GACHA,

SESSISMO

E

SOFT POWER

Come in Corea del Sud i videogiochi sono diventati un'arma contro le donne

Pochi giorni prima della pubblicazione di Stellar Blade, il developer Shift Up ha comunicato ufficialmente il licenziamento di due sue impiegate accusate di essere femministe radicali che, a quanto pare, hanno avanzato delle lamentele agli azionisti a proposito dell’ipersessualizzazione di Eve e di tutti i personaggi femminili del gioco. Mi stranì molto vedere un’azienda in così stretti rapporti con l’occidente esibire questi licenziamenti come un trofeo in un’epoca come la nostra; si tratta di una presa di posizione forte e netta che stona molto con il timore che le corporation hanno dimostrato nei confronti di argomenti così delicati negli ultimi anni. Non mi ha stupito per nulla, invece, vedere come una certa parte molto vocale dell’occidente abbia festeggiato Shift Up come un’azienda “basata” e piena di chaddoni che si sono opposti alla terrificante cultura woke che – a detta loro – sta cercando di distruggere l’industria dell’intrattenimento. Per ora limitatevi a tenere a mente questo episodio, perché ci torneremo più avanti.

Sono anni che mi espongo pubblicamente e nel privato contro il mercato dei gacha-game: a spaventarmi non è tanto la loro natura intrinsecamente predatoria, quanto più il fatto che il modello gacha sia arrivato in occidente e sia stato assorbito con una velocità impressionante da un mercato totalmente impreparato ad avere a che fare con le sue dinamiche, che sono giunte da questa parte del mondo dopo decenni di esperimenti ed evoluzioni compiuti in Asia. Prima dell’esplosione in occidente del fenomeno Genshin Impact che ha portato il genere nel nostro mainstream, infatti, il mondo dei gacha ha avuto confini molto ristretti e precisi, rimanendo a lungo relegato all’Asia e in particolare a Giappone, Cina e Corea del Sud. Ho deciso di approfondire la questione scaricando Zenless Zone Zero per toccare con mano un gioco di questo tipo sin dai primi giorni della sua esistenza per tenere traccia delle sue evoluzioni e dei suoi contenuti, ma studiando il fenomeno in preparazione al day one sono entrato in contatto con una serie di episodi inquietanti relativi al sessismo nel mondo dei gacha, ad una serie di licenziamenti ingiustificati e all’impatto che giochi come Limbus Company hanno avuto e hanno tutt’ora sui Paesi dell’Asia (e, di riflesso, potenzialmente anche sulla nostra). Ho scoperto un sottobosco di odio di genere, di videogiochi usati come armi per colpire indiscriminatamente dei gruppi sociali e, in particolare, mi sono imbattuto in una lunga serie di episodi e incidenti legati alla Corea del Sud e al suo rapporto con i videogiochi che penso meriti di essere approfondito

Ho riflettuto a lungo sul soft power sudcoreano e su quanto permeabile sia stata negli ultimi anni la nostra cultura alle influenze provenienti da Seoul, è un argomento che mi affascina e che mi incuriosisce: dopotutto, infatti, faccio parte di una generazione che è stata a lungo esposta al soft power giapponese e che, per questo, ha una visione del Giappone estremamente distorta ed edulcorata rispetto alla realtà.

Per approfondire l’argomento e i suoi risvolti tutt’altro che banali (che ci sono, nonostante qualcuno cerchi di far finta del contrario), però, ho bisogno di fare un altro passo indietro e di parlare del contesto in cui hanno avuto luogo queste proteste e i licenziamenti incriminati. 

Partiamo dall’inizio.

VIVERE IN COREA DEL SUD

Nata a seguito della divisione della Corea lungo il confine segnato dal trentottesimo parallelo operata da Stati Uniti e Unione Sovietica dopo l’occupazione avvenuta alla fine del secondo conflitto mondiale, la Corea del Sud è in assoluto uno dei Paesi più ricchi del continente asiatico. È uno stato tecnologicamente avanzato e benestante, spesso raccontato come il più occidentale degli stati dell’Asia. È, però, anche uno stato esplicitamente ultra-capitalista, fondato su una società estremamente gerarchica e verticale, in cui in pochissimi detengono la stragrande maggioranza della ricchezza. Basti pensare al fatto che i conglomerati industriali sudcoreani, i cosiddetti chaebol (che altro non sono se non una versione coreana delle zaibatsu giapponesi), non sono solamente ricchissimi, ma hanno controllato per decenni la politica del Paese infiltrandosi illegalmente tra le maglie del potere grazie a tangenti e corruzione. Per potersi assicurare questa posizione di rilievo, i chaebol hanno indirizzato i governi verso il mantenimento di una società estremamente verticale, in cui il rispetto delle gerarchie è uno dei valori fondamentali del vivere comune. Per fare un esempio, quando nel 2014 il traghetto Sewol si inabissò al largo dell’isola di Jeju uccidendo più di 300 persone (in larghissima parte adolescenti in gita scolastica), molti inorridirono di fronte ai video in cui si vedevano i giovani passeggeri nelle loro stanze nonostante la nave si stesse evidentemente ribaltando mentre dagli altoparlanti i membri dell’equipaggio intimavano calma e ordine. Come spiega il giornalista Kim Young-Jin su Korea Times non è certo possibile spiegare quel disastro solamente come una questione culturale (dopotutto non si tratta di una dinamica tanto dissimile da quella vista in Italia con il naufragio della costa Concordia), ma sono in moltissimi a pensare che la dottrina del rispetto forzato (in questo caso per l’autorità dell’equipaggio) abbia portato tante persone a perdere la vita nonostante fossero in grado di capire che le indicazioni diramate fossero del tutto inattendibili.

La vita di un uomo coreano è spesso predeterminata da una serie di step obbligatori: dopo la scuola le strade percorribili sono quella della prosecuzione degli studi in università o l’ingresso nel mondo del lavoro, ma in entrambi i casi è comunque obbligatorio servire almeno 18 mesi nell’esercito nel periodo che va dai 18 ai 29 anni d’età. Ci si aspetta che un uomo, una volta entrato nel mondo del lavoro (spesso alle dipendenze di uno dei chaebol), sia in grado di sostenere con il suo stipendio il proprio intero nucleo familiare; questo obbliga tutti a dover sopportare una pressione sociale spaventosa, e porta la popolazione maschile a dover sottostare agli ordini dei propri superiori e a ritmi lavorativi disumani pur di rispettare il proprio ruolo nella società, venendo schiacciata in un ciclo infinito di soprusi che poi, invecchiando, sarà legittimata a imporre ai propri sottoposti.

Carne da cannone industriale al servizio delle corporation che beneficiano di questa struttura sociale per arricchirsi sempre di più sulle spalle dei cittadini. 

Basti pensare che nel 2019 i chaebol controllati da sole 64 famiglie erano responsabili di quasi l’85% del PIL del Paese.

Dalle donne, invece, ci si aspetta che il loro ruolo sia semplicemente quello di essere belle in gioventù per “accaparrarsi” l’uomo che possa sostenerle economicamente per quando diventeranno madri. Il lavoro femminile non è propriamente un taboo, ma la Corea del Sud è uno dei paesi ricchi in cui il gap salariale tra uomini e donne è tra i più marcati al mondo e in cui la percentuale di donne in posizione di potere è tra le più basse in assoluto. A questo va necessariamente aggiunto un dato spaventoso: secondo un sondaggio pubblicato da Hankyoreh circa il 75% degli under-34 sudcoreani vorrebbe lasciare il paese per sempre e, soprattutto, l’83% degli uomini e il 78% delle donne nella stessa fascia d’età considera la Corea del Sud l’inferno in terra. Insomma, tutto questo dipinge la Corea del Sud come una polveriera sociale pronta ad esplodere da un momento all’altro, ed è qui che entra in gioco il ruolo dell’intrattenimento – quindi anche e soprattutto dei videogiochi – come grande pacificatore di un sistema estremamente precario.

La storia dei videogiochi in Corea del Sud è unica nel suo genere: alla fine degli anni ‘80 Samsung cominciò ad importare nel Paese le console di Sega (Master System venne ribrandizzato Samsung Gam*Boy, mentre Mega Drive venne importato come Super Gam*Boy), mentre Hyundai si occupò del rebranding di Nintendo Entertainment System, che divenne Comboy. Un mercato in salute, che però venne distrutto da un’isteria di massa, che portò la popolazione ad avere paura delle console perché si sparse la voce che potessero portare i bambini ad avere violenti e fatali attacchi epilettici. La questione venne cavalcata dal governo e dai media, che la sfruttarono per alimentare i sentimenti antigiapponesi della popolazione, al punto che i giornali arrivarono a dichiarare ufficialmente che il rischio di attacchi epilettici fosse riconducibile ai soli videogiochi prodotti in Giappone. Questo spianò la strada al mercato del PC Gaming, che venne assalito dalle aziende americane che, forti della paura per i soli videogiochi giapponesi, si imposero sulla scena con produzioni come World of Warcraft e, soprattutto, Starcraft, che si affiancarono al successo di titoli di estremo successo sviluppati in Corea come Ragnarok Online e Maple Story. Agli inizi degli anni 2000 il settore del gaming diventò estremamente profittevole e diffuso, al punto che in Corea del Sud si sviluppò molto in anticipo sui tempi il movimento e-sport che sfociò nel mainstream in pochissimo tempo.

Basti pensare che a metà anni 2000 in televisione era possibile seguire i campionati di Starcraft, e che a lungo il gioco di Blizzard venne considerato lo sport nazionale del Paese, con tanto di scandali nazionali legati a scommesse illegali e partite truccate. Questo fece esplodere il fenomeno delle PC Bang, sale LAN che permettevano dietro pagamento di una tariffa oraria di poter giocare per ore titoli online in delle postazioni dedicate all’interno di sale appositamente attrezzate, contribuendo a spargere a macchia d’olio il fenomeno del gaming soprattutto tra la popolazione maschile. 

In un paese così strettamente gerarchico e in cui la pressione sociale è cresciuta senza tregua per anni, quindi, i videogiochi hanno offerto alla popolazione (principalmente a quella maschile) una via di fuga dalla realtà in cui potersi rifugiare per evadere dalla realtà quotidiana di un paese considerato un vero e proprio inferno. I chaebol, ovviamente, hanno capitalizzato immediatamente su questo fenomeno, investendo miliardi nel settore dell’intrattenimento e ottenendo ricavi sempre più impressionanti, soprattutto dopo la nascita del mobile gaming e l’affermazione di modelli free-to-play altamente remunerativi come quello dei gacha.

LO SCANDALO ESTIVO DI LIMBUS COMPANY

Torniamo, però, finalmente a parlare dei gacha e alle controversie legate ai rapporti tra le aziende e le loro community. Il primo grande scandalo in cui mi sono imbattuto è quello legato all’evento estivo di Luglio 2023 di Limbus Company. Il gioco sviluppato da Project Moon, infatti, in occasione dell’estate ha annunciato uno dei classici eventi estivi tipici dei giochi di questo tipo, in cui è possibile ottenere particolari skin per i propri personaggi, spesso ritratti in abiti estivi osè e poco coprenti. Tra le skin annunciate da Project Moon per Limbus Company ce ne fu una che fece letteralmente esplodere le community sudcoreane: la skin estiva di Ishmael, una delle tante protagoniste del gioco, la vedeva avvolta in una tuta da immersione molto attillata ma anche molto coprente, al contrario dei classici micro-bikini tipici di questo tipo di skin celebrative. Il rifiuto da parte di Project Moon di adeguarsi agli standard “hot” dei gacha fece scoppiare una rivolta inaspettata da parte dei fan, che iniziarono a scambiarsi messaggi in rete in cui l’azienda veniva accusata di essere sotto il controllo di un gruppo di femministe radicali misandriche, che rifiutandosi di spogliare Ishmael stavano dichiarando guerra agli uomini di tutto il paese. 

Questo portò ad una vera e propria caccia alle streghe, con gruppi di persone che si sono coordinati per giorni per risalire all’identità dell’artista che si era permessa un affronto tanto grave alla community maschile, con il chiaro intento di farla allontanare da Limbus Company. Lavorarono bene, così bene che scoprirono effettivamente l’identità dell’autrice, che però non era un’autrice ma un autore, e questa rivelazione avrebbe dovuto fermare la caccia una volta per tutte. Non è possibile, però, placare una massa inferocita che non è riuscita a reclamare la sua preda, così le attenzioni delle community si spostarono altrove. Non era possibile che quella skin così poco sexy (che poi parliamone…) non fosse il segno del dilagare di una pandemia femminista nel mondo dell’intrattenimento. La nuova vittima designata divenne un’illustratrice di Project Moon, nome d’arte Vellmori, di cui vennero dissotterrati dei tweet risalenti a quando la donna aveva poco più di sedici anni in cui si era lasciata andare a delle “dichiarazioni” di stampo femminista.

La skin incriminata di Ishmael

La situazione divenne così insostenibile che un gruppo di uomini arrabbiati e minacciosi si presentò fisicamente negli uffici di Project Moon per chiedere un confronto diretto con la dirigenza, minacciando violenze nel caso in cui non fossero stati ascoltati. Project Moon fece il peggior errore possibile: non solo acconsentì all’incontro con i rivoltosi, ma gli diede anche ragione, licenziando in tronco Vellmori e scusandosi pubblicamente per l’accaduto. Vellmori, ovviamente, non aveva alcuna colpa, ma come succede spesso in questi casi è stata usata come capro espiatorio dall’azienda per paura di ripercussioni economiche da parte della fanbase dei suoi prodotti, normalizzando quindi la violenza delle masse misogine come strumento di ricatto economico particolarmente efficace. Il modello dei free-to-play, dopotutto, rimane profittevole solo finché c’è una porzione di pubblico – anche molto piccola – disposta a spendere tanti soldi sui contenuti aggiuntivi, quindi il sacrificio di Vellmori fu un tentativo di tenere a bada le community paganti senza fare danni al portafogli dell’azienda.

Da dove nasce, peró, questa ossessione per le femministe radicali infiltrate nell’industria dell’intrattenimento? Sarà chiaro anche a un occhio inesperto che le dinamiche dello scandalo Limbus Company non possono che essere il frutto di un fenomeno preesistente che ha portato a conseguenze tanto gravi. Ecco, per capire dove si origina questa fobia internettiana bisogna fare un altro piasso indietro, più precisamente al periodo che va dal 2015 al 2017, in cui in Corea del Sud nacque un movimento femminista che ha stravolto le dinamiche di internet del paese. Parlo di Megalia, una community femminile e femminista nata in risposta all’esplicita misoginia di alcuni ambienti dell’internet sudcoreano come DC Inside, una board online che, semplificando enormemente, potrebbe essere descritta come una sorta di proto-Reddit coreano.

In risposta ad un’ondata di topic misogini (legati principalmente alla fake news secondo cui due donne coreane che avrebbero ignorato le norme di contenimento dell’epidemia di MERS andando a fare shopping ad Hong-Kong), un gruppo di donne cominciò ad attuare la strategia del mirroring: in sostanza si tratta di prendere quei contenuti e di ribaltarli contro gli uomini per dimostrare l’infondatezza e la violenza di certe prese di posizione. Megalia, il cui nome è una crasi tra MERS Gallery (il nome del topic in cui vennero diffuse le notizie false sulle donne infette troppo frivole per rinunciare allo shopping) ed Egalia’s Daughters (nome di un romanzo femminista che riscosse un notevole successo negli ambienti femminili del Paese), divenne un movimento sempre più grande e influente, e arrivò a prendere in ostaggio per mesi DC Inside stravolgendone le dinamiche interne.

Essendo un movimento spontaneo privo di un manifesto o dei valori comuni, Megalia si frammentò quasi istantaneamente in frange più moderate ed egualitarie e distaccamenti esplicitamente e dichiaratamente omofobi e misandrici che non avevano intenzione di fare prigionieri. Questo causò un vero e proprio shock negli uomini, che in larga parte rimasero indignati dal l'insubordinazione di queste donne che stavano contravvenendo al loro ruolo nella società arrivando a mancare di rispetto a chi tradizionalmente e gerarchicamente è considerato più importante. Uomini che, sottolineo, per anni sono stati liberi di sfogare la propria frustrazione contro le donne senza mai dover affrontare le conseguenze delle proprie azioni.  

Per quanto Megalia abbia giocato indubbiamente un ruolo importante nella normalizzazione (ancora lontanissima, va detto) del femminismo in Corea del Sud, è innegabile che sia stato un movimento complesso e controverso. Così controverso che non riuscì a reggere la pressione derivante dai suoi frazionamenti interni, dissolvendosi ufficialmente solo due anni dopo la sua nascita. L’esperienza Megalia, però, segnò profondamente il Paese: molte persone rimasero evidentemente scottate dalle azioni del gruppo, rispondendo con odio crescente nei confronti della popolazione femminile. 

Qui potete trovare uno splendido riassunto a fumetti della storia di Megalia

Non solo, guardate il logo di Megalia (una mano stilizzata in cui indice e pollice si avvicinano a formare una C che simboleggia la “small dick energy” dei misogini online): dal 2015 in poi la Corea del Sud è stata attraversata da una psicosi collettiva che ha portato intere community a scandagliare frame per frame videogiochi, trailer e immagini promozionali di prodotti d’intrattenimento all’ossessiva ricerca di riferimenti occulti a Megalia nel tentativo di dimostrare che le aziende Sudcoreane fossero in pugno ad una congregazione segreta di femministe radicali. Quando parlo di psicosi di massa non sto esagerando: gli antifemministi arrivarono a far bandire pubblicità di catene di fast food che vendono pollo fritto o a prendersela con JaeJae, presentatrice televisiva, perché in una foto che la ritrae mentre mangia un pasticcino la sua mano sembra ricordare il simbolo del collettivo.

MEGALIA E VIDEOGIOCHI

L’ambiente che è stato più segnato da “scandali” legati all’iconografia di Megalia, però, è stato sicuramente quello dell’intrattenimento, e in particolare quello dei videogiochi. Il caso Ishmael e il conseguente licenziamento ingiustificato di Vellmori sono solo la punta dell’iceberg: qualche tempo prima era toccato a Smilegate, che venne accusata di aver inserito in Lost Ark una gesture molto simile al logo di Megalia (gesture che, è importante sottolinearlo, era presente nel gioco da circa tre anni prima che la massa inferocita dell’antifemminismo si scagliasse contro l’azienda), e lo stesso successe a Nexon per un singolo frame di un trailer di MapleStory.  

Quest’ultimo caso, nello specifico, è particolarmente assurdo.

Nexon, azienda publisher del gioco, venne sommersa di critiche perché nel trailer di presentazione di un personaggio di MapleStory, Angelic Buster sembrava mettere una mano in una posa che ricordava il simbolo di Megalia. Parliamo di pochissimi frame, praticamente impercettibili a occhio nudo, che scatenarono un’ondata di proteste che si conclusero nella stessa maniera di sempre. Nexon, terrorizzata dall’influenza dei branchi di indignati, corse immediatamente ai ripari ritirando il trailer e pubblicando numerosi comunicati stampa in cui chiedeva scusa ai propri fan e assicurava tutti che sarebbe andata a fondo della questione, accettando implicitamente l’idea che qualcuno avesse effettivamente infilato di nascosto un gesto misandrico nel trailer incriminato e dandola di fatto vinta agli antifemministi.

L’aspetto surreale di questa storia è che si trattò a tutti gli effetti di uno scandalo nazionale, raccontato in lungo e in largo anche dai telegiornali sudcoreani (qui potete vedere un video in cui si parla dell’accaduto in un servizio di Yonhap News TV). Le proteste furono feroci, e si innescò una nuova isteria di massa che portò i fan indignati a scavare nel passato di Studio Ppuri (conosciuto anche come Studio Root), lo studio d’animazione che si era occupato del trailer incriminato di MapleStory, scoprendo con orrore che in praticamente ogni prodotto dello studio erano presenti dei frame in cui era possibile vedere personaggi di finzione replicare il gesto segreto con cui le femministe radicali stavano apparentemente comunicando tra loro l’odio nei confronti degli uomini. Nelle ore successive alla scoperta ci fu una vera e propria pioggia di comunicati stampa in cui decine e decine di aziende che si erano affidate ai servizi di Studio Ppuri si prodigarono nel chiedere scusa ai propri fan per l’accaduto.

A pagare fu l’ennesimo capro espiatorio; Thatser, un’animatrice di Studio Ppuri, venne allontanata per tenere a bada le proteste del pubblico maschile dopo che si scoprì un suo vecchio tweet in cui si definiva orgogliosamente femminsita, ma presto emerse una verità sconcertante: sia lo storyboard che il trailer finale vennero disegnati e animati da due uomini tra i 40 e 50 anni, ma questo alla folla arrabbiata non interessava; l’importante era aver finalmente dimostrato al mondo che nell’industria del gaming sudcoreana esisteva un’agenda politica ultrafemminista radicale, e le scuse pubbliche delle aziende furono sbandierate come la prova schiacciante della giustizia delle loro posizioni.

Una delle "evidenti prove" della cospirazione femminista di Megalia (da Blue Archive)

A questo si aggiunse il fatto che gli uffici di Nexon e di Kakao Games (il team di sviluppo di MapleStory) vennero piantonati per giorni da persone che tentavano di spiare i dipendenti, oltre alla diffusione pubblica dei nomi degli animatori del trailer contestato. La questione si infiammò particolarmente quando, nei giorni successivi al licenziamento di Thatser, alcuni gruppi di donne annunciarono un sit-in di protesta davanti agli studi di Nexon per opporsi al suo ingiusto licenziamento: poco dopo infatti, su DC Inside apparvero dei messaggi di una persona che annunciò di voler compiere un attentato, mostrando in foto il coltello che avrebbe usato per ferire o uccidere le donne scese in piazza. Come si scoprì poco dopo le immagini erano false, così come lo erano probabilmente anche le minacce di attentato, ma quei messaggi riuscirono ad attirare l’attenzione della polizia sul sit-in e a scoraggiare le manifestanti, che per paura di venire aggredite si presentarono in molte meno del previsto alla protesta.

Parliamo della stessa Nexon che nel 2016 licenziò Kim Ja-yeon, doppiatrice di un personaggio di Closers, dopo che questa aveva pubblicato su twitter l’immagine di una t-shirt su cui campeggiava la scritta “Girls do not need a prince”, giudicata ancora una volta come la prova schiacciante della sua appartenenza a Megalia e al suo femminismo radicale.Questa è la prova del fatto che non sono mai “solo” videogiochi, ma sono parte di un substrato culturale estremamente complesso.  

Non finzione ma realtà.

L'immagine della maglietta che è costata la carriera a Kim Ja-yeon

UNA QUESTIONE DI ESCAPISMO

Abbiamo già visto come è strutturata la società sudcoreana e, soprattutto, come il rispetto ossequioso delle sue gerarchie giustifichi da decenni continui soprusi. Non è un elemento da poco in questa storia. È difficile mettersi nei panni di un uomo che viene al mondo in una società che lo incasella perfettamente in un sistema in cui chi sta sopra di te è legittimato ad essere verbalmente e fisicamente violento nei tuoi confronti. Succede quando si è figli, quando si è studenti, quando si è soldati e quando si è dipendenti: tutta una vita passata a subire vessazioni dall’alto e a impartire le stesse vessazioni verso il basso, in una società ingiusta in cui il proprio ruolo in quanto uomini è quello di subire tutto questo solo per poter portare a casa uno stipendio abbastanza importante da sostenere autonomamente un intero nucleo familiare. È difficile anche rendersi conto del peso che si porta sulle spalle in quanto donne in un paese in cui il proprio valore viene associato principalmente al proprio aspetto fisico e in cui essere attraenti è un dovere. Spesso, infatti, la Corea del Sud è stata indicata come la capitale mondiale della chirurgia estetica, a causa del fatto che circa il 25% delle donne under-29 e il 31% di quelle comprese tra i 30 e i 39 anni hanno subito almeno un intervento di chirurgia cosmetica nel corso della propria vita. Essere belle è un dovere e un lavoro, perché a prescindere dalle proprie competenze si viene giudicate principalmente in base alla propria apparenza. Tanto lo stipendio lo devono portare a casa gli uomini.

Tutto questo porta irrimediabilmente ad una disparità enorme e, soprattutto, ad un odio sociale estremo. Tutte quelle donne che non lavorano e non fanno altro che pensare al proprio aspetto sono disprezzate dagli uomini che invece vivono la vita incatenati alla scrivania di una corporation che li sfrutta per tutta la vita e che si arricchisce sulle loro spalle; tutti gli uomini frustrati, stanchi, incattiviti dalla propria quotidianità e che sono stati educati a rivolgere verso il basso la propria rabbia e insoddisfazione sono disprezzati dalle donne costrette a subire violenze e disparità. Basti pensare, per esempio, al fatto che parliamo di un Paese in cui esiste una vera e propria epidemia di casi di donne spiate da telecamere nascoste in ogni dove, dal proprio appartamento ai bagni del proprio posto di lavoro.

Come succede spesso, peraltro, il fatto che una delle due parti della barricata ottenga qualche lieve miglioramento della propria condizione causa rivolte basate sull’onnipresente invidia sociale. È un problema comunissimo in tutto il mondo, basti pensare per esempio a tutti quegli adulti che, in Italia, si indignano di fronte alle proteste dei giovani contro il proprio sfruttamento lavorativo e che si oppongono ai cambiamenti perché in gioventù hanno subito lo stesso trattamento senza però lamentarsi. Per gli uomini della Corea del Sud è impensabile che le donne tentino di migliorare la propria condizione, perché tutto ciò viene percepito come ingiusto nei propri confronti e dello stress a cui sono sottoposti quotidianamente. Il problema è l’insubordinazione, il fatto che chi gerarchicamente sta un gradino sotto si ribelli interrompendo il ciclo di soprusi ricevuti dall’alto e indirizzati verso il basso su cui si basano le interazioni sociali nel sistema Corea del Sud. È per questo che si è arrivati alle minacce, agli atti di terrorismo e addirittura a cercare in tutti i modi di associare i movimenti femministi allo spionaggio nordcoreano. Non ci si è resi conto che uomini e donne stanno in realtà combattendo contro un nemico comune, ovvero quello stesso sistema che ha imposto su entrambi degli standard di vita insostenibili mentre, nell’ombra, c’è qualcuno che da quel sistema ha solo che da guadagnarci enormemente.

Perché, però, ad innescare la rivolta sono stati proprio i videogiochi e, nello specifico, i gacha? 

I gacha coreani non sono dissimili dai titoli pubblicati in altri Paesi come Cina e Giappone, e basano gran parte della propria attrattività proprio sul loro nutrito pool di personaggi femminili. Non è un caso che i videogiochi mobile che spopolano in Corea del Sud e nel mondo siano infarciti di protagoniste spesso svestite, sexy e ammiccanti: sono ricompense per i giocatori più affezionati la cui lealtà ad un gioco viene premiata con dell’eye candy provocante. Si tratta sicuramente di una forma di oggettificazione del corpo femminile (in una cultura in cui esiste anche una forma massiccia di oggettificazione del corpo maschile, va detto), in cui le donne che popolano i videogiochi vengono trattate come veri e propri trofei da esibire in una sorta di harem virtuale.

La realtà dei fatti, però, è estremamente più semplice di così: i gacha spopolano perché hanno regole ben precise e sono “facili” da controllare. Certo, si tratta comunque di videogiochi in cui la randomizzazione delle ricompense è alla base della loro economia, ma ogni giocatore sa perfettamente che se si impegna con dedizione può ottenere una ricompensa. È una dinamica inebriante, soprattutto in un mondo in cui si viene costantemente torchiati da un sistema soffocante e in cui l’enorme fatica che si è costretti a fare non viene mai corrisposta dalla giusta ricompensa. Anzi, è evidente a tutti che i propri sforzi servono principalmente a far arricchire enormemente la corporation di turno mentre migliaia e migliaia di lavoratori sacrificano le proprie vite sull’altare del profitto a tutti i costi.  

Tutto questo succede mentre sullo sfondo c’è un Paese dilaniato dalla corruzione e da continui scandali spaventosi. Vi basti pensare che giusto qualche anno fa un’inchiesta di JCTB Newsroom svelò che l’allora presidentessa della Corea del Sud Park Geun-Hye era segretamente manipolata dalla leader di una setta religiosa che intascava tangenti enormi da chaebol come Samsung, Hyundai, Lotte e LG in cambio di favori, deregolazioni e sgravi fiscali da parte del governo.

La presidentessa Park Geun-hye scortata dalla polizia dopo la condanna a 24 anni per corruzione

L’industria dell’intrattenimento è quindi fondamentale in un contesto del genere: offre oasi di pace in quello che i coreani stessi definiscono l’inferno in terra, permette di staccare dallo stress della vita quotidiana e dimenticarsi per qualche ora di un mondo lavorativo in cui si è ingranaggi in una macchina che divora le vite degli impiegati di un Paese dilaniato da un’instabilità sociale che viene spesso e volentieri nascosta sotto al tappeto.  

L’odio nasce dalle briglie strette del sistema e, soprattutto, dalla paura che i cambiamenti in atto possano in qualche modo arrivare nelle uniche oasi di pace in cui certe persone sono riuscite a trovare riparo anche solo per qualche ora al giorno. Se le donne fanno notare che c’è un’ipersessualizzazione dei personaggi femminili nei videogiochi vanno zittite con ogni mezzo possibile, perché potrebbero rovinare l’unica forma di escapismo rimasta agli uomini.

IL RAPPORTO CON L'OCCIDENTE

Torniamo a noi. 

L’occidente negli ultimi anni si è dimostrato estremamente ricettivo nei confronti della cultura sudcoreana. I cinema si sono popolati di film sudcoreani, Netflix continua ad aggiornare il proprio catalogo aggiungendo sempre più k-drama al suo palinsesto, il k-pop sta vivendo un momento di estrema popolarità soprattutto nella popolazione più giovane e due dei videogiochi più chiacchierati dell’anno sono Stellar Blade e The First Descendant, entrambi sviluppati da team coreani. È difficilissimo, al giorno d’oggi, non entrare in contatto con prodotti d’intrattenimento provenienti da Seoul

Lo abbiamo già visto succedere in passato: la mia generazione è figlia dell’importazione in occidente massiccia di prodotti culturali giapponesi che hanno plasmato l’infanzia di un numero incalcolabile di persone. Il risultato è stata una forma di nippofilia che ha dipinto nella coscienza collettiva dell’occidente un’immagine estremamente edulcorata e deviata della cultura giapponese. Il governo di Tokyo ha cavalcato con forza questo fenomeno, sfruttando Hello Kitty, i film dello Studio Ghibli e i Pokémon per ripulire la propria immagine e per colonizzare i mercati di tutto il mondo. È la strategia del soft power, e Giappone e Stati Uniti sono stati maestri nella sua applicazione su scala globale nell’ultimo secolo.

La Corea del Sud ha iniziato la sua cavalcata, “infiltrando” i suoi prodotti culturali sui mercati occidentali per raccontarsi in maniera differente dalla realtà effettiva. È una strategia storicamente utilissima a vendere un’immagine “controllata” del proprio Paese, che permette quindi di raccontare all’estero solo ciò che si vuole mettere in risalto nascondendo contestualmente tutto ciò che non si vuole che diventi di pubblico dominio. Tornando al Giappone, per esempio, basta pensare a quanto approfondita sia la conoscenza degli occidentali di prodotti di cultura pop come Evangelion o Doraemon e a quanto poco si sappia o si parli dei crimini di guerra dell’impero giapponese o della costante virata a destra del governo del sol levante. È quindi ovvio che la Corea del Sud ci tenga molto a nascondere la sua profonda crisi economica e sociale dietro il successo globale dei BTS e degli Stray Kids.

I BTS sono stati invitati alla casa bianca per incontrare il presidente Biden.
Tempolinea incredibile.

Il problema nasce quando certi modelli culturali vengono importati in occidente in maniera decontestualizzata, e quindi pronti ad essere manipolati per il tornaconto di chi li utilizza come armi. Torniamo, finalmente, all’apertura di questo pezzo e al licenziamento delle consulenti di Shift Up accusate di essere femministe radicali: Non ho nessuna intenzione di giustificare le azioni del team, che sono e rimangono abusive nei confronti delle dipendenti in questione, ma ora comprendo molto meglio il contesto in cui sono avvenute. Scavando un po’, infatti, ho scoperto che le “femministe misandriche” licenziate da Shift Up sono state accusate di essere affliate a Megalia. Che è un movimento ufficialmente dissolto da almeno sette anni.  

È sbagliato, ma se inserito nel contesto appena descritto ecco che il comportamento dell’azienda si rivela essere quello che è realmente: semplice conformismo a quanto succede quotidianamente da anni in Corea del Sud, volto semplicemente a proteggere i propri investimenti su Stellar Blade dalle possibili ritorsioni in patria.

Quando questa storia è arrivata da noi, però, è stata utilizzata da tutti quei gruppi di persone che sono impegnati nella stessa battaglia contro l’ingerenza delle donne nell’industria del gaming come pièce de resistance della propria guerra. Pensate al Gamergate, o più di recente all’assurda battaglia nata intorno alla legittimità storica (!!!) di Yasuke in Assassin’s Creed Shadows o ancora alla psicosi Sweet Baby Inc: i supporter dei cosiddetti movimenti anti-woke (che nascondono razzismo e sessismo dietro alla facciata di “brave persone che vogliono proteggere la creatività nell’intrattenimento”) sono soliti prendere storie di questo tipo ed estrapolarle dal proprio contesto per portare a casa il punto

Ecco quindi che la discussione legittima sull’estetica ipersessualizzata dei personaggi di Stellar Blade e The First Descendant viene spenta sul nascere da chi si fa scudo con le dichiarazioni antifemministe dei team di sviluppo responsabili della creazione di quei videogiochi.

COSA RESTA?

Si tende spesso a dire, almeno qui in occidente, che le nostre polemiche sono assurde perché “in Asia non perdono tempo con certe stronzate inclusive”. Ci si dimentica, forse volontariamente, del fatto che ci sono molte fonti secondo cui in Giappone l’omosessualità pare sia stata accettata – o quantomeno non demonizzata – per secoli, e che videogiochi e manga hanno giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei movimenti LGBT nel Paese. Ci si dimentica del lavoro fatto dalle mangaka del Nijūyo-nen Gumi per elevare il livello dei manga per ragazze e raccontare al mondo cosa significasse essere donne al pubblico giapponese. Si ignora che ogni fenomeno di questo tipo lo si può e lo si deve raccontare solo in relazione al contesto in cui viene alla luce, e che senza conoscere quel contesto sia impossibile parlare con cognizione di causa di aspetti sociali così complessi.  

Mi sono chiesto, quindi, se e come si sia parlato degli scandali legati alle aziende coreane nelle community italiane, curioso di capire come siano stati recepiti da noi gli episodi raccontati fin qui. Ho chiacchierato di questo con qualche giocatore di Limbus Company e appassionati di gacha in generale, che mi hann raccontato del fatto che in occidente la questione è stata poco discussa. Molti, a quanto pare, sono stati tagliati fuori dal fatto che i comunicati delle aziende ai tempi dei licenziamenti di Vellmori e delle altre dipendenti siano stati diramati esclusivamente in coreano. Mi hanno però raccontato un dettaglio che reputo estremamente prezioso: una volta scoperto del licenziamento di Vellmori in molti si sono sentiti traditi da Project Moon, un team impegnato nel raccontare storie in cui uno dei temi fondanti è da sempre la rappresentazione dei rapporti di potere nella società e le conseguenze sulla psiche di chi subisce le conseguenze delle scelte degli altri

Scavando un po’ ho constato che di tutto quello che si è parlato finora si è scritto e discusso pochissimo. Dr Commodore ha riportato per esempio la notizia di Solo Leveling che ha cancellato il nome di Studio Ppuri dai credits dell’anime a causa delle accuse di misandria nei confronti dello studio, dando però per appurato che il team fosse effettivamente colpevole di aver inserito per anni riferimenti occulti a Megalia e senza in alcun modo approfondire la questione di genere in Corea o il contesto in cui è avvenuta quella cancellazione nello specifico. 

Secondo chi vive in Corea del Sud l’esperienza Megalia è stata tanto controversa quanto importante per la normalizzazione del femminismo fra le donne del Paese, che dal 2015 ad oggi si è evoluto e diffuso soprattutto alla luce di scandali come quello del Burning Sun o delle proteste della stazione di Hyehwa che hanno portato le donne ad unirsi per denunciare decenni di abusi, violenze e sessismo sistematico. Nonostante questo, però, la C di Megalia è ancora considerata un taboo nel Paese, e in generale essere accusati di essere femministi è un vero e proprio stigma sociale (Nel 2022 la YouTuber BJ Jammi si è tolta la vita dopo anni passati a ricevere messaggi d’odio da chi la accusava pubblicamente di essere una femminista radicale).

Mentre qualcuno ci racconta la favola di un’Asia insensibile alle questioni sociali tanto care all’occidente, la Corea del Sud è nel pieno di una guerra di genere che ha portato gli uomini a mobilitarsi per rimuovere sistematicamente ogni proposta di legge che possa anche solo lontanamente migliorare la situazione sociale delle donne, al punto che l’ultima campagna elettorale sta in tutti i modi cercando in ingraziarsi il favore dei gruppi organizzati di misogini che da anni stanno cercando di annullare le poche leggi che andavano ad inasprire le pene per lo stupro.

Tutto questo è passato dalle community dei giocatori di gacha e dalla convinzione che i movimenti femministi stavano cercando attivamente di distruggere il loro passatempo preferito. 

Si è passati da aziende che hanno legittimato le lamentele di un pubblico che si è sentito aggredito da una skin estiva troppo poco sexy ad una campagna elettorale che ha parlato faccia a faccia con i misogini che si sono mobilitati contro il #MeToo coreano. Dal licenziamento ingiustificato di Vellmori a Yoon Suk-yeol del People’s Power Party che ha tentato di eliminare il ministero per la parità di genere dall’assetto governativo del paese. Insomma, ognuno è libero di pensare ciò che vuole, ma è innegabile che l’importazione dei prodotti culturali apra la porta alla strumentalizzazione degli stessi da parte di chi vuole portare acqua al proprio mulino, quindi fate attenzione a chi racconta di un’industria dell’intrattenimento in pericolo: come dimostra l’assurda storia dei gacha sudcoreani ad essere in pericolo sono quasi sempre le minoranze, e le aziende proteggono sempre e comunque il proprio portafogli prima delle loro community, anche a costo di dare potere e rilevanza a gruppi violenti e sessisti.  

Non sono mai solamente videogiochi. Mai.

Ci tengo a ringraziare pubblicamente Giulia Macrì, che vive in Corea del Sud e lavora come traduttrice freelance, e Elisa De Benedettis, giocatrice di Limbus Company, per l'aiuto che mi hanno fornito nella ricerca delle fonti. Senza il loro preziosissimo aiuto questo articolo non sarebbe potuto esistere.

Pubblicato il: 31/07/2024

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17 commenti

Mi ero perso, colpevolmente, questo articolo.

Sori: GRAZIE
Giulia: GRAZIE
Elisa: GRAZIE

Sono una persona ad alta sensibilità molto vicina a questi temi.
Ho dovuto fare delle pause durante la lettura perchè le ingiustizie hanno un gross …Altro...
Mi ero perso, colpevolmente, questo articolo.

Sori: GRAZIE
Giulia: GRAZIE
Elisa: GRAZIE

Sono una persona ad alta sensibilità molto vicina a questi temi.
Ho dovuto fare delle pause durante la lettura perchè le ingiustizie hanno un grosso peso sulla mia emotività.

Sori, sei riuscito a far commentare un asociale che tutto legge e guarda di Round Two ma che non interagisce mai.

Grazie Final Round

Grande Sori!!! Articolo impeccabile! Curioso sapere che mentre qui lottiamo per la parità di genere, lì lottano (o quasi) per sottomettere il genere femminile!

Non pensavo che ci fossero tutti questi casini dietro i gacha.
Questo articolo mi ha aperto gli occhi.

Un pezzo profondo e stordente. È da un po' che mi si è incrinata quell'immagine edulcorata del mondo orientale fatto di manga, JRPG, anime e viuzze stracolme di shop videoludici. Eppure fa sempre un certo effetto rinsaldarne la consapevolezza. Gran …Altro... Un pezzo profondo e stordente. È da un po' che mi si è incrinata quell'immagine edulcorata del mondo orientale fatto di manga, JRPG, anime e viuzze stracolme di shop videoludici. Eppure fa sempre un certo effetto rinsaldarne la consapevolezza. Grandissimo lavoro, Sori: complimenti.

Mi accodo con i complimenti, davvero un bell'articolo, un approfondimento utile e che fa capire un po' di più il grosso problema del sessismo in Corea!

Dico sempre che che Final Round è il sito di videogiochi che avrei sempre voluto.
Questo articolo non è altro che l'ennesima conferma!

Non sono mai stato attratto dai giochi gacha, anche perchè sono particolarmente contro il gioco d'azzardo e …Altro...
Dico sempre che che Final Round è il sito di videogiochi che avrei sempre voluto.
Questo articolo non è altro che l'ennesima conferma!

Non sono mai stato attratto dai giochi gacha, anche perchè sono particolarmente contro il gioco d'azzardo e la sua esposizione alle categorie più fragili come i bambini e gli adolescenti. Tuttavia, rimane interessante approfondire il loro background storico e culturale :)

Questo (finora) è il mio articolo preferito. Devo dire che una volta letto, mi ha lasciato un profondo senso di tristezza.

Grande Sori, bellissimo artiolo, un'analisi molto interessante di una situazione assurda che è quasi diametralmente opposta alla nostra concezione.

Complimenti per aver riassunto la situazione in maniera impeccabile, personalmente seguo il KPOP da anni e vedo giornalmente lo svilupparsi di queste dinamiche, posso solo immaginare il lavoro svolto per riassumerle in un solo articolo (soprattutto d …Altro... Complimenti per aver riassunto la situazione in maniera impeccabile, personalmente seguo il KPOP da anni e vedo giornalmente lo svilupparsi di queste dinamiche, posso solo immaginare il lavoro svolto per riassumerle in un solo articolo (soprattutto da esterno a quel mondo).
La situazione sociale coreana fa quasi sembrare quella americana una barzelletta.
Tra l'altro, se siete "in for a ride" vi consiglio questo thread su twitter riguardo la situazione universitaria in corea: https://x.com/airkatakana/status/1793094026755002624

Bravo Sori, bell'articolo, hai fatto una ricerca impressionante. Ovviamente articolo da condividere, fa riflettere.

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