LUCAS POPE
Il factotum dell’incastro investigativo
«”Un suicidio truccato da omicidio,” disse Currò. “A questa conclusione siamo arrivati. E se fosse il contrario? Se il mulino fosse un gigante? Se un omicidio si fosse truccato da finto omicidio per far credere a un suicidio?” Il faro di Punta di Mezzo, disattivo durante l’estate, ora a intermittenza lampeggiava nella sorgente caligine. Pareva dire sì, no a qualunque ipotesi nostra, insegnarci le incertezze della certezza…» (Bufalino, 2003, p. 133).
La citazione proviene da Qui pro quo, un romanzo dello scrittore Gesualdo Bufalino. Una strana storia, teoricamente un giallo, che si rivela ben presto per quel che è davvero: un grande sistema di maschere e specchi in cui verità e menzogne si sovrappongono, fino ad arrivare a un ibrido tra narrazione e teoria. La storia segue le indagini sull’omicidio (o suicidio?) di Medardo Aquila.
Medardo Aquila è un editore, per l’appunto di libri “gialli”, e si trova a trascorrere le vacanze con sua moglie e diversi ospiti, tra i quali il cognato e socio Ghigo, l’avvocato Belmondo e sua moglie Matilde, la direttrice editoriale Lidia, uno scultore, un pittore e altra variegata fauna umana. Tra tutti, personaggio eminente, nonché narratrice della storia che vede vittima Medardo, c’è Ester Scamporrino alias Agatha Sotheby, segretaria dell’editore, la quale ha scritto un libro che s’intitola, guarda un po’, Qui pro quo. L’indagine di Ester sembra seguire la classica direzione presa da tanti famosi investigatori: ha quel colpo di genio che le consente di mettere insieme tutti i tasselli del puzzle e risolvere la soluzione. Aquila, dice, avrebbe fatto in modo di suicidarsi attraverso un complesso sistema che coinvolgeva un busto di Eschilo, il drammaturgo che, secondo la leggenda, sarebbe morto a causa di una tartaruga lasciata cadere da un’aquila in volo. Ecco allora il geniale e «sardonico calembour: poiché un’aquila ha ucciso Eschilo, Eschilo ucciderà Aquila, e il circolo si chiuderà» (p. 119).
Tutto perfetto. È il momento in cui Ester espone davanti a tutti i presenti le cause del decesso. Certo, è un decesso che «odora di post-moderno» (p. 120), come commenta uno dei presenti, ma tutto si incastra alla perfezione. O, perlomeno, così sembra. Dopo poco emergono nuovi dubbi e nuove incertezze, fino al ritrovamento di una lettera di Medardo Aquila (la terza che aveva lasciato) che potrebbe riaprire il caso. Ester, senza aprirla, la lascia cadere nel mare.
Qui pro quo di Bufalino non ha alcun collegamento diretto con Lucas Pope, ma ha molto da dire sui suoi videogiochi. In entrambi i casi, ci si trova davanti a un meccanismo investigativo che viene approcciato con tutti i crismi dell’approccio “classico”, andando però a ricombinarne i pezzi in un modo spiazzante e assolutamente contemporaneo. Questa è una delle due chiavi interpretative con cui approcciarsi alle sue opere, è il filo rosso che le lega sotto la superficie, dove appaiono diversissime. A un primo impatto potrebbe sembrare un’idea piuttosto strana, visto che i suoi videogiochi non sono certo degli investigativi nel senso stretto del termine. C’è forse chi definirebbe “burocratici” i suoi prodotti, e in alcuni casi non sarebbe certo una affermazione scorretta. Le differenti fasi della sua vita e l’osservazione attenta dei suoi videogiochi, comunque, chiariranno meglio il concetto. L’altra chiave interpretativa, che emerge fin da subito con forza nella sua biografia, è quella del factotum, del “tuttofare” che crea, ripara e assembla oggetti.
DAI PRIMI PASSI AD UNCHARTED
Fin da piccolo, Pope si trova davanti a varie forme di problem solving in cui bisogna utilizzare gli strumenti a propria disposizione per far funzionare qualcosa. Suo padre, infatti, è un tuttofare: una persona che si occupa di ristrutturazioni, riparazioni domestiche e vari altri lavoretti. Un “aggiustatutto” non specializzato in un ambito specifico, che però sa utilizzare i suoi strumenti e le sue conoscenze per risolvere diverse situazioni. Anche le prime letture di Lucas Pope sono delle specie di manuali per boy scout, in cui viene spiegato come costruire oggetti di vario genere. Erano quelli i libri che trovava in giro, e poteva metterne in pratica le istruzioni nel laboratorio del padre. Pare che siano stato questi stimoli ad aver spinto Lucas Pope a interessarsi all’ingegneria meccanica, che può essere vista come una forma più avanzata dello stesso concetto. Nello stesso periodo, si interessa alla programmazione quando i suoi genitori acquistano un Mac Plus (Cullen, 2014). Durante gli anni di studio, Pope approfondisce le sue conoscenze di meccanica e di robotica, compiendo vari esperimenti pratici. A un certo punto, però, si rende conto che lo studio di questo ambito lo appassiona meno di quel che avrebbe pensato. Trova, invece, un crescente interesse nella programmazione informatica, che è comunque presente all’interno del suo percorso di studi e con cui aveva già fatto qualche esperimento da piccolo.
Questo suo interesse si unisce all’ambito videoludico soprattutto grazie a Quake (1996), il famoso sparatutto di id Software. Pope partecipa attivamente alla community internazionale di modder legata al gioco. L’amore per Quake e la programmazione spinge Pope e un gruppo di altri modder a fondare uno studio di sviluppo: Ratloop Games (il nome inizialmente scelto era Epochalypse). Il loro primo lavoro è Malice: 23rd Century Ultraconversion for Quake (1997), una total conversion di Quake, ovvero una mod che altera profondamente il gioco originario. Per giocare a Malice era necessario avere installata la versione completa di Quake. Nonostante alcuni problemi legati alla distribuzione, Malice viene accolto con entusiasmo (Machkovech, 2019) ed è tutt’ora ricordato da diversi appassionati come un videogioco ricco di innovazione, uscito in un periodo in cui il genere stava trovando la sua effettiva strada: è infatti nel 1998 (anno, tra le altre cose, di Unreal e soprattutto di Half-Life), che l’etichetta di “First Person Shooter” si afferma sull’etichetta di “Doom Clones” (Arsenault, 2009). Non sono più solo i “cloni di Doom”, gli sparatutto in prima persona sono divenuti un genere autonomo e riconoscibile.
Il primo passo di Pope nell’industria è un ottimo inizio, anche se poco indicativo per quella che sarà la sua direzione futura. Vale però la pena sottolineare che il suo lavoro su Malice «included a mix of art, modeling, and back-end work» (Machkovech, 2019). È un po’ un factotum, un tuttofare, proprio come suo padre, seppur in un contesto molto differente.
È proprio il ricordo degli anni trascorsi al fianco del padre, però, che danno a Lucas Pope l’idea per il progetto successivo, che comincia a essere molto più personale. Da piccolo, Pope aveva trascorso diverso tempo guardando il padre che metteva mano ai motori e, a un certo punto, aveva iniziato lui stesso. Per cui, ben prima di avere la patente, aveva sviluppato una grande conoscenza sul funzionamento interno delle automobili. Come detto, il fatto di metter mano alle cose per aggiustarle lo ha sempre affascinato, essendo ciò che lo aveva spinto a studiare ingegneria meccanica. Quelle giornate del passato trascorse con il padre sono ora anche fonte di ispirazione per un videogioco: Snap-On Gearhead Garage: The Virtual Mechanic (1999). L’obiettivo del gioco è quello di riparare e modificare diverse autovetture. È possibile smontarne le varie parti per effettuare gli interventi necessari, prima di ricomporre il mezzo. Ci si potrebbe aspettare che questa sia una feature di un più ampio videogioco di corse automobilistiche, ma così non è: non c’è nessuna macchina da guidare, in Gearhead. Questo peculiare titolo ha un buon successo e, qualche anno dopo, il team pensa di realizzarne un seguito per Game Boy Advance, dal titolo Gearhead Garage Adventure. Quest’ultimo non verrà mai portato a termine, ma la sua demo è giocabile con un emulatore per Game Boy Advance.
Con i soldi di Gearhead, il team porta avanti un po’ di sperimentazioni, ma nessuna di queste si concretizza in un effettivo progetto. È un periodo difficile per la pubblicazione di piccoli videogiochi, visto che il boom degli store online deve ancora arrivare, per cui Ratloop è in difficoltà. Nel 2003, Pope abbandona il team e si unisce a Realtime Associates, una compagnia attiva dal 1986. Viene messo al lavoro su Re-Mission (2006), quello che potrebbe essere definito un persuasive game o un serious game: è un videogioco pensato per invogliare giovani malati di cancro a iniziare e portare avanti la terapia. Questo peculiare sparatutto in terza persona ambientato nel corpo umano è certamente interessante e, nel corso degli anni, è stato al centro di numerosi studi (in tempi recenti, tra gli altri, Johnson e McDaniel, 2020; Uluhan e Akçay Didişen, 2023) e Pope si è detto «particularly proud of that game» (Machkovech, 2019). Certo, si è mosso all’interno di un sentiero già tracciato, per cui non rivela molto sulla sua “poetica”, ma è utile ricordare questo suo lavoro.
Dopo Re-Mission è di nuovo tempo di cambiare aria. Dopo un paio di buchi nell’acqua, Pope va a lavorare per Naughty Dog, che in quel periodo è alle prese con lo sviluppo di Uncharted: Drake’s Fortune (2007). Naughty Dog è in difficoltà. I lavori procedono a rilento perché mancano alcune figure chiave, tra cui dei buoni tools programmers. Lucas Pope è proprio una delle figure che li aiuta a uscire da questo pantano: «Pope's comfort level with a mix of programming, design, and art paid off with a task like building a menu system. He had a comfort with designing icons, placing them, choosing fonts, and making every single menu page, tree, and toggle flow into and out of each other. Instead of having each step of the process require a dedicated artist or programmer, “I could just do it,” Pope says» (Machkovech, 2019).
Si noti, di nuovo, la natura di factotum del ruolo di Pope. È una persona capace di portare avanti diverse parti di un processo tutte insieme, senza doverlo segmentare tra differenti lavoratori. In particolar modo, egli realizza degli strumenti GUI (Graphical User Interface) per il menù di gioco, per il sistema di salvataggio, un localization toolset e una serie di altri tools utili ai designer che stavano lavorando ai livelli. Lo sviluppo di Uncharted è proceduto in modo talvolta caotico, navigando a vista, ma Naughty Dog è un team molto competente e questa è stata una grande occasione di crescita per Pope. In particolar modo, egli ricorderà più volte il co-presidente Evan Wells, come una delle persone che lo hanno maggiormente ispirato, convincendolo a fare un salto qualitativo.
IL SELVAGGIO RICHIAMO DELL'INDIE
Tra un Uncharted e l’altro, Lucas Pope aveva portato avanti un progetto molto più personale, realizzato insieme alla moglie Keiko Ishizaka. I due si erano conosciuti anni prima, nel periodo in cui entrambi lavoravano a Re-Mission per Realtime Associates (Keiko era una level designer). Poi, mentre Lucas lavorava a Naughty Dog, Keiko aveva trovato un impiego presso 2K Games.
Durante una vacanza, la coppia sviluppa un videogioco: Mightier (2008). Il nome del gioco riprende la celebre espressione dell’opera Richelieu; Or the Conspiracy (1839) di Edward Bulwer-Lytton, divenuta poi proverbiale: «The pen is mightier than the sword». In italiano di solito si dice «ne uccide/ferisce più la penna della spada». L’origine dell’espressione italiana è probabilmente differente e lo stesso Bulwer-Lytton riformulò un concetto che era già stato espresso da altri in modo differente, ma non è questa la sede per approfondire il discorso. Ciò che importa sottolineare qui è il rapporto di Mightier con la “penna” e l’attività del disegno. Mightier, infatti, è un videogioco in cui viene chiesto di disegnare personaggi e livelli. La cosa particolare è che tutto ciò viene fatto all’esterno del videogioco, su dei fogli di carta (in realtà è possibile farlo anche dentro Mightier, ma così facendo si va a perdere l’unicità di questa proposta). Per cui ci si trova, per esempio, a disegnare un personaggio, rispettando certi parametri che vengono indicati. Poi, grazie a uno scanner o una webcam, il gioco rileva gli elementi del disegno e gli dà vita, trasformandolo in un modello tridimensionale.
Mightier viene presentato all’Independent Games Festival (IGF) e attira l’attenzione di Valve, che chiede alla coppia di pubblicare il gioco su Steam. Il richiamo dell’indie si fa sempre più forte. Con una mossa coraggiosa, Lucas e Keiko decidono di cambiare radicalmente vita. Abbandonano gli Stati Uniti e i rispettivi lavori, nel 2010, per trasferirsi in Giappone, a Saitama, vicino a dove abita la famiglia di Keiko. Soprattutto, iniziano a lavorare per conto proprio a videogiochi indipendenti. Come detto, è una scelta coraggiosa e un salto nel buio, perché stanno lasciando un impiego piuttosto sicuro per dedicarsi a progetti che non danno alcuna garanzia di guadagno. Lo stesso Mightier ha attirato l’attenzione di Valve, sì, ma la loro richiesta è stata quella di pubblicarlo su Steam come videogioco gratuito. Cosa che i coniugi hanno accettato di fare. E, a ben guardare, Mightier non ha nemmeno vinto un premio all’Independent Games Festival.
Nonostante questo, la coppia ha un paio di carte da potersi giocare. La prima è una collaborazione con i membri di Ratloop, il vecchio team di Pope. Dopo Gearhead, Ratloop era rimasta ferma, ma non del tutto. Nel 2009 era infatti stato pubblicato Rocketbirds: Revolution, realizzato con Adobe Flash. Visto che ha avuto un buon successo, l’idea è quella di realizzarne un remake per PlayStation 3, intitolato Rocketbirds: Hardboiled Chicken (2011). A guidare il progetto c’è Sian Yue Tan, che aveva lavorato insieme a Pope fin dai tempi di Malice e che aveva realizzato i modelli dei veicoli di Gearhead. Nel 2000, Sian Yue Tan aveva poi realizzato, insieme a James Anderson, Albatropolis: 'Pilot', un’animazione in Flash con la lotta tra dei polli e dei pinguini, che gli aveva dato l’idea per l’originario Rocketbirds.
Il secondo progetto che Pope e Ishizaka hanno in mente è un videogioco per iPhone. In quel periodo, Pope era affascinato dall’idea di poter creare un gioco sfruttando il touch screen, per cui inizia a sperimentare. L’idea embrionale è quella di realizzare un action roguelike con un gruppo di mostri pronto ad assaltare un castello da difendere (Rose, 2011). Ben presto, però, il progetto prende un’altra strada, trasformandosi in un puzzle game basato sulla luce. Bisogna posizionare delle torce all’interno di un livello per illuminare dei mostri (immobili, almeno all’inizio), evitando i coni d’ombra che vengono proiettati dagli oggetti. Poi, una volta illuminati, bisogna eliminare i mostri sulla base di determinati accostamenti cromatici. Il risultato finale è Helsing’s Fire (2010), in cui si gioca nei panni del cacciatore di vampiri Van Helsing e del suo assistente Raffton. Il gioco viene venduto a 99 centesimi e viene acquistato da circa 60.000 persone nella prima settimana (Machkovech, 2019). La partenza è buona e il publisher cerca di promuovere Helsing’s Fire come il nuovo Angry Birds (2009), ma dopo la prima settimana le vendite calano drasticamente e gli incassi sono lontani dall’entrata che la coppia aveva con il lavoro presso Naughty Dog e 2K Games.
Successivamente, Pope realizza un paio di altri videogiochi. Due progetti personali, gratuiti. Uno di questi è 6 Degrees of Sabotage (2012), un piccolo videogioco investigativo in cui bisogna ricostruire il legame tra due persone che hanno pianificato un attentato ma che non si conoscono di persona. Controllando le telecamere di sicurezza della giornata, bisogna scoprire quali sono le persone con cui hanno interagito, per ricostruire la catena di comando. 6 Degrees of Sabotage è il primo videogioco di Pope a presentare un tema investigativo esplicito. Se si osserva con attenzione il suo percorso fin qui, però, l’idea era già nell’aria, sottopelle. C’era sempre l’idea di avanzare delle ipotesi andando a segmentare un intero in delle parti più ristrette. In questo gioco, tutto ciò si trasforma nella segmentazione dei momenti della giornata, ma è qualcosa che si era già visto – per esempio – in Gearhead con la segmentazione dell’automobile, per ottenere le tessere del “puzzle” necessarie a ricombinarlo in modo corretto. In quel caso si trattava di far funzionare un’automobile, con un approccio più vicino alle sue origini da “tuttofare”, mentre qui si tratta di identificare le persone coinvolte in un attentato.
Si può fare un discorso molto simile per l’altro videogioco gratuito che Pope pubblica in questo periodo: The Republia Times (2012), che ha realizzato come riscaldamento per game jam Ludum Dare 23. È generalmente più famoso di 6 Degrees of Sabotage, ma quanto detto per l’altro gioco si applica anche qui, seppur in un contesto differente. Nel gioco, bisogna decidere quali notizie pubblicare sul «The Republia Times», un quotidiano filogovernativo che viene pubblicato nell’immaginaria Republia. Bisogna scegliere le news, decidendo anche quanto spazio dare loro all’interno della pagina, in modo da trovare il giusto bilanciamento tra interesse e lealtà dei lettori. Gli articoli sul tempo atmosferico, per esempio, non influenzano la lealtà verso il governo, ma le persone li trovano interessanti, per cui può valere la pena inserirle almeno in un trafiletto. Gli articoli sulla politica, al contrario, rafforzano la lealtà ma tendono ad annoiare, per cui bisogna trovare il giusto compromesso. È, ancora una volta, un puzzle game con una (piccola) vena investigativa e di mistero. È infatti possibile seguire la linea filogovernativa o dare ascolto ai ribelli, che dopo i primi giorni cominciano a inviare al giocatore dei messaggi in codice, chiedendogli di passare dalla loro parte.
Fin qui, la storia di Lucas Pope è più che altro quella di un ottimo factotum che sogna di mettersi in proprio. Una di quelle persone su cui si può contare, perché sanno fare un po’ di tutto e risolvono problemi. Proprio per questo, sembrerebbe che il suo destino debba essere quello di lavorare per altri, garantendosi un posto sicuro e lasciando perdere i sogni di indipendenza. Le cose, però, stanno per cambiare. E tutto comincia con un viaggio. O meglio, con una serie di viaggi.
I DOCUMENTI DEL SUCCESSO
Mentre lavorano alla versione di Rocketbirds per PlayStation 3, Lucas e sua moglie vivono per diverso tempo a Singapore, per poter seguire meglio lo sviluppo del progetto insieme a Sian Yue Tan. La coppia coglie l’occasione per viaggiare nel sudest asiatico, visitando nazioni come Indonesia e Malesia. Ciò significa dover superare diverse frontiere e i rispettivi controlli. Un’esperienza non sempre piacevole, che resta annidata in un cantuccio della mente di Pope.
Poi, un giorno, tutti i tasselli vanno al loro posto, durante un altro viaggio. Questa volta, Pope ha fatto ritorno negli Stati Uniti. Al controllo doganale dell’aeroporto, un ragazzone col giubbotto antiproiettile lo saluta con un «welcome home». Bentornato a casa. Come Pope avrebbe raccontato in seguito (Machkovech, 2019), quella sarebbe stata la scintilla. Lì si sentiva a casa, si sentiva benvenuto, ma in altri posti non era avvenuto nello stesso modo. Superare certe frontiere lo aveva messo a disagio. Lì c’era l’idea per un videogioco.
È uno di quei casi in cui, come si suol dire, “o la va, o la spacca”. Keiko è incinta ed è tempo di pensare alla stabilità economica, per il bene della famiglia. La coppia aveva lasciato la sicurezza del precedente lavoro per tentare la fortuna in proprio, ma le cose non erano andate benissimo. I guadagni da Helsing’s Fire sono insufficienti, 6 Degrees of Sabotage e The Republia Times sono gratuiti, Rocketbirds è un progetto su cui non hanno il controllo. Pope inizia una corsa contro il tempo per concludere il nuovo videogioco nel minor tempo possibile, mentre Keiko gli ricorda che, probabilmente, dopo averlo realizzato dovrà trovarsi un nuovo lavoro (Machkovech, 2019). Pope mira a finire il gioco in sei mesi, focalizzandosi al massimo sull’obiettivo. Quando cominciano a circolare i primi contenuti, il gioco raccoglie un successo inaspettato, anche grazie agli youtuber. Sono, del resto, gli anni d’oro in cui si afferma il gaming su YouTube. I videogiochi che consentono agli youtuber emergenti di mostrare le loro reazioni emotive hanno una buona possibilità di affermarsi. Questo si vede moltissimo nei survival horror (Toniolo, 2021) e nei cosiddetti rage games, ma ci sono anche altri casi. Papers, Please (2013) – questo è il nome del nuovo videogioco di Pope – rientra proprio in questa casistica. La versione in progress del gioco viene scaricata da un gran numero di youtuber, che possono mostrare le loro reazioni davanti al pubblico, in vario modo. Spronato da queste risposte positive, Pope si prende qualche mese in più per rifinire il gioco, arrivando a un totale di nove mesi di lavoro.
Papers, Please è un ottimo videogioco, per suscitare risposte emotive. Si gioca nei panni di un addetto alla frontiera dell’immaginaria Arstotzka. Bisogna controllare i passaporti e gli altri documenti delle persone che intendono entrare nel paese. Bisogna consentire l’accesso solo a coloro che sono in regola, respingendo tutti gli altri e prestando attenzione ai documenti falsi, ma anche alle emozioni personali. Potrebbe essere difficile dire di no alla povera donna che vuole ricongiungersi con il marito ma che ha un passaporto scaduto. La tentazione sarebbe quella di chiudere un occhio, ma bisogna stare attenti, perché la propria performance viene accuratamente monitorata. Se si fanno troppi errori, il governo potrebbe decidere di non fornire per un po’ cibo e medicine al protagonista. Pope recupera alcune suggestioni che aveva precedentemente inserito in The Republia Times, come l’immaginaria Arstozka, che è in guerra con l’altrettanto finzionale Republia. In effetti, nel precedente gioco aveva fondato le basi per rappresentare uno stato totalitario, fasciocomunista, estremamente burocratizzato, in cui gli ordini calano dall’alto e bisogna eseguirli senza opporsi. Questo, in termini ludici, risolve diversi problemi, come dice lui stesso: «"What I found making this game is that this communist setting or this dystopian, fascist setting works nicely for game mechanics because you can tell the player, 'you have to do this'. There's not a whole lot of questioning of, ‘why?'. ‘You have to do it because that's how we f**king run things here, we tell you how to do it and you do it'. That works perfectly well with the setting of some kind of communist government or some kind of bureaucracy where the rules just come down from the top and boom, that's your job» (Cullen, 2014).
Con l’approssimarsi della pubblicazione, la tensione cresce. La positiva risposta del pubblico fa ben sperare, ma è anche fonte di enorme stress per Pope, che si ritrova a finire un gran numero di cose negli ultimi giorni (Edge Staff, 2014). Per fortuna, una volta pubblicato, Papers, Please inizia la sua scalata verso il successo, garantendo a Pope e alla sua famiglia una buona entrata economica, che allontana la necessità di doversi trovare un lavoro in tempo breve.
Il successo di Papers, Please, se osservato a posteriori, è riconducibile a vari fattori. Uno di questi è certamente la differente modalità con cui è possibile approcciarsi al gioco, partendo da vari punti di vista e con vari intenti. Per esempio, può essere considerato un videogioco bizzarro e “burocratico”, con cui approcciarsi ripensando all’episodio del film Le 12 fatiche di Asterix (Les douze travaux d’Astérix, 1976) in cui bisogna ottenere il “lasciapassare A38”, cosa che fa sprofondare l’eroico Asterix in un abisso di follia amministrativa, che è da allora divenuta per molti emblema dell’intossicazione burocratica. Oppure può essere visto come una palestra etica in cui esercitare il pensiero critico (Lohmeyer, 2017) e sperimentare empatia. È in questo modo che è stato approcciato in un gran numero di contributi accademici (per esempio: «Games are exercises in ethical thinking, play instruments to train and sharpen our moral instincts» Sicart, 2019, p. 155). Tutto ciò è reso particolarmente interessante e stimolante dal fatto che gli NPC ci chiedono di aiutarli, andando contro a quello che è l’interesse del personaggio principale (e anche contro l’obiettivo ludico del portare avanti il gioco), cosa che crea una frizione morale che stimola la riflessione. Per dirlo con altre parole, Papers, Please «presents us with a normative ruleset we have to follow to keep playing and win, only to make us encounter npcs that ask us to transgress it to help them. The ig (which observes the interests of a totalitarian state) is at odds with the needs of the npcs, creating opposing interests and goals for the player that give weight to his ethical position» (Navarro-Remesal e Bergillos, 2020, p. 107).
E, tra i tanti aspetti di Papers, Please, non bisogna ovviamente dimenticare che ci si trova davanti a una sorta di puzzle investigativo. Il procedimento con cui si controllano i documenti e le dichiarazioni delle persone è esattamente questo: un puzzle in cui non sempre tutti gli elementi sembrano essere presenti, per cui a volte serve un po’ di interpretazione e un po’ di “fiuto” da detective per trovare la giusta soluzione. Potrebbe sembrare una descrizione riduttiva, per un videogioco che è appena stato definito una “palestra di etica”, ma le due cose non vanno a escludersi reciprocamente. Come detto, tutto dipende da dove si decide di collocare il proprio punto di vista. Nel suo funzionamento di base, Papers, Please sembra inserirsi perfettamente nel processo evolutivo di Pope, che sviluppa qui una serie di elementi che sono già apparsi nei suoi procedenti videogiochi. Il “tuttofare”, questa volta, mette le sue capacità al servizio della burocrazia.
L'INVESTIGAZIONE SI FA ESPLICITA
Papers, Please vende molto bene e continua a farlo nel tempo, cosa che tranquillizza Lucas Pope. Senza assilli monetari, può tornare a sperimentare. Nel 2014 pubblica The Sea Has No Claim, in cui bisogna salvare i passeggeri di un aereo precipitato in mare aperto. Utilizzando sonar, ricognizioni aeree e diversi altri mezzi bisogna localizzare con la maggior precisione possibile la posizione dei sopravvissuti, per poi mandare un sottomarino a recuperarli. Più si è precisi e veloci, maggiore è il numero di persone salvate. Ancora una volta, torna l’idea di una “cassetta degli attrezzi” che può essere impiegata in vario modo per risolvere un puzzle.
L’anno seguente, invece, Pope pubblica Unsolicited (2015), che ha realizzato per Ludum Dare 33. Qui torna sulla voluta ripetitività di un’azione che si è già vista in Papers, Please, ma in un contesto differente. Questa volta non c’è di mezzo la burocrazia “sovietica” (lo è nell’ispirazione, il gioco non va mai a presentare espliciti riferimenti all’URSS) ma ci si sposta altrove, negli Stati Uniti, durante il periodo d’oro del mail marketing (il marketing per posta). Ci si trova negli anni ruggenti in cui si affermano leggendari copywriter come Claude Hopkins, in cui gli statunitensi ricevono quotidianamente lettere di ogni sorta, riguardanti lotterie, offerte lampo, prestiti e molto altro. In Unsolicited, si gioca nei panni di una persona che deve compilare queste lettere, inserendo nome e cognome del destinatario, il numero da chiamare, l’importo che è possibile vincere, il tasso di interessi e moltissimi altri dati, che variano a seconda della specifica comunicazione. Per riuscire a vincere bisogna essere rapidi e decisi. Più del ragionamento, in molti casi, aiuta il colpo d’occhio.
Sono dei progetti interessanti, ma il pubblico chiede a gran voce qualcosa di differente. Molti vorrebbero un Papers, Please 2. Pope non li ascolta. In fondo, in tutta la sua vita ha lavorato solo una volta a un sequel, con Uncharted 2. Due volte se si considera il seguito di Gearhead, che però non fu mai terminato. Tuttavia, ciò non significa nemmeno un distacco netto da Papers, Please. E, in effetti, Pope sta già lavorando dal 2014 a un nuovo, ambizioso, videogioco. Semplicemente, va a recuperare dal suo gioco precedente qualcosa che il pubblico non si aspetta. Mentre tutti attendono un nuovo videogioco “burocratico”, “orwelliano” e “sovietico”, ciò che sembra interessare maggiormente Pope è la grafica di Papers, Please. Così inizia a sviluppare Return of the Obra Dinn (2018), partendo proprio dalla componente visiva. Come uscirebbe un videogioco “retrò” in bianco e nero, se fosse tridimensionale?
La fonte di ispirazione più prossima è Papers, Please, ma quella remota risale alle prime esperienze di gaming nell’infanzia di Lucas Pope, che egli va a rievocare: «”My first computer gaming experiences were on the Macintosh,” Pope points out. “So that formal idea of what an interesting, good, long game would be was on the Mac. Those were all black-and-white. So with Obra Dinn, I wanted to do something visually cool. Like, whatever happens as a story design, I want it to look like those cool games I played when I was a kid”» (Machkovech, 2019). Il lavoro è lungo, lo tiene occupato per diversi anni, ma sembra essere un’esperienza molto stimolante, per Pope, che ancora una volta vive tutto con l’approccio da “tuttofare” dedito al problem solving. La sua scelta visiva genera un sacco di problemi, a cui deve mettere mano attraverso tutta una serie di esperimenti. Di solito, la risoluzione di un problema ne genera uno differente, come quando la sua soluzione per creare sfumature rischia di generare nausea e mal di testa (Francis, 2018). Lo “stile 1-bit” che ha scelto ha comunque anche diversi vantaggi. Per esempio, accresce il senso di mistero, lasciando meno definiti i particolari degli oggetti (Wright, 2019).
Dopo aver fatto un po’ di esperimenti con le possibilità grafiche, è tempo di scegliere l’effettivo contenuto del gioco. Per qualche tempo accarezza l’idea di fare qualcosa con l’antico Egitto, poi cambia direzione e opta per una nave nel 1800. L’idea sembra buona, anche perché consente di avere uno spazio limitato in cui andare ad agire. Come Pope segnalerà in seguito (in Machkovech, 2019), il lavoro è stato comunque una faticaccia e, col senno di poi, avrebbe scelto una nave più piccola. C’è lo stile visivo e c’è l’ambientazione. Per decidere cosa si debba fare nel gioco, Pope legge un gran numero di racconti di mare dell’800, riguardanti episodi reali o immaginari. Si rende ben presto conto che molte di queste storie parlano di qualche tragedia avvenuta durante il viaggio. In molti casi solo una manciata di persone torna sana e salva a casa, e sono quelle persone a raccontare la storia, essendo gli unici testimoni. La vita a bordo di una nave è estremamente dura e per avere una speranza di salvezza bisogna cooperare. Ecco perché bisogna mettere da parte differenze religiose, geografiche, etniche e politiche.
Le diverse idee vanno man mano a trovare il giusto incastro. L’anno è il 1807. Una nave mercantile, la Obra Dinn, ricompare all’improvviso dopo aver fatto perdere le sue tracce per cinque anni. Nessuno, a bordo, è rimasto in vita. Bisogna identificare ogni membro dell’equipaggio e scoprire la causa della sua morte. Tanto per cambiare, ciò che emerge è un immenso puzzle investigativo, in cui tutti i personaggi sono in qualche modo legati tra di loro. Return of the Obra Dinn è l’opera più apertamente investigativa di Pope, ma non è uscita fuori dal nulla, è il frutto di un lungo processo. Anche questa volta, l’autore dedica grande attenzione alla “cassetta degli attrezzi” con cui reperire gli indizi. L’ambientazione delimitata della nave funziona bene per fare da sfondo all’indagine, come corrispettivo della classica villa isolata in cui un detective scopre l’omicidio. Poi ci sono i membri dell’equipaggio, in vario modo legati tra di loro. In una embrionale demo del 2014 sono presenti quattro individui. Nel prodotto finale sono sessanta, ma sarebbero potuti essere anche di più. Pope valuta di inserirne una novantina, forse persino centoventi, poi si rende conto che non ne ha le forze. Del resto, sta facendo quasi tutto da solo, con l’aiuto della moglie, affidandosi a esterni solo per quei ruoli che proprio non può ricoprire (il doppiaggio, per esempio). Return of the Obra Dinn non è un videogioco enorme, un team anche non molto grande avrebbe potuto finirlo in qualche mese, ma Pope da solo impiega quattro anni e mezzo (Machkovech, 2019). Tornando all’equipaggio della nave, viene deciso di mostrare il momento dell’uccisione. L’espediente narrativo per farlo è il minore dei problemi: basta inventarsi una sorta di bussola magica. Il problema, semmai, è capire in che modo fornire indizi interessanti e sempre diversi in questo modo. Il fatto che l’equipaggio sia variegato gli offre un utile spunto: ascoltando anche le voci dei defunti è possibile diversificare gli indizi sulle loro origini, utilizzando specifici accenti e particolari modi di dire. Una soluzione geniale che però – anche in questo caso – genererà in seguito non pochi problemi, quando bisognerà adattare il gioco in altre lingue (Ars Technica, 2019).
Come per Papers, Please, Pope non vuole forzare la mano sull’approccio emotivo del giocatore. Lascia a chi gioca la possibilità di empatizzare con l’equipaggio o di mantenere uno sguardo più distaccato, in cui i defunti sono solo pezzi di un puzzle. Per questo sceglie, come punto di vista interno al gioco, un agente assicurativo. Un “burocrate”, insomma, e su questo c’è in effetti un ulteriore legame con Papers, Please. Come detto in precedenza, simili figure risolvono tanti problemi, nella progettazione di un gioco, perché sono individui che eseguono gli ordini e basta, senza farsi troppe domande. Per cui è un personaggio che aiuta ad andare dritti al punto, senza bisogno di particolari spiegazioni.
Alla fine, dopo molte sfide da risolvere, Return of the Obra Dinn viene pubblicato, raccogliendo fin da subito diversi pareri positivi. È una storia investigativa al contempo molto classica e molto innovativa. A tal proposito, c’è proprio chi (Ramos, 2021) ha portato avanti uno studio comparativo tra Return of the Obra Dinn e I delitti della Rue Morgue (The Murders in the Rue Morgue, 1841) di Edgar Allan Poe, che è spesso considerato il “padre” dei racconti investigativi. Per inciso, ciò non vuol necessariamente dire che sia stato il primo, quando si va a stabilire un primato cronologico all’interno di un genere è sempre complesso trovare un accordo. Di sicuro, però, quell’opera di Poe è tra le prime ad affermarsi con forza presentando una serie di elementi che diverranno poi rintracciabili all’interno del genere. E anche in Return of the Obra Dinn molti di quegli elementi permangono, a segnalare che Pope si sta ricollegando – volontariamente o senza rendersene conto – a una tradizione ben codificata nel tempo. Certo, ci sono anche le differenze. La più evidente è che nella letteratura (e nel cinema) si segue in qualità di spettatori esterni le raffinate elucubrazioni del detective di turno. Nei videogiochi, invece, si gioca nei panni stessi del detective.
Una delle ragioni per cui Return of the Obra Dinn piace molto è proprio questo suo duplice rapporto con la tradizione. I tropi narrativi, i tropes, diventano tali proprio perché funzionano, ricorda Maurice Suckling in un libro sulle tecniche narrative per i videogiochi (2020). Per sorprendere e dire qualcosa di nuovo, bisogna conoscere i tropi di riferimento, perché è ciò che le persone hanno nella mente quando si trovano davanti a un prodotto. Return of the Obra Dinn va proprio in questa direzione. È per tanti aspetti “classico”, nel suo approccio investigativo, cosa che offre una base di sicurezza ai suoi giocatori, ma all’interno di quel periodo propone le sue novità, che vanno invece a spezzare la tradizione. Ecco perché si era citato Qui pro quo di Bufalino, in apertura.
VERSO IL FUTURO, GUARDANDO AL PASSATO
Dopo Return of the Obra Dinn, Lucas Pope non ha realizzato un gran numero di altri videogiochi, per il momento. Nel 2023 ha pubblicato LCD, Please, che ha realizzato insieme alla moglie Keiko. Giocabile online su Itch, questo videogioco è sostanzialmente Papers, Please giocato su un Game&Watch. Come ha raccontato Pope stesso (2023), dopo l’esplorazione dell’“1-bit” di Obra Dinn è continuata la sua voglia di riscoperta tecnologica del passato, indirizzata in questo caso ai primi giochi elettronici portatili di Nintendo, con i loro schermi LCD.
LCD, Please è una sorta di piccolo divertimento personale, che serve anche a festeggiare i dieci anni di Papers, Please. Il progetto principale portato avanti da Pope negli ultimi anni è invece un altro: Mars After Midnight (2024). Il videogioco è disponibile per Playdate, la celebre e bizzarra “console con la manovella”. Pope ha iniziato a ragionare su questo progetto durante il lockdown, in cui ha sentito il desiderio di voler creare qualcosa che potesse piacere ai suoi due figli. Così ha pensato di riprendere alcuni elementi di Papers, Please, inserendoli però in un contesto più divertente, bizzarro e ideale per suscitare la curiosità di un bambino. Bisogna organizzare degli eventi a tema per alieni, controllando quali di loro sono ammessi e quali no, tenendo d’occhio certi parametri (questo passaggio ricorda, appunto, Papers, Please). Bisogna predisporre il rinfresco per gli ospiti e andare poi a sistemare il tavolo dopo che se ne sono andati. In questo caso, l’aspetto fortemente retrò di Mars After Midnight è anche strettamente legato alle limitazioni di Playdate, ma si inserisce certamente bene nel filone della ricerca espressiva seguita da Pope.
Per il momento questo è tutto, ma è probabile che Lucas Pope stia già lavorando a qualche altro, peculiare progetto. Resta solo da attendere per scoprire quale sarà la prossima idea di questo creativo factotum, per vedere se e quali elementi continuerà a esplorare. Il richiamo alle vecchie console? I processi “burocratici”? Il suo peculiare approccio al puzzle investigativo?
BIBLIOGRAFIA
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Pubblicato il: 25/03/2024
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