JUMPSCARE VIDEOLUDICO

Fenomenologia dei salti sulla sedia

Come si trasforma un bastone in un serpente? Nel lungometraggio d’animazione Il Principe d’Egitto (1998) c’è una scena molto importante per comprendere i jumpscares dei videogiochi, sebbene in apparenza non ci sia alcun elemento comune.
Il cartone animato riprende la storia di Mosè, come probabilmente noto, e la parte che qui è di nostro interesse è lo scontro con i sacerdoti del faraone, Hotep e Huy, ripreso dal seguente episodio dell’Esodo: «Mosè e Aronne vennero dunque dal faraone ed eseguirono quanto il Signore aveva loro comandato: Aronne gettò il bastone davanti al faraone e davanti ai suoi servi ed esso divenne un serpente. Allora il faraone convocò i sapienti e gli incantatori, e anche i maghi dell'Egitto, con le loro magie, operarono la stessa cosa. Gettarono ciascuno il suo bastone e i bastoni divennero serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni» (Eso. 7,10-12).

Il testo biblico non contiene molti dettagli, ma la resa nel cartone animato è di particolare interesse, per quel che ci interessa qui. Mosè appoggia il bastone e subito, davanti agli occhi di tutti, questo si trasforma in un serpente. I due sacerdoti mettono invece in campo un’elaborata coreografia fatta di canti, movimenti rituali, contrasti di luci/ombre e molto altro. Agli occhi dei presenti sembrano i vincitori: il potere degli dèi egizi è di gran lunga più elevato. E nessuno si accorge che in realtà il serpente richiamato da Mosè ha divorato quelli dei due sacerdoti.

L’aspetto interessante è proprio questo. I sommi sacerdoti hanno allestito uno spettacolo di magia, magistralmente eseguito. E uno dei principi alla base di simili spettacoli è proprio il mascheramento: «una mossa particolarmente importante deve sempre essere mascherata da un’altra mossa secondaria, ma altrettanto appariscente». Così scriveva Martin Michalski nel suo Das grobe Ravensburger Zauberbuch (nell’edizione italiana Giochi di prestigio, 1983, p. 49). Tutti sono distratti dall’appariscente cerimoniale di Hotep e Huy e, nel momento dell’effettiva trasformazione, una luce abbagliante impedisce di vedere. Hanno davvero evocato il potere degli dèi egizi? O il loro è solo un trucco, peraltro citato dallo stesso Michalski nel suo libro? Il cobra egiziano, quando si esercita una particola pressione dietro alla sua nuca, tende a irrigidirsi, assumendo l’aspetto di un bastone. I due sacerdoti stavano sfruttando questa conoscenza? O magari, con un’elaborazione maggiore del trucco, avevano sottomano sia un bastone sia un cobra, pronti per essere scambiati di posto?

Questo è un primo e grande insegnamento anche per la gestione dei jumpscares, nei videogiochi e non solo. In molte occasioni l’utente è già preparato all’idea che qualcosa sta per arrivare, del resto sta giocando a un horror, per cui probabilmente salterà fuori all’improvviso qualche mostro. Ma per rendere davvero efficace e interessante quello spavento bisogna manipolare la sua attenzione, facendolo concentrare su dettagli appariscenti ma che in realtà servono solo alla buona riuscita del “trucco”.

In molti casi, purtroppo, soprattutto in presenza di prodotti derivativi, i videogiochi horror non funzionano così. Ci si trova davanti a qualche jumpscare casuale, privo di preparazione, o ripetuto nel tempo. Non sono particolarmente interessanti, insomma, ma c’è una ragione dietro alla loro proliferazione.

Prima di svelare i segreti, i trucchetti dietro alla magia del jumpscare, allora, vale la pena spendere due parole sulle forme più ricorrenti, esasperate e spesso banali di questa pratica. E per farlo bisogna legarsi alla storia di YouTube.

È anche utile ricordare una cosa. Il jumpscare non è l’unico modo con cui generare tensione e paura in un videogioco. Ci sono diverse possibilità, ciascuna con regole molto precise, su come accrescere la tensione durante una partita. Un buon sunto a riguardo è per esempio quello offerto da Chris Pruett, esperto dell’argomento. In questo panorama il jumpscare è spesso percepito come una soluzione facile, banale, e in diversi casi è effettivamente così. Come si vedrà però in seguito, con la giusta attenzione può diventare anch’esso un ottimo veicolo di paura, specialmente quando opera in sinergia con altri aspetti.

 - Gli youtuber, gli horror, e la moltiplicazione dei jumpscare -

Il legame tra l’affermazione degli youtuber di gaming e un certo gruppo di videogiochi horror è ormai cosa nota. Di seguito verranno condensati alcuni elementi di questo legame di mutua utilità. Per maggiori informazioni rimando ad altri miei contributi in inglese (un articolo accademico sulla rivista «Persona Studies») e in italiano (un segmento della storia dei videogiochi horror) specificamente dedicati all’argomento. In un momento in cui l’horror videoludico – o perlomeno quello mainstream e con impostazione “all’occidentale” – sembrava aver compiuto un’irreversibile virata verso l’action, una serie di videogiochi dall’impostazione diversa si rivelarono ottimi per i contenuti dei nascenti canali di gaming. Tra i nomi più noti si possono ricordare Amnesia: The Dark Descent (Frictional Games, 2010), Slender: The Eight Pages (Parsec Productions, 2012) e Five Nights at Freddy’s (Scott Cawthon, 2014). Ciascuno di loro ha ovviamente delle specificità, ma possono essere qui accomunati all’interno del presente discorso, come alcuni dei principali esempi di un movimento che ha portato a una seconda vita per una tipologia di horror videoludico che sembrava morente o, al più, destinata a sopravvivere in qualche micro-nicchia.

Come indicato dallo stesso Thomas Grip di Frictional Games (in un articolo di Maiberg per «Vice»), Amnesia ha avuto successo anche grazie ai let’s play, ma non solo. Amnesia avrebbe anche generato un nuovo stile di let’s play, in cui non conta più di tanto quanto si è bravi, ma l’atto performativo stesso, l’immergersi nel mondo di gioco con una forte intensità emotiva. E lo spavento improvviso è qualcosa di facilmente spettacolarizzabile e replicabile in diversi video. Insieme, per inciso, alla rabbia, motivo per cui anche i cosiddetti rage games hanno performato molto bene in quella fase di YouTube (lascio un articolo su questo argomento per chi volesse approfondire, non essendo questa la sede).

Non solo: videogiochi come Amnesia sono piuttosto economici, rispetto ai grandi “tripla A” che in quel periodo viravano in larga parte verso l’action e si ibridavano con gli sparatutto. È stato nuovamente Grip a sottolinearlo: «Thomas Grip, explained that there’s ‘a lot to be done in making horror more personal and thought-provoking’, and that ‘a game could be terrifying with a bare minimum of features’» (cito dal libro Indie Games. The Complete Introduction to Indie Gaming di Diver, p. 56). E, ancora, sul blog di Frictional Games sono citati alcuni dati di vendita, al fianco delle ragioni che hanno portato Amnesia al successo. Ragioni tra cui figurano gli youtuber e le mod (a loro volta utili a diversi creators su YouTube, peraltro).Questa è ovviamente una grandissima opportunità per tanti team medio-piccoli. Non occorre più temere il confronto schiacciante con le produzioni multimilionarie, perché grazie a YouTube anche i piccoli possono ritagliarsi uno spazio, se i loro videogiochi sono in grado di toccare le giuste leve, a livello emotivo.

Da lì in avanti comincia un floridissimo periodo per l’horror su YouTube e la corsa all’oro verso sempre nuovi titoli “alla Amnesia” porta a cercare qualsiasi cosa che ci possa assomigliare anche solo lontanamente. Compresi Anna (2012) del team italiano Dreampainters e Gone Home (Fullbright Company, 2013), che in realtà sono prodotti ben diversi.

Ben presto, come intuibile, gli stessi team di sviluppo colgono l’enorme potenziale dell’operazione: sembra che sia sufficiente avere un videogioco con tanti jumpscare e un protagonista disarmato per avere successo, anche quando il budget è ristretto. È una seconda corsa all’oro, in direzione contraria all’altra, in cui si cerca di attirare l’attenzione degli youtuber sul proprio gioco.

Il problema è che, come succede quasi sempre in questi casi, la maggior parte degli sviluppatori identifica solo gli aspetti più superficiali e immediati dell’alchimia che ha portato certi videogiochi al successo. E tutto ciò genera, tra le altre cose, una saturazione di videogiochi tutti uguali che traboccano di jumpscares tutti uguali: in quel periodo infatti «Everyone and their mother wanted to craft a masterful horror game that would catch the attention of the likes of PewDiePie or Markiplier (and possibly get them rich in the process!). This led to the quality of these games deteriorating rapidly as desperation and saturation set in, coupled with the fact that these designers knew nothing about horror game design except that “jumpscares get views on YouTube, and views on YouTube get me popular!”» (da un articolo di Raghav Mathur. corsivo dell’autore).

Osservando i più popolari video di reaction con spaventi improvvisi, molti hanno riempito i propri giochi di jumpscares casuali, privi di senso. E molti di loro hanno pertanto fallito, perché – come si vedrà tra non molto – è estremamente importante la fase preparatoria allo spavento. Una fase molto più difficile da identificare, bilanciare e riproporre, rispetto alla comparsa improvvisa di un elemento a schermo accompagnato da rumori forti. Una preparazione così importante che, se inserita in un determinato orizzonte di aspettative, può far credere che ci sia un jumpscare imminente anche in tutt’altro contesto. È il già citato caso di Gone Home, da alcuni identificato come “horror” per le sue iniziali strizzate d’occhio a certe convinzioni di genere.

Quel periodo dell’horror su YouTube è concluso da tempo. Ci si è lasciati alle spalle quella fase – per certi aspetti più genuina, per altri più ingenua e per altri ancora più “semplice” – in cui una qualsiasi alpha build scaricabile da un sito poteva fornire la base per numerosi video pieni di reactions urlanti. Ci sono ovviamente le eccezioni, di quando in quando, ma sono per l’appunto tali: casi particolari che agiscono diversamente dal resto del sistema, dalla media. Alcuni horror discreti, se non persino mediocri, avrebbero probabilmente ottenuto un maggior successo se fossero stati pubblicati grosso modo nel 2012/2013. Magari non sarebbero diventati campioni di vendite, ma si sarebbero conquistati il loro spazio.

Poi però è arrivata la saturazione. Non solo dei prodotti, ma anche dei jumpscares. Prima di procedere bisogna però anche ragionare su come “funziona” nel dettaglio uno spavento di questo genere su uno youtuber. La persona che sta giocando, per cominciare, esperisce una paura mediata, perché non è direttamente lei a essere potenzialmente minacciata, essendo il personaggio che controlla a trovarsi in pericolo. L’amigdala nel suo cervello, però, allenata dall’evoluzione a fornire una risposta automatica a certi stimoli, reagisce ugualmente. Questa esperienza, ben presente nella fruizione filmica (come indicato da Antonio Damasio: Cinéma, esprit et émotion: la perspective du cerveau, «Trafic», 67, 2008, pp. 94–101), si ritrova anche nel medium videoludico. C’è una mediazione ulteriore in chi guarda un gameplay, visto che sta guardando la risposta di un’altra persona a una minaccia improvvisa che coinvolge il personaggio di un videogioco. Anche in questo caso, però, è possibile vedere in loro la stessa reazione di trasalimento, legata alla risposta dei neuroni specchio.

Questo è il caso ideale, in cui non solo lo spettatore è attento, ma lo spavento è anche ben costruito. Nella sopra citata proliferazione di survival horror di quel periodo, in molti casi non si è arrivati a nulla di tutto ciò. È possibile identificare almeno due macro categorie di problematiche.

La prima: imprevedibilità priva di tensione. È probabilmente la categoria più semplice e immediata da definire, tra le due.  Sono evoluzioni di giochi e filmati di “trolling” con immagini spaventose e rumori improvvisi, spesso inserite in contesti di apparente tranquillità e in cui viene richiesta al fruitore una grande concentrazione. Un po’ come questo vecchio video con l’automobile, per chi se lo ricorda. O lo scary maze game, che a sua volta aveva generato diversi video. Un esempio è A New Day In The Horror (Pyromain 2016), breve videogioco rimasto in pre–alpha, caricato su IndieDB da un utente francese. Nel gioco bisogna camminare in un corridoio quasi completamente buio, il che spinge il fruitore ad avvicinarsi allo schermo e restare concentrato per vedere meglio il percorso. Dopo pochi secondi appare però a schermo un fotogramma de L’Esorcista (1973) di Friedkin, accompagnato da un grido ad alto volume, con l’intento di spaventare il giocatore. E proseguendo oltre la situazione si ripete.

Questo qui può essere un po’ un caso limite, una pratica di sostanziale trolling, ma sono molti i survival horror in prima persona – almeno quelli usciti in quegli anni e più o meno etichettabili come “indie” – ad avere un gran numero di jumpscares in momenti casuali, senza idonea preparazione al momento. Giusto per fare qualche esempio concreto, si parla di videogiochi come Dusk of Confinement (SashaNyasha, 2018), Krampus is Home (Regl Studios, 2018), Bubonic: Outbreak (MouldyMattress, 2016), Endless Room (biplekfp, 2016), Vapour Part 1 (Skobbejak Games, 2015), Timore Inferno (Vidas Salavejus, 2016), Strange Night (LB, 2016), CASE: Animatronics (Last Level, Aleson, 2016) e Apartment 666 (I Need Play, 2016). Sono videogiochi di differente rifinitura e successo economico, e presentano talvolta anche altre forme di jump scare (come quello in concomitanza col game over, inserito in CASE: Animatronics), ma sono accorpabili per l’inserimento di immagini improvvise e rumori forti (spesso entrambe le cose) che compaiono senza preavviso.

La seconda macro categoria riguarda invece la prevedibilità. È il caso di quei jumpscares inseriti in momenti troppo prevedibili e pertanto poco efficaci o, ancor più, la ripetizione degli stessi “spaventi” in concomitanza con un certo evento, come nel caso appena citato del game over. Questo costituiva una problematica già in Five Nights at Freddy’s, e prima ancora in Slender: The Eight Pages. In Five Nights at Freddy’s era però mitigato dalla varietà dei possibili game over (a seconda dell’animatronic coinvolto), sia all’interno dello stesso episodio della serie sia fra un episodio e l’altro. In seguito alla sua uscita erano però emersi numerosi videogiochi in prima persona che inserivano un’improvvisa animazione di attacco al momento del game over. Alcuni di questi sono dei fangame dichiaratamente ispirati alla serie Five Nights, e che rimangono in circuiti non commerciali. Ma talvolta anch’essi sono ampliamente scaricati e giocati, anche su YouTube, come Fredbear’s Pastaria (SlimLim, 2015), Those Nights at Rachel’s (Nikson, 2015), Obsolete:After the Accident (CIPKAP_Games, 2018), Fortnight at Jorge Kruisanen (DJ Game Factory, 2015), One Endless Night at MLG Final Mix (ToonsterGames, 2015), One Night at Artleck’s (ArtleckGames, 2015).

Sul solo Game Jolt (senza contare quindi altre piattaforme come IndieDB) la ricerca di “Five Nights at Freddy’s”, escludendo possibili varianti, produce centinaia di risultati. Va anche detto che, considerando la gratuità dei videogiochi amatoriali su Game Jolt, il numero dei download rimane talvolta piuttosto basso, rispetto ai numeri dei video su YouTube. Il popolare – almeno nella community di Five Nights at Freddy’sFive Nights at Chuck E. Cheese's (Leon Rymer, 2015), in cui sono presenti gli Animatronics di Chuck E. Cheese (sostanzialmente la controparte reale del Freddy Fazbear’s Pizza) registrava in quegli anni oltre 70.000 download su Game Jolt. Ma su YouTube erano presenti diversi video relativi a questo videogioco fanmade con più di un milione di visualizzazioni. In tempi più recenti, peraltro, il gioco è tornato in una nuova versione: Five Nights at Chuck E. Cheese's: Rebooted (Official) (Radiance Team, 2021).

Anche spostandosi su Steam la situazione non cambia radicalmente. Sono apparsi anche qui diversi “cloni” derivativi di Five Nights at Freddy’s, con il jumpscare finale. È una caratteristica riscontrabile in un gran numero di horror in prima persona, tra cui i già citati CASE: Animatronics e Krampus is Home, Shut Eye (HUSH Interactive, 2016), Lazaretto (Iron Monkey, 2017), Memories of Home (DIF Studios, Alex Winter, 2017), Dark Night (NighthoodGames, 2016), Welcome Back Daddy (Chilla’s Art, 2018), Tattletail (Waygetter Electronics, 2016), Emily Wants To Play (Shawn Hitchcock, 2015) e Emily Wants To Play Too (Shawn Hitchcock, 2017), Project Nightmares Case 36: Henrietta Kedward (NC, 2018), Amberskull (Charlie Behan, 2018) e moltissimi altri.

L’intento di attirare l’attenzione degli youtubers con questi videogiochi è spesso palese e, in alcuni casi, esplicitamente dichiarato, o con rimandi interni al gioco oppure facendo direttamente riferimento a loro nella pagina di descrizione del prodotto. A prescindere dalla concreta efficacia di simili pratiche, quasi tutti i nomi qui citati, anche i progetti non commerciali, presentano un numero non indifferente di video, con centinaia di migliaia o anche milioni di visualizzazioni. Del resto i jumpscares, anche quando non sono inseriti in un modo accettabile secondo un designer, rimangono un ottimo materiale per determinati format su YouTube. Nel periodo di Slender: The Eight Pages ciascun horror avrebbe avuto una probabilità ancor più alta di esser giocato dai vari youtubers di gaming.

Oggi c’è una fortissima dispersione ed è venuto meno l’originario approccio. Rispetto a quel periodo è inoltre meno probabile che un videogioco mediocre possa sfondare – a meno che non intervengano altri fattori – economicamente grazie agli youtuber. Diversi survival horror con milioni di visualizzazioni su YouTube vendono poche centinaia o migliaia di unità. Occorre anche dire, tuttavia, che sembrano comunque numeri più alti di altri videogiochi a loro equiparabili, per (bassi) costi e (spesso poca) innovazione, appartenenti a generi diversi. In tal caso il survival horror e gli youtuber potrebbero costituire una combinazione capace di generare buone performance anche al di fuori dei casi di istantanea ed esplosiva affermazione. Shawn Hitchcock, il creatore di Emily Wants to Play, per esempio, ha pubblicamente segnalato il contributo fornito da youtuber e streamer per l’affermazione del suo videogioco: «They played a major role in the success of Emily Wants To Play and it’s a ‘win-win’ situation.  Emily brings new viewers, a larger view count, and more ‘likes’ to their channel and it brings new fans to Emily» (citato in un articolo di Alex Tisdale che in questo momento è visibile solo tramite wayback machine). Oltre all’incremento diretto delle vendite, la popolarità ha consentito al gioco di veder realizzati in breve tempo numerosi porting su console.

- Le regole del jumpscare -

Definito lo stretto legame tra certi horror e YouTube, e avendo rapidamente presentato quando un jumpscare risulta poco interessante, è tempo di provare a capire quali siano invece le regole – o almeno alcune di esse – alla base di uno spavento efficace.

1)  Spazi non considerati

Uno dei più famosi jumpscare dei videogiochi rimane probabilmente l’irruzione dei cani zombie dalla finestra, nel primo Resident Evil (Capcom 1996). È divenuto un “classico” per diverse ottime ragioni, ma quel che interessa sottolineare in particolare è l’interazione con lo spazio. Sorpresa e spavento sono acuiti dal fatto che, fino a quel momento, l’esterno della casa è percepito come qualcosa che è anche esterno al gioco. Nulla può uscire e nulla può entrare. Consciamente o meno, questo è ciò che si tende a pensare. Poi i cani sfondano le finestre e irrompono nel corridoio. L’evento è tanto più spaventoso perché la minaccia giunge da uno spazio idealmente percepito come non accessibile e, pertanto, non considerabile come fonte di pericolo.

Un po’ di anni più tardi, un altro ottimo esempio è offerto da Dead Space (EA Redwood, 2008). All’inizio del gioco, il protagonista Isaac è disarmato e deve scappare dai necromorfi. Il percorso lo conduce a un ascensore, dove trova rifugio, richiudendo le porte dietro di sé. Un paio di secondi dopo, però, un necromorfo forza l’apertura delle porte con i suoi artigli. È un momento di grande interesse perché è una violazione di alcune regole videoludiche non scritte. Una di queste è il fatto che, solitamente, gli ascensori sono luoghi sicuri (a volte sono semplici caricamenti mascherati, quindi nemmeno parte del gioco in senso stretto) dove i nemici non possono attaccare. Un attimo dopo le porte si richiudono con uno scatto, maciullando il necromorfo e salvando Isaac, ma intanto lo spavento è arrivato.

Spostandosi ancora avanti nel tempo, quando Monika compare davanti alla schermata del testo, in Doki Doki Literature Club! (Team Salvato, 2017) fa paura perché compie un’improvvisa e ancor più radicale violazione dello spazio. Non dovrebbe trovarsi in quello spazio, idealmente oltre il confine diegetico. Quel box di testo dovrebbe riguardare solo le persone oltre lo schermo, non i personaggi del videogioco. Eppure lei si colloca improvvisamente lì, per un momento, e questo fa paura.

Prendendo un ulteriore esempio che non è direttamente legato a un jumpscare, ma che mostra l’estensione di questo principio, si può prendere in considerazione anche Resident Evil Village (Capcom 2021). A castel Dimistrescu ci si trova spesso inseguiti dalla padrona di casa e dalle sue tre figlie, ma ci sono delle aree sicure dove le inseguitrici di Ethan non possono entrare. Si tratta in particolare della stanza del Duca, ove è presente anche la macchina da scrivere su cui salvare il gioco. Alcina Dimitrescu si ferma semplicemente fuori da quella porta, in attesa. Per quanto non abbia una grande coerenza narrativa, tutto ciò sottolinea la presenza di una delimitazione ludica ben chiara e spesso presente: dove si salva non si combatte. Concetto demolito nei sotterranei di villa Beneviento, quando si viene inseguiti dal feto mostruoso, che può entrare tranquillamente anche nella stanza dove è presente la macchina da scrivere. Una delle non poche ragioni che lo rendono così terrificante e spaventoso.

2)  Art of misdirection

«Usando di un artificio, trovate sempre modo di far credere al pubblico, indirettamente, che ne usate di un altro. Quest’arte che gli inglesi chiamano art of misdirection ha nella Prestigiazione un’importanza grandissima» (Carlo Rossetti, Il trucco c’è… ma non si vede, 1984, p 40). Se il punto precedente è molto più legato alle specificità del medium videoludico, questo ha numerosi collegamenti non solo con l’horror cinematografico, ma anche – come visto in apertura – con la prestigiazione (o prestidigitazione).

 Un ottimo esempio filmico, spesso citato in merito, viene da The Conjuring (2013) di James Wan. Vi invito a dare un occhio a questo video, se non avete mai guardato il film o se lo ricordate poco. Alcuni altri momenti di The Conjuring sono molto più iconici, come la scena del “battimani”, ma questo è un ottimo esempio di quel che si sta dicendo. C’è, in primo luogo, una crescita della tensione, fatta di diversi tasselli preparatori. Ma soprattutto ci si aspetta che la minaccia arrivi dall’interno dell’armadio, perché tutta la scena (e non solo questa) ruota attorno ad esso. Solo alla fine, al culmine della tensione, si scopre che lo spirito maligno è appollaiato sopra al mobile, non dentro di esso. È come il trucco del prestigiatore che, anche grazie all’utilizzo delle inquadrature, incanala la nostra attenzione verso un punto, così da poterci poi cogliere di sorpresa. C’è anche chi ha detto, come Katarzyna Marak in un suo articolo accademico, che sarebbe addirittura possibile osservare una sorta di misdirection in cui l’inserimento, in un videogioco horror, di elementi attrattivi come un companion canino verso cui sentirsi emotivamente vicini, porterebbe a non accorgersi delle trame ripetitive e dei triti colpi di scena. Ma è bene non allontanarsi troppo dal discorso.

Un caso videoludico un po’ particolare, per diverse ragioni, è The Cursed Forest (KPy3O, 2014/2019). Il videogioco, originariamente pubblicato in una versione gratuita su IndieDB nel 2014, aveva ottenuto un consistente successo su YouTube. Nel 2019 è stata poi pubblicata una versione a pagamento su Steam, con diversi cambiamenti rispetto alla sua precedente forma. Ed è forse un caso in cui la prima versione è per diversi aspetti la migliore, un po’ come la Gerusalemme Liberata di Tasso è generalmente ritenuta molto più interessante della sua successiva riscrittura per mano dell’autore stesso, la Gerusalemme conquistata. Anche il “nuovo” The Cursed Forest ha alcuni aspetti interessanti, ma almeno sul versante dei jumpscares compie alcuni passi indietro. La sua originaria versione rimane invece un esempio funzionale, nell’ottica qui descritta, perché non solo sa collocare i jumpscares dopo aver inserito dei momenti di relativa calma, con un crescendo di piccoli e innocui falsi allarmi (oggetti che cadono, rumori di passi, ecc.), ma anche e soprattutto perché riesce a distrarre l’utente per poterlo sorprendere al meglio. In più di un momento ci si aspetta che la minacciosa creatura presente nel gioco possa manifestarsi in un certo punto, ma è solo una distrazione, un trucchetto utile a spostare l’attenzione. Numerosi video di YouTube avevano per esempio messo in risalto il jumpscare del gabinetto, un passaggio non obbligato del gioco e che giunge al termine di un’ampia strategia di distrazione.

Occorre anche ricordare comunque, più in generale, che la gestione di questi elementi in un videogioco è molto più complessa rispetto a un film, perché si ha un minor controllo sull’inquadratura. Certo, si potrebbe forzare in alcuni momenti la telecamera a volgersi in una particolare direzione, ma non sarebbe una soluzione ottimale. Bisogna allora, tanto più, disseminare indizi visivi e sonori per attirare lo sguardo verso un certo elemento, per assicurarsi che almeno la maggior parte dei giocatori stia effettivamente guardando nella direzione “giusta”.

3) Fase preparatoria

Un momento molto interessante di Dead Space 2 (Visceral Games 2011) è il ritorno alla USG Ishimura, l’astronave su cui era ambientato il primo episodio della serie. Per alcuni minuti consecutivi, Isaac avanza lungo l’astronave senza che accada nulla. La tensione è altissima. Non solo il resto del gioco ha abituato alle improvvise apparizioni dei necromorfi, ma emergono anche i ricordi legati al precedente videogioco e ai pericoli che quella astronave nascondeva. Più si va avanti, più l’assenza dei nemici diviene inquietante, perché non si arriva mai al momento in cui si ha il rilascio della tensione. In un contesto del genere, alcuni piccoli dettagli (una scala che cade, un condotto che sfiata, ecc.) possono essere sufficienti per saltare sulla sedia, o comunque mantengono ulteriormente vigile il giocatore. Quando infine, nella semioscurità, si viene improvvisamente aggrediti da un necromorfo, è facile che si sia giunti al massimo picco della tensione, che può finalmente essere rilasciata.

La minaccia di un pericolo imminente è, in molti casi, ben più spaventosa del pericolo stesso. Perché quando quest’ultimo si manifesta può fare paura, ma almeno si sa cosa bisogna affrontare. Ecco perché – anche con The Cursed Forest – si è parlato dell’importanza di preparare il terreno al jumpscare. Gli spaventi improvvisi e del tutto casuali vanno bene per una reaction su YouTube, ma non sono ottimali. Se, mentre siete concentrati in una attività, una persona grida alle vostre spalle voi farete probabilmente un salto sulla sedia, per cui a modo suo quel gesto “funziona”, ma non ha nulla di davvero interessante.

In maniera similare, sia ChrisPruett sia ThomasGrip hanno sottolineato un importantissimo concetto: afar davvero paura non è il jumpscare, ma l’idea che possa esserci un imminente jumpscare. Ecco perché, per esempio, il ritorno alla USG Ishimura di Dead Space 2 funziona così bene. Quell’intera parte di gioco trasuda aspettative. A ogni piccolo rumore ci si prepara all’attacco di un necromorfo. Ma il tempo passa, i falsi allarmi si susseguono, nessun necromorfo è in vista. Si può confrontare tutto ciò con Batman: Arkham Knight (RocksteadyStudios, 2015), un videogioco piuttosto cupo, ma che difficilmente potrebbe essere etichettato come “horror”. In un contesto del genere, trovarsi improvvisamente attaccati da Man-Bat in cima a un palazzo può far saltare sulla sedia, ma solo perché non ci si aspetta qualcosa del genere. È l’equivalente del rumore forte e improvviso alle spalle: ci si spaventa per un momento, nulla di più.

- E MADiSON? -

Chi ha letto fin qui il presente contributo ha forse sentito parlare di MADiSON (BLOODIOUS GAMES, 2022), che secondo il progetto Science of Scare sarebbe il più spaventoso dei videogiochi. Il procedimento per calcolare tale primato è il seguente, come viene indicato nella presentazione della loro metodologia: «In each case our subjects had their heart rate monitored for the duration of their gameplay. From here we measured the average impact our shortlisted movies had on the heart rate (measured in BPM) of our subjects, compared to the average resting BPM of 65. We also recorded the biggest spikes seen from the games, alongside the average increase in heartrate, to find the games that had the biggest impact on our players».

Il risultato è che, basandosi sul campione di 200 persone che hanno selezionato per giocare, MADiSON è stato il videogioco che ha prodotto i “batticuori” più forti, frequenti e prolungati.

Sebbene definire in questo modo MADiSON l’horror “scientificamente più spaventoso” sia probabilmente eccessivo, anche perché lo spavento è un concetto molto più ramificato (e, al tempo stesso, sembrano esserci nella classifica dei videogiochi finiti lì per altre ragioni) la ricerca è comunque interessante. Viene anche il sospetto che, in base al campione selezionato, possa essere più facile vedere una predilezione per i giochi più recenti, se gli altri fossero almeno parzialmente noti. In ogni caso, attribuire un primato assoluto a MADiSON non è così importante. Ci sono molti contesti in cui è difficile, se non impossibile, stabilire un primato assoluto. Ciò che si può dire, semmai, è che questo videogioco è un ottimo esempio di utilizzo dei jumpscares in un contesto videoludico. Ha infatti un’efficace escalation preparatoria e non manca di ricorrere all’arte della misdirection per accrescere ulteriormente la tensione, obbligando il giocatore a concentrarsi su più punti differenti da cui subire un potenziale attacco, trovandosi spesso impreparato. Ideale erede di Visage (SadSquare Studio 2020) e di P.T. (Kojima Productions 2014), MADiSON contiene più di un momento che merita di essere studiato, per esempio quando obbliga a scattare foto a ripetizione per farsi luce, o per la sua – soprattutto iniziale – gestione delle statue che appaiono e scompaiono.

«Or va tu sù, che se’ valente!», diceva Belacqua a Dante nel Purgatorio (IV, v. 114). Mettendo da parte classifiche, mode e dintorni, ciò che conta è che possa sempre continuare a esserci un florido e interessante mercato per gli horror videoludici. Dove i più valenti possano essere apprezzati per le loro qualità. Tra cui figura anche, come si sarà ormai capito, un utilizzo intelligente del jumpscare.

Pubblicato il: 23/01/2023

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7 commenti

Bellissima analisi sul jumpscare e su citazioni che solo voi avreste potuto metterci. Sempre ad un livello qualitativo maggiore!

Più andiamo avanti e più il jumpscare sta venendo sovrautilizzato. Gli ultimi horror hanno abusato di questa tecnic …Altro...
Bellissima analisi sul jumpscare e su citazioni che solo voi avreste potuto metterci. Sempre ad un livello qualitativo maggiore!

Più andiamo avanti e più il jumpscare sta venendo sovrautilizzato. Gli ultimi horror hanno abusato di questa tecnica mettendocene 100 a film. E anche i videogiochi horror stanno iniziano ad abusarne, o almeno così ho notato

Livello qualitativo sempre altissimo, ogni volta è un piacere leggere Final Round. Analisi da paura!

Quella del jumpscare è una meccanica che trovo fin troppo abusata e mi sembra diventata sempre più difficile da realizzare efficacemente proprio per questo motivo, in molti giochi questi momenti sono davvero telefonati e i giocatori fin troppo abit …Altro... Quella del jumpscare è una meccanica che trovo fin troppo abusata e mi sembra diventata sempre più difficile da realizzare efficacemente proprio per questo motivo, in molti giochi questi momenti sono davvero telefonati e i giocatori fin troppo abituati a riconoscerli, a me personalmente i jumpscare oggi mi creano più fastidio/irritazione che paura.

Proprio per questo negli ultimi anni tendo a evitare quei giochi horror in cui so che ce ne saranno molti e preferisco horror più psicologici e narrativi come per esempio Faith The Unholy Trinity, un gioco fatto con 3 pixel in croce ma con un carisma eccezionale.

Come sempre Francesco è una garanzia!
Volevo fare una riflessione, i giochi horror mi affascinano soprattutto per una cosa, è l'unico genere il cui gameplay viene pesantemente influenzato da una sensazione, in questo caso la paura.
Durante il mio …Altro...
Come sempre Francesco è una garanzia!
Volevo fare una riflessione, i giochi horror mi affascinano soprattutto per una cosa, è l'unico genere il cui gameplay viene pesantemente influenzato da una sensazione, in questo caso la paura.
Durante il mio primo gameplay di Dead Space penso di aver percorso i corridoi della Ishimura 10 volte più lentamente di quanto avrei potuto fare, perché ero quasi bloccato dalla paura di trovare i necromorfi, cosa che poi andava a influenzare anche la mia mira, rendendola meno precisa.
Che ne pensi/pensate di questo concetto?

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