MODA

E

VIDEOGIOCHI

Due mondi all'apparenza lontanissimi che si parlano da decenni

Moda e videogiochi. Che binomio strano, vero? E invece è meno strano di quanto possa sembrare agli occhi dei novizi di entrambi i campi. Vi chiedo un po’ di pazienza e sforzo, perché dopo la fase introduttiva del discorso che cominceremo con questo articolo, vi sembrerà tutto più semplice e chiaro. Partiamo dalle basi, dal principio della moda, visto che di videogiochi ne capiamo abbastanza da poter scrivere e leggere trattati. 

“Il vero fascino, stimolante e piccante, della moda sta nel contrasto fra la sua diffusione ampia e onnicomprensiva e la sua rapida, fondamentale caducità, nel diritto all’infedeltà nei suoi confronti. Sta, nella stessa misura, nello spazio ristretto in cui chiude una determinata cerchia sociale, dimostrando come la propria causa e il proprio effetto siano l’appartenenza comune ad essa, e nella risolutezza con cui la separa dalle altre cerchie sociali. Sta, infine, sia nella possibilità di essere sorretti da una cerchia sociale, che impone ai suoi membri una reciproca imitazione liberando l’individuo da ogni responsabilità etica ed estetica, sia nella possibilità, all’interno di questi limiti, di crearsi una sfumatura personale con l’intensificazione o con il rifiuto della moda. Così la moda, pur presentando particolari caratteristiche, dimostra di essere solo una di quelle forme nelle quali la finalità sociale e quella individuale hanno oggettivato con gli stessi diritti le correnti opposte della vita”.

Con questo pensiero viene riassunto il senso e concluso il saggio “La moda” di Georg Simmel (1868 - 1918), filosofo e sociologo tedesco, uno dei padri fondatori della sociologia, nonché uno dei massimi e più noti interpreti della modernità. Significativo, oltre ai suoi più celebri lavori, è “La metropoli della vita e dello spirito”, di cui vi consiglio la lettura. Tornando al volume citato, però, possiamo dire che si tratta di un breve ma intenso trattato, che ha tracciato un solco indelebile nella comprensione e nello studio della moda e dei suoi fenomeni cardine. Un testo che ci aiuta a comprendere un’invenzione umana spesso mistificata, relegata nella fatuità, superficialità e  leggerezza. Un analisi interessante, che è utile a comprendere le dinamiche che muovono il sistema moda, ma anche i collegamenti psicologici insiti nell’uomo dall’alba dei tempi.

Simmel ci insegna che la moda è tra di noi, volenti o nolenti, anche tra chi la disdegna, perché nel solo gesto di rifiuto compie un atto di ribellione anche nel vestiario, che comunica il proprio essere, il proprio stato d’animo, il proprio dissenso. Ecco, probabilmente, nella visione ampia delle cose, fa più per la moda una persona che disdegna la moda intesa come fashion, che il più grande appassionato di fashion della Terra. È un discorso molto vasto e lungo da trattare, ma necessario anche solo come infarinatura per farvi capire che sì, la moda è nella vita di tutti i giorni di ognuno di noi e risiede anche semplicemente nell’atto di alzarsi dal letto, aprire l’armadio e scegliere i capi con cui vestirsi ogni mattina. Lo è perché scegliendo un outfit stiamo comunicando qualcosa del nostro essere, del nostro gusto, del nostro stato d’animo e del nostro sentire il mondo. Spesso in modo indiretto, ma altrettanto spesso in modo direttissimo.

Vi è mai capitato di sentirvi tristi e potenziare il vostro incupimento indossando qualcosa di nero? Bene. E invece, vi è mai capitato di andare in un luogo specifico, magari a un evento o una festa, e imbellettarvi di tutto punto scegliendo qualche abito elegante? Bene. E ancora, vi è mai stato detto che in ufficio è meglio vestirsi con la giacca e la cravatta? Bene, bene. Questo articolo, quindi, parla anche a voi, sopratutto a voi, appassionati di videogiochi che magari, molto spesso, preferite indossare le magliette dei vostri eroi virtuali, oppure scegliete di dare un tocco in più a quella giacca che vi fa proprio morire di scomodità e sudore con una spilla di Super Mario per andare a quell’evento o quella festa di cui sopra.

 Prima di entrare nel vivo del discorso, facciamo un altro excursus letterario/accademico, citando la prefazione di un libro di Andrea Batilla: 

Siamo spesso portati a considerare la moda qualcosa di astratto, effimero e superficiale, che appartiene in prevalenza al mondo femminile e di cui si occupano perlopiù le riviste di gossip. Dimentichiamo, però, un aspetto molto importante e cioè che la costruzione della nostra identità passa anche e soprattutto attraverso gli abiti. I codici di abbigliamento, infatti, non nascono in maniera casuale, ma sono dettati dalle classi dominanti o, al contrario, dalla reazione a ideologie e politiche imposte. Come ci insegna la storia, la moda non ha solo un valore estetico, ma racchiude significati ben più profondi, sociali e culturali. Andrea Batilla, che da anni lavora in questo ambiente e dunque lo conosce molto bene, entra nei suoi ingranaggi per decifrarne i messaggi nascosti. Conducendo il lettore da un passato solo in apparenza lontanissimo a un futuro che è già alle porte, analizza alcuni abiti e oggetti iconici e ne svela il reale significato. Perché un capo d'abbigliamento non è mai «neutro», ma porta con sé una precisa visione del mondo e dei ruoli sociali. Dall'antica Roma alle provocatorie sfilate degli stilisti contemporanei, passando per Bisanzio e il Rinascimento, il lungo viaggio spazio-temporale di Batilla mostra con ironia e competenza come la scelta di un tessuto, di un taglio o di un colore non sia mai stata una mera questione di forma. L'abito è l'espressione più autentica di sé, il modo più vero, anche se talvolta inconsapevole, di raccontarsi agli altri. «Perché, che tu lo accetti o meno, quello che sei si vede, tantissimo, da come ti vesti»”.

Andrea Batilla, a mio parere e forse all’unanimità, è uno dei più grandi studiosi di moda italiani moderni. Si occupa di tante cose e i suoi libri “Come ti vesti”, da cui è tratto l’estratto appena concluso, “Instant moda” e “L’alfabeto della moda”, sono dei libri che vi consiglio di leggere a prescindere dal vostro grado di passione o non passione per la moda. Sono dei libri in grado di aprirvi gli occhi sulla vita di tutti i giorni e, se siete arrivati fin qui con un pizzico di curiosità in tal senso, fidatevi: non ve ne pentirete di averli letti e, anzi, forse tornerete a ringraziarmi.  

Abbiamo quindi utilizzato il caro Andrea Batilla come cavallo di Troia per addentrarci nel vivo di questo articolo. Ora, siccome avete superato la parte più pesante e pensosa di questo livello, cominciamo gli esempi che ci serviranno ad inquadrare tutto il discorso della vicinanza tra la moda e i videogiochi. Partiamo sottolineando il fatto che la moda ci circonda, fa parte dell’essere umano ed è quindi naturale il suo coinvolgimento in tutti gli aspetti del quotidiano e del genio stesso umano. Quali sono i suoi (del genio umano) frutti più remunerativi, in voga e sentiti al momento? La musica, il cinema, la televisione, i media in generale e… i videogiochi. Sì tutti i medium citati hanno a che fare con la moda, e pure i videogiochi

Gettiamo quindi le basi per un discorso lunghissimo che, volendo, potrebbe giustificare decine di articoli sul tema. Partiamo esemplificando qualcosa che è sotto gli occhi di tutti, o meglio dal più ovvio e apparentemente scontato collegamento tra moda e videogiochi. Parliamo di Balenciaga e iniziamo col ripescare la collaborazione tra la casa di moda che fu del couturier spagnolo Cristóbal Balenciaga e PlayStation. I più attenti ricorderanno l’avvicinamento dei due colossi in occasione del lancio di PS5. L’azienda francese sfruttò il momentum (o quella giapponese, lasceremo all’immaginazione da chi è partita l’iniziativa perché non si sa) per lanciare una capsule collection dedicata alla nuova console Sony e composta da cappellini, t-shirt, felpe, calzini e altro. Contrariamente a quanto riportato all’epoca, la notizia non era “Ecco le maglie di PS5 che costano più della console stessa”, no. Perché, sembrerà strano ai più, ma quei prezzi non sono solo giustificati e giusti, ma sono la norma nel mondo moda. Lo sono per una serie di motivi che in questa sede non ci interessano, ma vi basti sapere che dietro i prezzi esorbitanti dell’alta moda tutta ci sono: costi di design, distribuzione, promozione, marketing, materie prime, progettazione, sfilate e molto altro.

La collab tra Balenciaga e PlayStation non è stato altro che uno dei tanti tentativi, riusciti, riuscitissimi, dati alla mano, di appropriazione reciproca di una sottocultura. Oltre ad essere una delle maison più in voga e di successo dei tempi in cui viviamo, Balenciaga è anche una casa di moda molto attenta alla tecnologia (recente è il suo avvicinamento alla VR/AR con la pubblicazione della prima app fashion di Apple Vision Pro) e al mondo dei videogiochi. Lo è perché, innanzitutto, il suo designer, Demna Gvsalia, georgiano, 43 anni, è un invasato di videogiochi, e poi perché è consapevole del fatto che i videogiochi non sono, nel modo più assoluto, il medium vittima di soprusi che molti di noi sono abituati a raccontare. No, i videogiochi sono tra noi e sono riconosciuti all’unanimità come il mezzo di comunicazione moderno per antonomasia. Non ci stupiamo se la musica, il cinema, la televisione e compagnia sono vicini al mondo della moda, perché dovremmo farlo per il contatto continuo, voluto, cercato che la moda ha con l’industria dei videogiochi?

Focalizziamoci, ancora, e forse solo, per questa volta, su Balenciaga. Altro esempio è la collab con Fortnite, che è stata declinata sia sotto forma di capi disponibili instore e online, che sotto forma virtuale all’interno del gioco Epic Games. Non è la prima volta che il “metaverso” di “nftiana” memoria si avvicina al fashion: lo ha fatto anche con Travis Scott, durante il suo mega concerto evento ingame, quando il trapper americano indossava capi e scarpe dalla sua collab con Nike, oppure con l’altra collab Fortnite x Moncler x Alyx. Anche questo è stato un tentativo, molto riuscito, di avvicinamento delle parti, e lo è stato in modo molto più chiaro ed evidente di un altra mossa che Balenciaga porta avanti da qualche stagione/sfilata a questa parte: sapete che sono anni che Demna fa sfilare e vende un’armatura con chiari, netti, lapalissiani riferimenti estetici e di gusto a Damon’s Souls e i lavori di Hidetaka Miyazaki? La prima volta che è apparso tale equipaggiamento a metà tra souls e Paris Fashion Week è stato in occasione della sfilata Afterworld: The Age of Tomorrow.

Sempre in ottica di carezze varie ed eventuali ai videogiochi, Balenciaga ha infatti sviluppato una sfilata interattiva, a tutti gli effetti un videogioco, perché è così che viene chiamato sul sito della maison, per presentare la sua collezione Spring/Summer 2021 (8 dicembre 2020, poco dopo il lancio di PS5 e la collaborazione di cui abbiamo parlato poco fa). L’iniziativa si è tradotta in outfit acquistabili, virtualmente e in negozio, pregni dell’estetica tipica dei videogiochi, sempre con quella tendenza verso l’appropriazione di un’altra estetica preponderante tra le mura e le menti di Balenciaga, quella Y2K.

Ah, il Y2K. Sapete qual è il più grande esempio di estetica Y2K oltre a Matrix? Need for Speed Underground 2. Non c’è, infatti, nessun media, club, concerto, situazione, mostra d’arte o la qualsiasi più Y2K del secondo esponente della sottoserie Electronic Arts dedicata alle corse clandestine. Lo è nella misura in cui si è ispirato a un altro capostipite dell’estetica Y2K, Fast & Furious, di cui NFSU2 è stato ammiratore, facciamo adulatore, propagatore e testimonal in tempi sospettissimi. E sapete qual è stato l’ultimo avvicinamento di Balenciaga al mondo dei videogiochi? Una collab con Need for Speed Mobile, disponibile e a quanto pare molto in voga in Cina. Questa iniziativa, oltre a parlare della fissazione che Demna ha per il Y2K, i videogiochi, il nero e tante altre cose, parla ad alta voce di un’altra questione importantissima e che prescinde dal discorso che stiamo facendo: gli atti di lecchinaggio di Kering, il gruppo che controlla Balenciaga, nei confronti del mercato cinese, suggellati dall’ultima, mastodontica, distopica, bellissima sfilata di “bladerunneriana” memoria di Demna per la Spring 2025.

Nomino Need for Speed Underground 2 come un fondamentale padre fondatore dell’estetica Y2K, più di Fast & Furious, perché è stato, insieme alla sua colonna sonora, più impegnato nel cementare una determinata estetica e filosofia di pensiero che nel tempo si è poi radicata nel modo di vestirsi di una grossa fetta uomini e donne del mondo occidentale. L’appartenenza a una sottocultura è una delle forze trainanti di molte sistematiche e settoriali divisioni del mondo della moda. Di per sé molto edgy ed esclusiva, soprattutto nell’accezione negativa del termine, la moda si insedia nei comportamenti e il modo di vivere delle persone soprattutto quando le stesse fanno parte di una sottocultura. Che sia quella metal, oppure quella dei simil punk che popolano le province di tutto il mondo, o ancora quella goth o emo, ogni sottocultura ha delle reference da cui prende ispirazione. Nell’epoca post MTV, la maggior parte di queste influenze arrivano dal mondo della musica, ma anche da quella del cinema e della televisione. In generale, l’industria culturale, è da sempre fautore di tendenze e gusto estetico, e per quanto potesse sembrare prematuro all’epoca, i videogiochi hanno cominciato a dettare i canoni estetici delle sottoculture nel momento in cui la grafica è diventata più realistica che agli albori del medium.

Oggi non solo viviamo in un mondo in cui non solo l'estetica dei primi 2000 è tornata potente nelle donne e non è mai sparita negli uomini, ma anche in un mondo in cui tutte le tematiche predicate nella musica rap di quegli anni sono totalmente radicate nel modo di pensare delle persone e l'idea di successo in generale. Quelle stesse persone (parliamo di Pharrell Williams in qualità di direttore creativo di Louis Vuitton a livelli alti, come di Fat Joe e DJ Khalid, presenti con Lean Back dei Terror Squad in NFSU2, a livelli relativamente più bassi) sono in cima alla lista delle persone che contano, giusto sotto i più ricchi del mondo, che li assoldano per generare ancora più soldi. È di dominio pubblico il fatto che la musica rap nasce come evoluzione della musica dei neri nei campi, come sorta di ribellione alla schiavitù. Una tematica legato a un grosso e fortissimo senso di rivalsa, che in molto molto moderno viene esemplificata esternando ricchezza non solo nel linguaggio ma anche e soprattutto outfit, negli accessori e nello stile di vita. Volendo essere ancora più specifici tale rivalsa la rivalsa è stata esternata alla grande da 50 Cent, che si è da sempre appoggiato ai soldi, al sesso, all’alcool, ai vestiti, alle scarpe, alle collane, alle cinture e alle macchine per simboleggiare il suo successo in qualità di rapper nero sopravvissuto a una sparatoria che gli è quasi costata la vita, che di fatto è stata salvata da una moneta da 50 centesimi messa nel portafogli. In tempi più recenti e lontani dall’estetica Y2K, infine, c’è un altro esempio simile da fare, ovvero quello di Pop Smoke, che era veramente un gangster che andava nelle pompe di benzina a Los Angeles a testimoniare la sua supremazia newyorkese a suon di risse e colpi d'arma da fuoco.

Volendo discostarci un attimo dall’Y2K ci sono tanti esempi, discorsi, teorie o semplicemente tanta, sconfinata bellezza e, in definitiva, tante domande a cui rispondere. Facciamo qualche esempio prima di salutarci. Lo sapevate che Diablo IV è apparso in passerella a Milano con Han Kjøbenhaven? La casa di moda danese ha svelato una collaborazione esclusiva con Blizzard Entertainmentin occasione della presentazione della collezione Autunno/Inverno 2023. Denominata “Chthonic Penumbra”, la collezione “nasce da una visione artistica che scaturisce dagli angoli oscuri di Diablo IV”. I design includono elementi fatti a mano in pelliccia sintetica, pelle vegana, piume e tonalità grigio-nere, con accenti più morbidi in bianco, madreperla e cromo. Il tutto è stato presentato su una passerella molto drammatica, che, stando al comunicato stampa voleva “evocare immagini dell’inferno come luogo di bellezza”. Molti dei design e dei modelli erano ispirati ai motivi del mondo di gioco di Diablo IV, Sanctuary, e il tutto era accompagnato da suoni distopici, tessuti tendenzialmente molto luminosi e con accenti rosso sangue.

Chi di voi invece ricorda la collaborazione tra Capcom e Diesel per Devil May Cry 2? La casa di moda italiana e la software house giapponese diedero il via a un concreto e lungo interesse verso la sfera fashion da parte di Capcom, innanzitutto vestendo Dante con la sua iconica giacca di pelle rossa ricreata dai maestri del jeans e della pelle veneta, e poi con diverse collab ricreate nella vita reale: i biker con pelliccia di Leon in Resident Evil 4 oppure la più accessibile collezione di t-shirt per il 40esimo anniversario dello studio made by Uniqlo. Quest’ultimo esempio, molto più vicino e accettato dalla cultura nerd, ricopre diversi franchise Capcom: da Ghost ’n Goblins a Monster Hunter, passando per gli stessi Devil May Cry e Resident Evil, senza tralasciare l’intramontabile Street Fighter.

Si potrebbe parlare all’infinito di quanto è stato importante e seminale Final Fantasy 7 per la definizione dell’estetica cyberpunk, ma sarebbe riduttivo e per certi versi offensivo liquidare il tutto in poche righe. Restando però nell’orbita della fu Squaresoft, potremmo farci una domanda e darci una risposta riguardo il perché Sora di Kingdom Hearts indossa delle scarpe da clown. Bene, dovremmo cominciare a dire che nel mondo circense, e di conseguenza anche giullare, le acrobazie e i movimenti propri dello sforzo profuso finalizzato a far divertire lo spettatore devono per forza di cose essere supportati da una tipologia di calzatura molto comoda e ampia. Da qui nasce la necessità e l’utilità delle scarpe goffe, forse più di quelle lunghe di Pippo,  tipiche dei pagliacci, ovvero dal bisogno dell’esecutore dei movimenti di poter appoggiare per bene ii piedi a terra e avere una certa stabilità una volta posata la pianta del piede. La stessa stabilità che permetterà poi di poter eseguire slanci in avanti, capriole e chi più ne ha più ne metta. Questo ci racconta molto del protagonista della saga Disney, ma giustifica tantissimo anche la sua estetica generale, nonché il tenore delle sue avventure. 

Come avete potuto notare, cari amici di FinalRound, i punti di contatto tra moda e videogiochi sono molteplici, all’ordine del giorno e pulsanti, vivi tra di noi. E gli esempi cardine che sono stati riportati qui riguardano quasi solo ed esclusivamente una casa di moda. Una delle più importanti e attive in tal senso, sì, ma non certamente l’unica. Potremmo continuare all’infinito e spero che avremo la possibilità, con tanto di interesse da parte vostra, di farlo prossimamente ad esempio andando a sviscerare come si vestono gli sviluppatori e i professionisti del settore dei videogiochi.  In particolare andando ad analizzare, volendo, quali brand giapponesi veste Hideo Kojima e come lo stesso li propaga all’interno dei suoi videogiochi. Vi ringrazio per l’attenzione. Ci leggiamo presto. * Si inchina *.

Pubblicato il: 11/09/2024

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3 commenti

Da persona che segue leggermente la moda, con curiosità più che reale volontà di possedere gli oggetti mostrati, questo articolo l’ho trovato molto interessante ed atipico. Ripercorrendo anche un po’ una memory lane con la storica collaborazio …Altro... Da persona che segue leggermente la moda, con curiosità più che reale volontà di possedere gli oggetti mostrati, questo articolo l’ho trovato molto interessante ed atipico. Ripercorrendo anche un po’ una memory lane con la storica collaborazione diesel x dmc2. Complimenti

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