DANIEL MULLINS

Il giocatore è un avversario da sfidare

Piccola nota prima di cominciare: Le opere di Daniel Mullins sono – a giudizio di chi scrive – uno dei pochissimi casi in cui vale realmente la pena evitare spoiler. E lo dice una persona che, per lavoro, riceve spoiler su praticamente qualsiasi cosa e che pertanto non dà (quasi) mai peso alla cosa. Per parlare di Mullins e dei suoi videogiochi sarà ovviamente necessario rivelare almeno alcuni dettagli. Se non avete giocato Pony Island (2016), The Hex (2018) e Inscryption (2021), i suoi tre videogiochi principali, valutate se farlo ora e tornare poi qui a leggere.

LA SFIDA INTERPRETATIVA AL GIOCATORE

Tutto nasce con una sfida. Una sfida che chi sviluppa videogiochi lancia ai potenziali giocatori. Una sfida informativa che si sviluppa si più livelli. Prima ancora di toccare le questioni più interessanti, legate all’interpretazione di un’opera videoludica e al suo messaggio, bisogna infatti assicurarsi che le informazioni di base siano comprensibili.

Se si dovesse riassumere ciò che ha fatto Daniel Mullins con i suoi videogiochi si potrebbe proprio ricordare questa sua sfida che lancia costantemente al giocatore e in cui si trova coinvolto anche lui. Si tratta di un discorso che torna più volte, in varie forme, se si osserva la sua produzione, e che probabilmente impatta ancor più in profondità rispetto a tutta la componente meta-ludica, che ne rappresenta per certi versi una conseguenza.

Come Daniel Mullins ha ricordato all’inizio di un’intervista (Linea d’Ombra 2022), è difficile far comprendere a un videogiocatore anche le meccaniche e i concetti più semplici, e questo non riguarda solo i suoi videogiochi, ma l’intero medium. È un discorso che ritorna spesso, se ci si mette con calma a osservare la sua produzione. I suoi videogiochi su Itch.io, per esempio, presentano spesso un messaggio che suona come “sebbene il funzionamento di questo gioco dovrebbe essere semplicissimo e autoesplicativo, ecco qui di seguito la spiegazione dei comandi di gioco”. Ma anche all’interno dei suoi videogiochi, soprattutto The Hex, viene sottolineata questa difficoltà comunicativa. 

E dire che questa è solo la superficie, la buccia dell’arancia. È quella forma di difficoltà che definisco “segnico-nozionistica”, perché ha a che fare con la natura dei segni (visivi e testuali) che ci si trova di fronte e con le nozioni pregresse presenti nella nostra enciclopedia testuale. Per chi non ha mai giocato ai videogiochi, certe convenzioni che appaiono ovvie non lo sono per niente, perché non hanno il giusto sistema di decodifica nella loro mente. Per rendersene conto, basta andare su YouTube e cercare quei video in cui vengono fatti provare certi videogiochi a chi non si è mai avvicinato in precedenza al medium. 

Ma Mullins non si ferma certo qui, a questo problema che – come ha detto – riguarda l’intera industria, e su cui si spendono enormi risorse in termini di ricerca, soprattutto per quei videogiochi “per tutti”, in cui non ci si può aspettare che l’utente abbia per forza di cose la giusta conoscenza pregressa. Approcciarsi ai giochi di Daniel Mullins significa invece addentrarsi in una profondissima tana del bianconiglio, in una sfida di significato che tocca il piano di quella che io chiamo la difficoltà ermeneutico-interpretativa. Una grande sfida che ha prodotto documenti come questo, degni di Alan Turing e del Codice Enigma.

E come avviene nelle migliori sfide di ingegno, ci sono tanti dettagli nascosti. Così, per capire la figura e la poetica di Mullins, bisogna guardare anche al di fuori dei suoi videogiochi più famosi, esplorando la pagina che ha su Itch.io.

PRIMI ESPERIMENTI E GAME JAM

Come ha raccontato in un’intervista (Couture 2022), Daniel Mullins ha sempre progettato giochi, prima ancora di saper programmare. Da piccolo li ideava su carta – un elemento comune nelle storie di molti sviluppatori per inciso – e poi ha cominciato a utilizzare RPGMaker e Flash. Durante gli studi è passato a tools più avanzati come XNA, Cocos2D e poi Unity. Poi, nel 2014, si è laureato in informatica presso un’università canadese e ha trovato ben presto lavoro a Vancouver, la sua città natale (Nicoli 2019). La sua esperienza come programmatore junior è però durata molto poco, perché la start-up videoludica presso cui aveva trovato lavoro ha chiuso i battenti appena sei mesi dopo, perché erano stati ritirati i finanziamenti. Ormai, però, Mullins era entrato nel settore e aveva potuto completare la sua conoscenza del settore attraverso quell’esperienza lavorativa. Come emerge da queste poche righe, Mullins ha creato videogiochi per tutta la vita, per cui non deve suscitare stupore il suo Pony Island, pubblicato nel 2016, che lo ha portato ad essere uno sviluppatore indie e a tempo pieno. Quello non è un punto di partenza, ma un traguardo già piuttosto avanzato. E, prima di arrivarci, non sono mancati i fallimenti, al fianco delle sperimentazioni.

Uno dei primi tentativi compiuti da Daniel Mullins per mettersi in proprio viene infatti compiuto nel 2014, quando tenta la strada di Kickstarter con un progetto chiamato Catch Monsters, una versione più “adulta” di Pokémon in cui bisogna catturare e far combattere dei mostri di varia natura. Nonostante il traguardo monetario molto basso (poco più di 4000 euro), riesce a raccogliere solo il 70% della cifra richiesta. Un fallimento totale, considerando che il 2014 è un anno in cui la corsa all’oro dei videogiochi su Kickstarter è ancora ben vitale e il consiglio generale è quello di buttarsi in questa direzione. Non erano ancora emerse le numerose “batoste” e delusioni che portano oggi a essere molto più cauti. 

Cercando online è possibile trovare un paio di articoli e interviste su Catch Monsters e, in una di queste interviste (Crean 2014), Mullins dava questo suggerimento agli aspiranti sviluppatori di videogiochi: «Participate in game jams!». Un suggerimento che lui stesso ha seguito, visto che la maggior parte dei suoi lavori sono il frutto diretto o indiretto di una game jam. Questi eventi, diffusi in tutto il mondo in varie forme, seguono generalmente questa formula: bisogna sviluppare un videogioco in 48 o 72 ore, partendo da un tema che viene assegnato. Si tratta di un ottimo banco di prova per giovani sviluppatori, che possono mettersi in gioco in un contesto tranquillo e stimolante. Ed è proprio da una game jam che nasce, in forma embrionale, quello che sarebbe poi diventato Pony Island.

La game jam in questione è Ludum Dare 31, tenutasi dal 5 all’8 dicembre 2014. Il tema è Entire Game on One Screen. Il Pony Island di Mullins riceve diversi apprezzamenti e viene anche citato da Zoe Quinn tra i suoi videogiochi preferiti dell’anno (Quinn 2014). In seguito alla game jam, Mullins decide di portare avanti lo sviluppo di Pony Island, inizialmente come progetto secondario, nei ritagli di tempo. Con il passare del tempo e la crescita dell’apprezzamento, però, si rende conto che è proprio questo il cavallo su cui deve puntare.

Prima di proseguire con Pony Island, però, è anche bene ricordare che questo non è il primo gioco di Mullins uscito da una game jam a essere disponibile online. Al Ludum Dare 28 (tema You Only Get One) propone You Only Get 1!, in cui bisogna scegliere un oggetto con cui affrontare tre differenti prove volta per volta differenti (per esempio far infuriare un toro, uccidere un vampiro e schiacciare un’arancia) di un bizzarro show televisivo giapponese, cercando di raggiungere il punteggio più alto. Al Ludum Dare 29 (tema Beneath the Surface) ha prodotto Beneath the Ice, un videogioco in cui bisogna pescare sempre più in profondità sotto al ghiaccio, raccogliendo oggetti bizzarri e sinistri, fino a pescare un mostro degli abissi. Nello stesso anno partecipa anche alla Public Domain Jam di Itch.io, in cui bisogna creare un videogioco utilizzando un personaggio di pubblico dominio. Mullins realizza Paper Jekyll, un videogioco in cui il dr. Jekyll e mr. Hyde si alternano a seconda della direzione in cui si cammina, generando volta per volta reazioni differenti nei passanti (i poliziotti inseguono Hyde e ignorano Jekyll, i ladri inseguono Jekyll e sono spaventati da Hyde). Con Paper Jekyll, Daniel Mullins si aggiudica il primo posto di questa jam. Negli anni successivi l’autore ha partecipato anche alla seconda e terza edizione della Public Domain Jam, rispettivamente con The Tell-tale Heartbeatz e con MacRomeo and Julius. Con il primo di questi due ha nuovamente raggiunto il primo posto di quell’edizione. 

Quanto detto fin qui è sufficiente per capire quanto la mentalità della game jam sia legata alla produzione di Mullins, ma se non fosse sufficiente è possibile riportare queste sue parole: «Il processo alla base delle game jam mi accompagna ancora […]. Molto spesso penso a quanto tempo mi ci vorrà per fare qualcosa, e spesso mi sporco le mani e inizio a lavorare su qualcosa senza pensarci più di tanto e sembra che funzioni. Tutto ciò mi si ritorce contro, a volte, ma nella maggior parte dei casi mi metto al lavoro e faccio qualcosa ed è bello, indipendente da tutto il resto. Poi mi rendo conto che forse quel che ho fatto non è così adatto [al tema della jam o all’obiettivo], ma in un certo senso lo forzo ad adattarsi, e a volte questo fa sì che accadano, creativamente, cose davvero interessanti» (in Taylor 2018, traduzione mia). 

Il procedimento seguito è interessante, perché segue la velocità di esecuzione tipica delle game jam, unita al fatto che si va spesso a dover trovare una quadra tra la propria idea e il tema della jam. A volte è quest’ultimo a ispirare la prima idea di fondo, ma in molti altri casi si trova man mano la strada. Saper realizzare un videogioco in un tempo ragionevole è peraltro un aspetto fondamentale, spesso trascurato dai non addetti ai lavori, quando si parla di sostenibilità dello sviluppo.

Durante il periodo in cui porta avanti il suo lavoro a Pony Island, Mullins non abbandona il mondo delle jam, realizzando altri titoli ogni volta che ne ha l’occasione. Per Ludum Dare 32 (tema An Unconventional Weapon) realizza Pogo Dojo, in cui bisogna sconfiggere dei nemici con la propria pogo-katana saltellante, compiendo il maggior numero possibile di acrobazie aeree. Invece per Ludum Dare 35 (tema Shapeshift) propone The Ooze, in cui si controlla l’espansione di una melma nera in un antico tempio. Realizza anche il già citato The Tell-tale Heartbeatz, un rhythm game che riprende la storia del famoso racconto Il cuore rivelatore di Edgar Allan Poe. A questi si aggiunge Soil and Rubble, realizzato in un mese per l’Indie Game Making Contest 2015. In questo videogioco bisogna far crescere delle piante in un’atmosfera radioattiva, evitando di morire per la fame o le radiazioni e osservando la continua trasformazione dei frutti.

PONY ISLAND:
QUESTO NON È UN GIOCO SUI PONY

Alla sua uscita, Pony Island ha tutte le carte in regola per far parlare di sé. Sotto la carineria di un videogioco coi pony colorati si nasconde un esempio di glitch horror da creepypasta (Crawford 2018). E, qualche anno più tardi, lo stesso Mullins dirà di esser sempre rimasto affascinato da «l’atmosfera da creepypasta e dall'idea di vedere cose che non avresti dovuto scoprire» (in Kapron 2021, traduzione mia). Il vecchio cabinato che contiene il gioco Pony Island è infatti corrotto dal diavolo in persona, che desidera ottenere l’anima di chi ci gioca. Per superare il videogioco non bisogna limitarsi a giocare alle differenti e in vario modo corrotte versioni di Pony Island, ma bisogna interagire con il cabinato stesso in vario modo, per riuscire infine a salvarsi da Lucifero e a liberare le altre anime precedentemente intrappolate nel codice del gioco. 

Sebbene non fosse stato pensato con quell’intenzione, Pony Island ha tutte le carte in regola per diventare virale ed essere apprezzato dai creatori di contenuti su YouTube e sui social. Ne parla Mullins stesso (in Taylor 2018), ricordando in particolar modo il video di PewDiePie sul suo videogioco. Si può anche aggiungere che, nel 2016, il fenomeno brony (i fan adulti di My Little Pony: Friendship is Magic) è al suo apice e su internet abbondano contenuti bizzarri, geniali o spaventosi legati a dei pony colorati. Per cui, consapevolmente o meno, Pony Island ha modo di legarsi anche alla discorsività su questo ricco filone di contenuti user generated.

Ma, soprattutto, Pony Island fa qualcosa che i precedenti videogiochi di Daniel Mullins non avevano fatto: fa capire che, per poter giocare, bisogna rompere il gioco. L’aspetto più interessante della sua componente meta-ludica è probabilmente questo. Come avviene nelle varie creepypasta a tema videoludico, l’esperienza davvero interessante (e inquietante) è quella che risiede sotto la superficie, scavando tra glitch, linee di codice e altri “rottami” digitali. In fondo, il videogioco diventa un oggetto di analisi e significazione proprio in virtù dei suoi bug, dei suoi glitch e degli altri elementi che vanno a scompaginare il sistema (Lupetti 2023). Sono quei momenti in cui ci si trova a rinegoziare il confine tra gioco e giocatori, tra virtuale e non virtuale, perché è in quegli attimi che emerge la consapevolezza di questa distanza tra le parti, ma anche di quanto anche il nostro mondo sia pieno di “errori” bizzarri e inaspettati. Ecco perché un videogioco che procede come fa Pony Island, attraverso glitch e altre forme di rottura del gioco, parla in realtà del medium nel suo insieme.

Per riprendere questo discorso da un punto di vista leggermente diverso, Pony Island è stato anche definito (da Schoppmeier 2018) un esempio di countergaming, secondo la definizione che ne fornisce Alexander Galloway (2006), ovvero una di quelle esperienze videoludiche che vanno contro le convenzioni formali del medium, rompendo gli schermi e portando gli utenti a riflettere criticamente sull’attività ludica che stanno svolgendo. E, in effetti, Pony Island ha molto da dire su quello che è il medium stesso. I suoi successori, The Hex e Inscryption, andranno ancor più in questa direzione, ma già in questa sua opera Mullins apre la porta a un gran numero di possibili riflessioni.

A quasi due anni dall’uscita di Pony Island è arrivato un altro videogioco che ha riportato l’attenzione sul prodotto di Mullins, producendo diversi confronti tra queste due esperienze. Si tratta di Doki Doki Literature Club! (Team Salvato, 2017), che si presenta come la classica visual novel romantica, in cui scegliere quale fanciulla corteggiare, ma si rivela in realtà un’esperienza horror, molto legata al mondo creepypasta, in cui rivestono una grande importanza le azioni di Monika, una delle ragazze. Monika interpella direttamente chi gioca, manipola i file di Doki Doki Literature Club! e mette in campo una particolare forma di “creepysguardo” volta a destabilizzare ulteriormente l’esperienza (per maggiori informazioni: Cavaletti e Toniolo 2021). 

Le analisi su Pony Island e Doki Doki Literature Club! hanno sottolineato le somiglianze e le differenze tra questi due prodotti, seguendo volta per volta differenti spunti. Christopher Barkman (2020), per esempio, osserva i modi con cui questi due videogiochi sviluppano due differenti forme di metalessi. La metalessi è una figura retorica non molto frequente, che si presenta come una sorta di metonimia a più passaggi, meno immediata. Come è possibile ricordare dagli studi scolastici metonimia è la sostituzione di un elemento con un altro a esso legato da un rapporto più o meno diretto (es. “studiare Manzoni” per “studiare i Promessi sposi (scritti da Manzoni)”. La metalessi, probabilmente meno studiata e ricordata, segue un procedimento similare, ma non c’è un traslato immediato: «come esempio, Quintiliano cita il verso della 1a egloga di Virgilio Post aliquot mea regna videns mirabor aristas, dove post aliquot aristas (propr. «dopo alcune reste [di grano]») significherebbe «dopo alcuni anni», significato a cui si giunge gradatamente passando dalle reste alle spighe, dalle spighe alle messi, da queste alle estati e dalle estati agli anni» (voce Metalèpsi in «Treccani»).

Perché, dunque, Pony Island e Doki Doki Literature Club! sono due esempi di metalessi videoludica? Secondo Barkman (2020), il primo dei due sarebbe un esempio di metalessi ontologica, nel momento in cui iniziamo a manipolare il cabinato arcade, perché stiamo andando a generare una sovrapposizione tra differenti piani del gioco, ma sempre restando all’interno di Pony Island. In Doki Doki Literature Club!, invece, si assiste a una metalessi retorica nel momento in cui le azioni che solitamente spettano al giocatore (come il riavviare la partita) vengono controllate da Monika, un personaggio non giocante. In seguito, il gioco propone anche una forte intrusione nell’ambito extradiegetico, quando chiede a chi gioca di manipolare i file presenti nelle cartelle del sistema. 

A prescindere da queste differenziazioni, probabilmente fin troppo tecniche, è utile ricordare questo: entrambi i videogiochi hanno puntato molto su una sovrapposizione e mescolanza di differenti livelli della narrazione, talvolta senza collegamenti espliciti tra di loro, richiedendo peraltro a chi vuole decodificarli appieno quello sforzo di decodificazione progressiva tipico di figure retoriche come la metalessi. 

Non solo: cosa ancor più importante, entrambi vanno nella direzione opposta rispetto a quanto viene generalmente suggerito, sul fatto di non interrompere né il patto narrativo né il flow (una progressione costante e sfidante della difficoltà). C’è un testo di Damien Schlarb (2019) che parla proprio di questo. Prima di arrivare a Pony Island, Schlarb prende in considerazione altri esempi, tra cui una famosa sequenza di Batman: Arkham Asylum (Rocksteady 2009) in cui l’effetto allucinogeno prodotto da Spaventapasseri si estende da Batman al giocatore, che crede di assistere al crash del gioco. In un momento del genere ci si ritrova catapultati davanti al fatto che si sta giocando, la finzione viene spezzata, e anche l’andamento del gioco subisce un arresto, perché ci troviamo davanti a una sezione diversa dalle altre. Eppure tutto ciò finisce per rafforzare il legame con il personaggio di Batman, invece che indebolirlo. Trovarsi davanti alla “rottura” del gioco fa paura, è disorientante, ma diventa anche una fonte di grande eccitamento una volta che si è compresa la direzione che il gioco vuole farci seguire

Questi sono degli elementi da tenere in considerazione, perché avranno una grande importanza anche per il successivo videogioco di Mullins.

THE HEX:
QUANDO IL NEMICO È LO SVILUPPATORE

Mentre Pony Island suscita l’interesse di un buon numero di giocatori, Daniel Mullins porta avanti altre sperimentazioni attraverso la partecipazione a diverse jam. A fine 2016 partecipa a Ludum Dare 37 (tema One Room) con il suo OneRoom, tutto ambientato in una chatroom online. Come si scopre dopo poco, ci siamo infiltrati in quella che è una chat di pedofili che, tra le altre cose, ama condividere dei brevi videogiochi sviluppati durante una jam. Videogiochi che contengono dei riferimenti piuttosto chiari su ciò che amano i partecipanti di quella chat (in uno dei giochi si controlla Pedobear, in un altro si raccolgono caramelle, ecc.). Probabilmente uno tra i più disturbanti videogiochi di Daniel Mullins, almeno se si decide di seguire le regole, rispondendo a tono alla chat. In caso contrario ci si rende conto dei limiti alle risposte che danno, andando a rompere l’illusione in un modo che non risulta stimolante, a differenza di casi come Pony Island. Nel 2017 realizza Blunderbuss per la Game Maker's Toolkit Jam (tema Dual Purpose Design), un videogioco in cui i proiettili sparati sono al tempo stesso i nemici da affrontare. L’arma utilizzata spara infatti dei proiettili casuali, alcuni dei quali si rivoltano subito contro il giocatore. Bisogna utilizzare questa peculiare meccanica per proseguire nell’avventura. sempre nel 2017 propone It’s A Small World per Ludum Dare 38 (tema A Small World). Giochiamo nei panni di un uomo carota che ogni giorno saluta la coniglietta che ha sposato e va al lavoro, in un mondo felice dove conigli e carote vivono in pace da tanti anni. A un certo punto, però, vediamo che il cielo si oscura, lasciando solo uno spiraglio visibile, dove appare la fronte di un enorme coniglio. Un istante dopo, il gioco cambia radicalmente: prendiamo il controllo di un altro uomo carota, armato e intento ad ammazzare un gran numero di conigli. Come si capisce dall’ultimo istante di gioco, il piccolo mondo felice visto all’inizio stava tutto su uno dei proiettili dell’altro uomo carota, per cui il cielo oscurato era la canna della pistola.

Poi, nel 2018, arriva The Hex. La premessa del gioco è semplice e curiosa: in un fatiscente locale si sono radunati sei personaggi dei videogiochi e, come viene rivelato da una telefonata, c’è qualcuno in quel luogo che sta pianificando un omicidio. A turno si controllano questi sei personaggi, muovendoli all’interno dell’edificio e andando anche a ripercorrere i loro videogiochi d’origine. C’è Weasel Kid, il ragazzo donnola protagonista di una serie di platform. C’è lo chef Bryce, che dalla serie Cookinq Quest è poi finito all’interno di un picchiaduro. C’è Chandrelle, la maga dell’RPG fantasy Secrets of Legendaria. Rust è invece il protagonista di un gioco isometrico postapocalittico. Lazarus, inizialmente compagno di viaggio di Chandrelle, è poi finito a fare lo space marine in uno sparatutto. Il sesto personaggio, senza nome e senza volto, è il personaggio di un walking simulator chiamato Walk

Mentre si seguono le loro storie emergono anche moltissimi dettagli sui videogiochi di cui hanno fatto parte, andando volta per volta a scoprire elementi del “mondo reale”. Si vedono per esempio le recensioni di Super Weasel Kid, inizialmente tutte positive, che diventano sempre più critiche man mano che giungono i derivativi e ben poco ispirati seguiti del gioco. Combat Arena X, in cui lo chef Bryce si fa strada tra vari avversari, mostra le continue polemiche e lamentele sul bilanciamento del gioco, i cui personaggi sono sempre troppo forti o troppo deboli secondo la community. Secrets of Legendaria viene giocato su Twitch, di cui è possibile vedere la chat. Waste World, il videogioco di Rust, non è mai stato terminato dal suo creatore e i modders ci han messo mano pesantemente. Ma il momento più interessante è quando si gioca a Walk, perché è un videogioco fatto apposta per raccontare il percorso di Lionel Snill, l’autore di tutti questi videogiochi, che ha creato quest’ultima esperienza per raccontare il suo percorso da sviluppatore. 

Lionel Snill è il nemico. È lui la persona che viene uccisa, alla fine del gioco. Non c’è un assassino da scoprire, perché tutti i personaggi prendono parte all’azione, aprendo un portale verso il mondo reale. Insieme a loro sei c’è il barista, il vecchio Reginald, che in passato era stato il protagonista del primo videogioco realmente sviluppato da Lionel. Prima di Super Weasel Kid, infatti, costui aveva realizzato Root Beer Tender, poi distrutto per far apparire Lionel Snill come un genio apparso dal nulla.

Eppure è possibile ascoltare anche il punto di vista di Lionel Snill, scoprendo quali sono le persone che egli giudica a sua volta dei nemici. Lo sono più o meno tutti quanti, come si scopre in Walk. La sua storia è quella di un giovane ragazzo, appassionato di videogiochi, che finisce per essere corrotto dal successo improvviso e divorato dalla paranoia. Man mano che passano gli anni, Lionel ha smesso di essere il ragazzino che aveva realizzato Root Beer Tender ispirandosi a suo nonno e Super Weasel Kid (ispirato al suo animale domestico). Lionel sfrutta i suoi dipendenti, ingaggia futili guerre legali contro i modders, si isola dai parenti e tradisce i pochi amici rimasti. Ma, dal suo punto di vista, sono gli altri a essere perfidi o incapaci. La cosa interessante è che Lionel Snill non ha completamente torto. È questa una delle ragioni per cui The Hex è interessante. Le sue lamentele sui giocatori di Combat Arena X, per esempio, non sono del tutto immotivate, è vero che i fan sono malmostosi e si lamentano sempre per il bilanciamento, ma Lionel finisce per prendere questa come una scusa. Va anche detto che Lionel ha avuto un pessimo consigliere: Irving, una sorta di assistente virtuale che gli ha dato una mano a sviluppare i suoi videogiochi. Irving è brutale e spietato. È lui, per esempio, a spezzare le gambe di Reginald mentre fa sparire Root Beer Tender. Anche Carla Dosa, l’amica di infanzia di Lionel, è un personaggio su cui è difficile dare un giudizio univoco. Carla ha sempre supportato i lavori dell’amico, come si vede dalle sue recensioni a Super Weasel Kid, finendo poi a lavorare per lui, quando Lionel mette insieme un team di sviluppatori per realizzare Combat Arena X. I rapporti tra di loro, però, si inaspriscono sempre di più e, dopo il fallimento di Secrets of Legendaria, smettono di parlarsi. Carla è la creatrice di Sado, uno tra i più inquietanti ed enigmatici personaggi di The Hex, che nel finale del videogioco riesce a trasportarsi nel mondo reale, sfruttando il portale aperto da Reginald e dagli altri.

La storia di Carla, di Sado e di altri personaggi mostra anche sempre di più quanti segreti siano nascosti nei videogiochi di Daniel Mullins, e quanto stia creando una sorta di “mullinsverso” in cui tutto è direttamente o indirettamente legato. Questo sarà evidente soprattutto con Inscryption, che riprenderà un gran numero dei personaggi apparsi in The Hex, ma lo si vede anche qui. Carla, per esempio, sviluppa un videogioco di pesca chiamato Beneath the Surface, a cui bisogna giocare per scoprire un dialogo segreto di Lionel. Questo videogioco non è altro che una versione risistemata di Beneath the Ice, che Daniel Mullins aveva realizzato per Ludum Dare 29. 

È particolarmente interessante osservare le scelte di Daniel Mullins in The Hex. Come si è detto, per Mullins ogni videogioco rappresenta una sfida, in cui il giocatore è l’avversario. Questa sfida può essere affrontata in modo onesto e costruttivo, lanciando al giocatore dei misteri da risolvere, che possano andare anche oltre la risoluzione del gioco stesso. Ma è anche possibile vedere una persona come Lionel Snill, che finisce per incarnare tutti i mali dietro allo sviluppo dei videogiochi. Mullins è ben consapevole di questa sfida che ha lanciato ai giocatori, che vede come dei “rivali” in senso buono: «è bello leggere le teorie dei fan sui segreti e sul mondo del gioco. A volte è gratificante trovare qualcuno che ha compreso pienamente il significato di qualche oscuro dettaglio che ho inserito, altre volte è divertente vedere qualcuno ossessionato da quella che è una sua interpretazione del tutto arbitraria, o persino da un errore» (in Nicoli 2019). 

Vale anche la pena ricordare che l’originaria ispirazione alla base di The Hex non è neanche così originale. Come ha detto Mullins stesso: «Mi ha ispirato The Hateful Eight di Quentin Tarantino, anche se sono consapevole che le premesse e gli stereotipi di quel film a loro volta non erano originali» (in Nicoli 2019). Ma, come intuibile, la premessa di fondo può anche essere un elemento non così originale. Ciò che conta è vedere che cosa un artista è in grado di fare partendo da esso. Come ha fatto del resto lo stesso Tarantino, che ha basato i suoi film sul citazionismo e il rimpasto di situazioni precedenti, poste sotto una nuova luce. Per Daniel Mullins, come si è detto, molte ispirazioni arrivano dalla partecipazione a una game jam, ed è proprio da qui che nasce, ancora una volta, il suo successivo videogioco.

INSCRYPTION:
LE CARTE DEL SACRIFICIO

Il tema di Ludum Dare 43, la jam svoltasi a dicembre 2018, è "Sacrifices must be made". Daniel Mullins partecipa con un videogioco dal titolo omonimo. Il suo videogioco si piazza al secondo posto, dopo Total Party Kill, ma riceve comunque un grande apprezzamento e attira un certo interesse. Sacrifices Must Be Made è un gioco di carte decisamente creepy, in cui bisogna sacrificare le carte più deboli per poter giocare le più forti. Fino a qui nulla di nuovo, visto che è la stessa meccanica che si trova in Yu-Gi-Oh! e in altri popolari giochi di carte. Questa, però, è stata l’idea di fondo, come detto dallo stesso Mullins: «Il tema era Sacrifices must be made. Sono un giocatore di giochi di carte da molto tempo, ma di recente sono tornato su Magic: The Gathering e in quel gioco ci sono alcune meccaniche che hanno a che fare con il sacrificio delle carte, per cui Magic mi è venuto in mente quando è emerso il tema. Ho pensato “oh, sarebbe bello se ci fosse un gioco di carte in cui il sacrificio è un elemento centrale”, e così mi sono venuti in mente gli scoiattoli da sacrificare per ottenere altre creature» (in Kapron 2021, traduzione mia).

L’idea è poi stata portata avanti, passando dal sacrificio delle carte a quello del proprio corpo. Per arrivare a vincere è possibile cavarsi i denti o un occhio, oppure tagliarsi una mano. Visto che c’è in gioco la propria sopravvivenza, in una partita a carte contro un misterioso spirito della foresta, non è nemmeno una scelta così assurda. Poi, nel finale, ecco l’ultimo sacrificio: lasciare che lo spirito si prenda il bambino che è lì con noi o donare la vita per salvare la sua? 

Questo è il videogioco da cui sarebbe poi emerso Inscryption. Alla luce dei molti commenti positivi ricevuti, infatti, Mullins ha deciso di portarne avanti lo sviluppo, trasformando un gioco da game jam in un prodotto vendibile su Steam. Vale peraltro la pena fare una partita a Sacrifices Must Be Made anche se si è già giocato a Inscryption, perché il loro focus è differente. Quest’ultimo, infatti, torna pesantemente sul glitch horror, la metanarrativa e la sfida ermeneutica che hanno caratterizzato The Hex e Pony Island, mentre Sacrifices Must Be Made è più vicino a un concetto orrorifico tradizionale. Ci si trova davanti a un essere soprannaturale che ci mette alla prova tramite una sfida, un topos ricorrente in tantissimi miti e leggende. 

Prima di osservare Inscryption, vale anche la pena segnalare i restanti videogiochi “da game jam” di Daniel Mullins, realizzati dopo Sacrifices Must Be Made. Uno di questi è Keep It Alive, realizzato per Ludum Dare 46 (aprile 2020, tema Keep it alive). Il gioco sfrutta in due modi il tema della jam, visto che bisogna contemporaneamente tenere viva la locomotiva del treno e pompare un misterioso cuore per non farlo morire. Tra una spalata di carbone e un massaggio cardiaco, inoltre, bisogna tenere d’occhio gli assalti dei banditi e le suole delle proprie scarpe. Per la successiva Ludum Dare 47 (ottobre 2020, tema Stuck in a loop), invece, realizza Bloop, in cui un soldato rivive all’infinito la sua morte, quando una lancia gli trafigge il cranio. Muovendo il personaggio è possibile spezzare il loop, andando progressivamente a ricostruire la storia pregressa e successiva a quel momento, con un caso molto particolare di disposizione dell’intreccio. Poi, a Ludum Dare 50 (aprile 2022, tema Delay the inevitable) realizza Claim your FREE BitBuddy™ TODAY!, in cui bisogna prendersi cura di un esserino chiamato BitBuddy. Se si chiude la finestra di gioco, il BitBuddy muore e, riavviando la partita, al suo posto si trova solo un mucchio di ossa. In alternativa si può lasciar andare avanti il gioco, fino al momento in cui il BitBuddy muore di vecchiaia. Nel mentre è possibile inserire diversi codici segreti per modificare ciò che appare a schermo.

Il suo gioco (attualmente) più recente è Boba, realizzato per Ludum Dare 52 (gennaio 2023, tema Harvest). In questo breve gestionale bisogna far prosperare la civiltà dell’antico Egitto, arrivando dopo un po’ a raccogliere una misteriosa sfera rosa, che decolla verso lo spazio. Diviene allora possibile effettuare operazioni analoghe in altri luoghi della Terra o su altri pianeti. Poi, alla fine, nella galassia piena di sfere rosa compare un’enorme cannuccia e si comprende così il titolo del gioco: Boba è un modo con cui viene chiamato il Bubble Tea. Qui Mullins riprende un tema che aveva già sviluppato in It’s A Small World, quello della grandezza dei mondi, portandolo su una scala cosmica e inserendolo in un genere videoludico differente. 

Tornando a Inscryption, la prima parte del gioco è una versione estesa di Sacrifices Must Be Made. Si gioca a carte contro un misterioso spirito della foresta, seguendo un modello di gioco da deckbuilder roguelike, in cui bisogna scegliere volta per volta il percorso da seguire, cercando di potenziare al meglio il proprio mazzo. Tra una partita e l’altra è possibile alzarsi dal tavolo e fare un giro nella capanna del nostro sfidante, risolvendo enigmi che forniscono ulteriori carte e oggetti. Le due dimensioni di Inscryption, il gioco al tavolo e l’esplorazione della capanna, si influenzano vicendevolmente. Tutto ciò, che rappresenta già un originalissimo deckbuilder ibridato con la risoluzione di enigmi, è in realtà solo il primo atto di Inscryption. Dopo la sconfitta di Leshy, il misterioso individuo che ci ha sfidato, si scopre che egli è uno dei quattro scribi creatori di carte. Il gioco cambia radicalmente, nello stile visivo e nell’approccio, portando il giocatore a viaggiare per sfidare i quattro scribi, costruendo un mazzo che non è più composto solo dalle bestie di Leshy, ma che può contenere anche i non-morti di Grimora, i robot di P03 e le creature magiche di Magnificus. Dopo averli sconfitti tutti si passa al terzo atto, in cui ci si trova prigionieri di P03, costretti a giocare a una versione ancora differente del gioco, che unisce la partita a carte, l’esplorazione di una mappa e la risoluzione di enigmi presenti nella stanza. Il gioco di P03 serve a realizzare la Grande Trascendenza con l’aiuto inconsapevole di Luke Carder, un collezionista di carte che ha trovato una copia di Inscryption nel bosco e di cui seguiamo le vicende attraverso alcuni filmati con un attore in carne e ossa (e a un certo punto si capisce anche che è lui il protagonista, noi stiamo idealmente giocando con lui che gioca al gioco). La Grande Trascendenza – che avrebbe portato alla diffusione di Inscryption – viene fermata dagli altri scribi e i dati del gioco vengono cancellati. O, almeno, così sembrerebbe, perché l’ARG (Augmented Reality Game) di Inscryption ha infine rivelato che P03 è riuscito a caricare almeno una copia.

Questo è solo un piccolo segmento dei moltissimi segreti che ruotano attorno al gioco e che hanno impegnato gli utenti per mesi. Moltissimi elementi restano in sospeso, pronti per essere recuperati nel prossimo videogioco di Daniel Mullins che, come ha mostrato, sta portando avanti un unico universo narrativo. Sado di The Hex è a piede libero nel “mondo reale” e alla fine di Inscryption ha ucciso Luke Carder. P03 è almeno in parte riuscito nel suo intento. GameFuna, l’azienda presente in The Hex e Inscryption, è operativa e ancora piena di misteri. 

Nonostante ciò, Mullins in un’intervista (Kapron 2021), il finale che il “giocatore medio” ottiene è abbastanza esplicativo e conclusivo. Scavando più in profondità emergono ulteriori informazioni, ma anche ulteriori elementi su cui speculare e riflettere. Forse non ci sarà mai un Inscryption 2 e questi eventi saranno ripresi solo come curiosi easter eggs nei videogiochi futuri di Mullins. O forse è solo un altro passo verso il “mullinsverso”

Una cosa però è certa. La sfida ermeneutico-interpretativa lanciata al giocatore è più viva che mai. Ed è una sfida che il singolo utente non può vincere. Serve una community. Serve uno sforzo corale. Solo così è possibile muoversi in quel labirinto di codici ed enigma dell’ARG. 

Il videogioco esce dai suoi confini. Non perché sia metanarrativo. Non solo, perlomeno. Esce dai suoi confine perché porta gli appassionati ad attivarsi e scervellarsi per risolvere quella grande sfida che Daniel Mullins ha lanciato loro. Non è certo l’unico caso in cui una community videoludica opera in questo modo, ma è certamente un contesto da ricordare e studiare. 

Mullins ha sfidato i suoi avversari, i giocatori. E loro hanno risposto.

BIBLIOGRAFIA

Barkman (2020): Christopher Barkman, Not that kind of Level: Metalepsis and Narrative Levels in Pony Island and Doki Doki Literature Club, «Proceedings of DiGRA Australia 2020», pp. 1-3. 

Cavaletti e Toniolo (2021): Federica Cavaletti, Francesco Toniolo, Una dinamica degli sguardi dall’immaginario creepypasta all’horror videoludico, «H-ermes. Journal of communication», 19, pp. 71-92. 

Couture (2022): Joel Couture, How a game jam on “sacrifices” became Inscryption, «Gamedeveloper». 

Crawford (2018): Emily E. Crawford, Glitch Horror: BEN Drowned and the Fallibility of Technology in Game Fan Fiction, «ToDiGRA», 4, 2, pp. 77-101. 

Crean (2014): Adrienne Crean, Let’s….CATCH MONSTERS!: An Interview with Daniel Mullins, «Wethenerdy». 

Galloway (2006): Alexander R. Galloway, Gaming: Essays on Algorithmic Culture, University of Minnesota Press, 2006. 

Kapron (2021): Nicola Jean Kapron, Inscryption Interview: Developer Daniel Mullins on Bringing New Life to 3D Retro Horror Games, «Gamerant». 

Linea d’Ombra (2022): Linea d’Ombra, Quando il gioco si fa Indie - Incontro con Daniel Mullins - Quinto elemento – LdOXXVII, YouTube

Lupetti (2023): Matteo Lupetti, UDO. Guida ai videogiochi nell’antropocene, SIDO. 

Nicoli (2019): Gilles Nicoli, Daniel Mullins e il metavideoludico, «Ludicamag». 

Quinn (2014): Zoe Quinn, Zoe Quinn’s Top 10 Games of 2014, «Giantbomb». 

Schlarb (2019): Damien Schlarb, Narrative Glitches: Action Adventure Games and Metaleptic Convergence, in Sascha Pöhlmann (edited by), Playing the Field: Video Games and American Studies, de Gruyter, pp. 195-210. 

Schoppmeier (2018): Sören Schoppmeier, Breaking the Habitual: ‘Pony Island’ as Countergaming., in Ilka Brasch and Ruth Mayer (edited by), Modernities and Modernization in North America, Universitätsverlag Winter, pp. 427–448. 

Taylor (2018): Ivy Taylor, From failed Kickstarter to career-defining success: The story of Pony Island, «GamesIndustry».

Pubblicato il: 31/01/2024

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3 commenti

Come sempre è un piacere leggere un pezzo di Francesco, a mio avviso il miglior accademico italiano in circolazione. L'articolo dà molti spunti di riflessione e in futuro mi piacerebbe molto leggere un approfondimento sulla "alfabetizzazione videol …Altro... Come sempre è un piacere leggere un pezzo di Francesco, a mio avviso il miglior accademico italiano in circolazione. L'articolo dà molti spunti di riflessione e in futuro mi piacerebbe molto leggere un approfondimento sulla "alfabetizzazione videoludica". Bravi bravi bravi.

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