GDC 2024
THE LEGEND OF ZELDA
TEARS OF THE KINGDOM
Tra suono e fisica
L'evento da non perdere della terza mattina di Game Developers Conference 2024 ha visto salire sul palco di una fra le sale principali dei rappresentanti di Nintendo. Takuhiro Dohta, Junya Osada e Takahiro Takayana, tre nomi fondamentali nella creazione di Tears of the Kingdom che sono in forze a Nintendo dai tempi degli Zelda usciti su Wii e DS, hanno infatti raccontato le idee e i principi seguiti durante lo sviluppo dell'ultima avventura di Link, seguendo un percorso che univa due aspetti che non vengono spesso raccontati mano nella mano: la fisica e l'accompagnamento sonoro. Il primo a prendere il microfono è stato Takuhiro Dohta, direttore tecnico sui due Zelda usciti per Switch. Dohta si è rivolto alla platea in inglese, senza appoggiarsi su un interprete, una scelta abbastanza rara per gli sviluppatori giapponesi e che del resto ha preferito evitare quando, la sera stessa, è salito sul palco dei Game Developers Choice Awards per accettare i premi all'innovazione e alla miglior tecnologia. Il suo intervento è stato caratterizzato da uno spirito giocoso, che ha abbracciato fin dall'inizio la follia con cui i giocatori si sono sbizzarriti su Tears of the Kingdom, accennando a quanto il team non si aspettasse di vedere gente che surfava su un pezzo di carne congelata.
L'idea alla base di Breath of the Wild, ha spiegato Dohta, era di creare una Hyrule vasta e aperta come non mai, in cui davvero si potesse raggiungere liberamente qualsiasi luogo fosse davanti ai propri occhi, costruendo l'esperienza di gioco attorno a quello che il team definisce "gameplay moltiplicativo". Dohta ha menzionato brevemente il talk portato dal suo team alla GDC 2017 (che trovate riassunto in questo articolo di Outcast) in cui parlarono appunto di quel gioco, della versatilità delle opzioni offerte e del mondo in cui tutti gli oggetti e gli elementi sono collegati da regole ben precise, con ogni interazione poggiata su quelle regole. L'idea fondante dello sviluppo era insomma quella di puntare “non a creare divertimento, ma a creare dei sistemi che alimentassero il divertimento”.
Con Tears of the Kingdom si è pensato innanzitutto ad espandere il mondo di gioco, cosa che per altro è stata fatta in larga misura recuperando elementi già visti in altre uscite della serie, dall'esplorazione dei cieli di The Skyward Sword al mondo oscuro che ci perseguita fin dai tempi di A Link to the Past, passando per l'esplorazione di sotterranei, ben sottolineata da un mantra che il producer del team ribadiva a più riprese "I want to dig holes". Ma chiaramente non basta limitarsi ad ampliare i luoghi del gioco, bisognava ampliare anche il gameplay. Su questo fronte, Dohta ha ricordato come già Breath of the Wild sperimentasse sulla verticalità, per esempio con l'utilizzo dei palloni gonfiabili, e ha mostrato come il team abbia iniziato a creare prototipi all'interno del motore di quel primo gioco per capire come avrebbe potuto funzionare la combinazione di oggetti al fine di creare veicoli funzionanti. Si sono trovati quasi immediatamente a sperimentare con il potenziale enorme dell'idea di unire oggetti diversi fra di loro e da questa sperimentazione sono nate l'ultramano e la fusione. La combinazione di oggetti ha finito per incarnare quel concetto menzionato prima, l'idea di creare non il divertimento, ma strumenti che permettano al giocatore di crearne.
Dopo questa parte introduttiva, Dohta ha passato la parola a Takahiro Takayama, programmatore capo per la fisica di Breath of the Wild. Takayama, che ha comunicato al pubblico affidandosi invece a un interprete, ha subito caratterizzato il suo lavoro sul gioco come una sfida enorme da gestire e una vera e propria montagna spaventosa da scalare per il team di sviluppo. Tears of the Kingdom sfrutta una base costituita dal motore fisico Havok, sopra al quale si appoggia una libreria di fisica costruita internamente dal team di Nintendo. Ma per arrivare al risultato finale c'è voluto molto lavoro e le fasi iniziali sono state, prevedibilmente, piuttosto scoraggianti, col mondo di gioco che, nel momento in cui sono state inserite queste idee sulla combinazione e la fusione degli oggetti, è immediatamente caduto a pezzi.
L'obiettivo era quello di costruire un mondo completamente basato sulla fisica e che fosse popolato da interazioni di ogni tipo, capaci di nascere in maniera spontanea, appoggiandosi su regole e sistemi, senza essere pianificate dai designer. Per ottenere questo risultato, hanno dovuto abbandonare l'idea di basare le interazioni sulla connessione fra le animazioni dei vari oggetti, un sistema ben più semplice da implementare perché ogni elemento ha una massa infinita e non viene influenzato da regole fisiche. Il sistema progettato per Tears of the Kingdom si appoggia invece su regole ben precise che gestiscono massa, inerzia, velocità... La differenza fra i due possibili approcci è stata spiegata mostrando come, in un sistema basato sulle animazioni, se si appoggia un blocco di metallo fra due ingranaggi, il blocco finisce per essere sparato via dal contatto, mentre se lo si fa con un sistema basato sulla fisica, l'interazione diventa realistica e il blocco va a incastrarsi, impedendo agli ingranaggi di funzionare. E gli ingranaggi stessi interagiscono fra di loro basandosi sull'utilizzo di un motore che fa ruotare il primo ingranaggio e su un calcolo della velocità che quello stesso ingranaggio trasmette a quelli con cui viene a contatto. La sostanza di tutto questo discorso si riassume nel fatto che implementare l'ultramano appoggiandosi sulle animazioni aveva inizialmente creato una serie infinita di problemi. Non funzionava davvero nulla, mentre quando il team è passato a utilizzare una gestione basata sulla fisica, tutto è andato al suo posto e i vari problemi sono stati risolti. Certo, non dall'oggi al domani.
L'aspetto più soddisfacente dell'aver implementato questo sistema sta nell'essersi ritrovati con una comunità di giocatori che ideava attività e soluzioni assolutamente non previste dal team di sviluppo. Con il sistema preliminare basato sulle animazioni, per esempio, non era possibile prendere un blocco di metallo e usarlo per bloccare la chiusura di un cancello: l'animazione del cancello rimaneva prioritaria e le sbarre attraversavano il blocco. Ma col sistema basato sulla fisica, l'idea funziona e genera tutta una serie di possibili trovate alternative. Takayama ha per esempio mostrato un enigma in cui il design originale prevede che il giocatore prenda un blocco di ghiaccio, lo faccia parzialmente sciogliere perché raggiunga le dimensioni corrette e lo piazzi su un pulsantone che deve rimanere premuto per mantenere aperto il cancello e permettere a Link di passare. Ma diversi giocatori hanno posizionato Link sul pulsante e poi piazzato il blocco di ghiaccio sotto al cancello per tenerlo aperto, adottando una soluzione assolutamente imprevista dagli sviluppatori.
Basare tutto sulla fisica, ha detto Takayama, è necessario per permettere un gameplay moltiplicativo, all’interno del quale diventa possibile combinare fra loro i vari elementi di gioco attraverso la creatività. Invece di implementare una serie di veicoli, il team ha creato dei sistemi che permettono ai giocatori di costruirli. Hanno inserito nel gioco le ruote, la cloche di comando, il sistema di sospensioni, e hanno poi lasciato ai giocatori la libertà di utilizzare il tutto secondo preferenza personale. Questo fa sì che le ruote non siano oggetti utilizzabili esclusivamente per la costruzione di veicoli e possano per esempio essere applicate a un portale regolato da catene per avvolgere la catena e aprire il passaggio. Il team ha insomma ragionato sui singoli componenti che generano interazioni. Una ruota ha un corpo fisico, un motore e una parte centrale. Il motore genera il movimento collegandosi alla parte centrale che a sua volta è collegata alla ruota, a cui trasmette il movimento. Una catena, per fare un altro esempio, è composta da una serie di corpi rigidi collegati fra di loro. E ancora, il sistema di galleggiamento funziona calcolando la velocità proiettata sul corpo rigido che viene introdotto nel liquido, con i cambi di velocità basati sulla superficie che viene colpita dal liquido. L’obiettivo finale era sempre la libertà e per questo il team ha lavorato sul creare la maggior quantità possibile di oggetti con cui la gente potesse sbizzarrirsi. Ed è ovviamente servito un enorme lavoro di squadra.
Takayama ha anche spiegato come il lavoro sia stato impostato, a un livello di base, assegnando ad ogni oggetto delle proprietà specifiche del tipo di materiale, con massa e inerzia che venivano poi calcolati in automatico, seppur rifinendo i dettagli con grafici e game designer. A volte è stato infatti necessario introdurre modifiche artigianali per ottenere il risultato che il giocatore si aspetta in maniera naturale. E chiaramente, visto anche che gli enigmi sono basati sulla fisica, è stato necessario creare una stanza virtuale per i test in cui mettere alla prova ogni elemento e pianificare tutto con precisione. In questo senso, è stato fondamentale fare in modo che ci fosse una buona collaborazione fra chi si occupava di game design e il team di programmazione della fisica, ma in realtà questa collaborazione trasversale ha dovuto coinvolgere tutti, per esempio anche chi curava la grafica, come ben illustrato da Takayama mostrando i vari passaggi nell’evoluzione delle ruote. Un momento fondamentale, poi, è stato quello in cui si è introdotto il concetto di sospensioni nella creazione dei veicoli, a quel punto basati sul trasferire il movimento fra motore, ruote e appunto sospensioni. È lì che l’esperienza di conduzione dei veicoli ha davvero trovato la quadratura del cerchio.
Tra l’altro, questo è un ambito in cui il design di un oggetto ha finito per generare altri utilizzi. La pentola doveva prevedere la possibilità di essere utilizzata su qualsiasi superficie senza che il cibo cadesse fuori. Un grafico aveva ipotizzato l’implementazione di gambe telescopiche adattabili, ma alla fine si è deciso di optare per la pentola orientabile che troviamo nel gioco. Solo che, con grande soddisfazione del team, i giocatori hanno utilizzato la mobilità della pentola per trovare tanti utilizzi imprevisti, piazzandola per esempio sui veicoli al posto delle sospensioni.
La parte conclusiva dell’evento dedicato a Tears of the Kingdom ha visto salire sul palco Junya Osada, programmatore dedicato alla parte sonora che ha spiegato di essersi occupato di sviluppare i driver e gli strumenti utilizzati per gestire l’accompagnamento sonoro del gioco. Il principio di base seguito dal suo team era sostanzialmente lo stesso descritto da chi ha preso il microfono prima di Osada: espandere il mondo di Hyrule e sottolineare il senso di libertà ritraendo in maniera realistica il modo in cui il suono si sviluppa in maniera naturale. Il punto di partenza ha visto il team cercare di trovare delle regole di base da applicare al sound design e hanno iniziato sperimentando con le regole acustiche del mondo reale. Ma per loro era importante anche portare avanti la tradizione di musica interattiva che ha caratterizzato tanti episodi della serie, come illustrato da alcuni esempi portati da Osada: le boss battle che vedono cambiare il tema musicale quando il boss offre un apertura per l’attacco; la musica di Spirit Tracks col ritmo sincronizzato a quello del treno; lo Skyloft Bazaar musicato con transizioni sui cambi di ritmo. Questo approccio è stato conservato su Tears of the Kingdom con le musiche che cambiano in base alla quantità e alla forza dei nemici, con le transizioni incentrate sull’evoluzione delle battaglie, ma anche con il ritmo dell’accompagnamento musicale che si fa più rilassato se il giocatore ha problemi a risolvere un enigma o con la band musicale in piazza che si muove secondo animazioni sincronizzate con la musica. L’intero accompagnamento musicale del gioco è stato gestito attraverso un tool dedicato che permetteva al team di gestirne i minimi dettagli, anche negli ambiti in cui la musica non era necessariamente interattiva.
Ma per Tears of the Kingdom si è deciso di seguire lo stesso principio di interattività anche nell’implementazione degli effetti sonori. I suoni di Tears of the Kingdom cambiano in maniera evidente e percepibile a seconda di cosa avvenga nel mondo di gioco: ci sono suoni in allontanamento, che arrivano da direzioni diverse, che generano eco nelle caverne ecc… Tipicamente, ha spiegato Osada, l’effetto del suono che si allontana viene ottenuto utilizzando una curva di volume, che però da sola non è sufficiente: è necessario applicare anche filtri e riverbero, usando forme d’onda registrate a distanze differenti. Ma il team è voluto andare più in profondità, ragionando sul gameplay per capire come strutturare lo sviluppo dei suoni in lontananza. Per ottenere un risultato coerente, hanno deciso di creare una base di regole condivise da applicare a tutti i suoni.
Per esempio, non era ritenuto sufficiente appoggiarsi su una regola schematica secondo la quale al raddoppio della distanza si dimezza il volume del suono. Se funzionasse così, ha scherzato Osada, il canto di un gallo si sentirebbe a sessanta miglia di distanza, che è come andare da Sacramento al Moscone Center in cui si tiene la GDC, o dal monte Fuji a Tokyo. La diminuzione del volume, da sola, non basta, è necessario calcolare anche l’impatto dell’aria. Per questo, l’audio di Tears of the Kingdom si appoggia su dei calcoli di attenuazione logaritmica implementati nel gioco tramite filtri. E poi c’è il calcolo dell’eco, che secondo Osada in passato era stato implementato con sistemi troppo complessi. Tears of the Kindom utilizza il ray casting per raccogliere informazioni sull’ambiente di gioco e una formula tramite cui vengono calcolati tutti gli elementi in ballo e i modi in cui influenzano il suono. Nel caso appunto dell’eco, gli elementi fondamentali sono ostruzione e occlusione, che il gioco calcola raccogliendo informazioni tramite i voxel inseriti dal team all’interno di ogni superficie. Il sistema di generazione del suono esegue quindi i suoi calcoli in base al posizionamento della telecamera, di Link e dell’ambiente circostante e fa sì che, per esempio, un suono cambi in maniera sensibile se ci si sposta per fare in modo di avere un muro fra noi e ciò che genera il suono stesso.
Tutte queste regole, e molte altre, vanno a creare un sistema che si applica ad ogni singolo suono incluso nel gioco, calcolandone la rumorosità e applicandovi le regole per determinarne il comportamento. E vale veramente per tutto, compresi, per esempio, gli strumenti musicali, anche loro pensati per interagire con lo spazio tridimensionale. Ne nasce un sistema che, a conti fatti, non fa altro che applicare al suono il concetto alla base di Tears of the Kingdom: creare interazioni uniche che avvengano senza implementazioni specifiche. Tutto si basa sulla combinazione di suoni astratti: quando guidiamo un carro, non sentiamo un suono specifico per il carro, sentiamo semplicemente la combinazione dei suoni di catene, ruote e altri elementi che si uniscono in maniera naturale. E il risultato, ha concluso Osada, è che in Tears of the Kingdom si gioca ascoltando suoni che sostanzialmente non sono stati creati dal team. Loro hanno creato una sorta di motore fisico per i suoni. Il resto vien da sé.
Pubblicato il: 28/03/2024
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