsi alla ricerca di un tesoro e la promessa che il suo inseguire ricchezze ci porterà in giro fra i sette mari (promessa già mantenuta da un trailer che mostra le inevitabili ambientazioni caraibiche).

La narrazione viene portata avanti attraverso una bella tecnica mista, che sovrappone dei pannelli di stampo fumettistico all’azione di gioco per dare maggiore personalità e dinamismo ai momenti più drammatici, riuscendo davvero a movimentare la scansione narrativa. L’azione di gioco, invece, propone una classica visuale dall’alto in stile gioco di ruolo vecchio stampo, con un’interfaccia punta e clicca e un sistema ruolistico che opera “dietro le quinte”. Il ritmo di Flint: Treasure of Oblivion ruoterà attorno all’esplorazione e alla ricerca di loot, con una lunga serie di quest da seguire che si evolveranno in tempo reale a seconda del comportamento del giocatore e delle sue decisioni. Mirzoeva mi ha spiegato che l’obiettivo è di trovare un buon equilibrio fra la complessità del sistema di gioco e la leggibilità e semplicità di utilizzo, mescolando soluzioni che arrivano dalle avventure grafiche, dai giochi di ruolo e anche dai boardgame.  

Si tirano dadi per eseguire azioni, si compone un party (anzi: una ciurma) da una dozzina di persone coi vari figuri che si incontrano in giro e si utilizzano le loro abilità, in combinazione con un sistema di carte, per virare l’azione verso il proprio stile di gioco. I combattimenti si svolgono attraverso un sistema di combattimento con classica modalità tattica, seppur magari un po’ semplificata. Per esempio, è possibile cambiare arma a piacere quando si vuole, e si affronta il proprio turno decidendo se dedicarlo al movimento o all’attacco, con la possibilità quindi di eseguire tutte le azioni relative. Non ci sono arti magiche, perché l’idea è di offrire una rappresentazione realistica dell’epoca, ma i personaggi hanno abilità che possono portare effetti specifici. Flint, per esempio, è in grado di far salire il morale della truppa, con effetti ovvi sull’efficacia in combattimento. E ovviamente le varie armi sono classificate in base a raggio d’azione, potenza ed effetto, senza contare che ci sono mosse “speciali”, tipo il placcaggio con cui buttare gli avversari per terra. Per dare un’idea, Mirzoeva mi ha descritto il sistema di combattimento come una versione meno complessa di Blood Bowl, con tutti i calcoli complessi che si svolgono dietro le quinte. Insomma, c’è chiaramente un tentativo di conservare più o meno tutti gli elementi classici del gioco di ruolo, declinandoli però in una forma più snella e immediata. Messa giù così, sembra interessante, quantomeno per chi è affascinato dagli RPG ma intimorito dalla complessità che a volte li caratterizza, ma il funzionamento del sistema andrà valutato con calma quando ci sarà la possibilità di provare il gioco. 

Nel mentre, posso dire che Flint: Treasure of Oblivion emana una bella atmosfera, sembra saper cogliere il giusto feeling piratesco e trovare una sua identità comunque forte e lontana da quella di altri giochi recenti in qualche modo accostabili. In termini di narrazione, al di là dello spunto di partenza, ho visto poco, praticamente solo una quest che parte quando si trova addosso a un cadavere la lettera di una donna che aspetta il suo amore in città, all’interno delle mura di Saint-Malo. Volendo ricamarci sopra, però, si può ipotizzare che il team stia cercando di cogliere anche l’aspetto più drammatico e romantico del genere di storie a cui si ispira, e mi sembra un’ottima idea. Si mira comunque a un target tardo adolescente, cosa che garantisce la possibilità di raccontare un mondo e un’epoca per molti versi orribili senza doversi censurare. 

Rimane ancora tanto da scoprire e da toccare con mano, dalla ricchezza delle ambientazioni alla complessità di un sistema di combattimento che dovrebbe permettere scontri enormi con la ciurma al completo, eseguendo anche combo che coinvolgono vari personaggi. E ci saranno anche le battaglie navali, ovviamente, anche se non ci si deve attendere un vero e proprio contesto simulativo. Il team promette fra le quindici e le venti ore di gioco, a seconda di quanto ci si perde nell’esplorazione e fra le missioni secondarie, quindi si parla di un’esperienza anche sotto questo punto di vista più “a misura d’uomo” rispetto ai giochi di ruolo da centinaia di ore. Scopriremo entro fine anno, su PC, PlayStation 5 e Xbox One, se questo esperimento interessante avrà successo.

Pubblicato il: 04/04/2024

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3 commenti

A una prima impressione sembra un gioco da tenere d'occhio! Mi preoccupa solo quel sistema di combattimento che alle volte può risultare complesso e/o stucchevole.

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