IL PASSATO DISFUNZIONALE
DELLA LOCALIZZAZIONE VIDEOLUDICA
Quando una persona, in questo caso una giovincella di 33 anni come me, esclama “ai miei tempi non era così” allora vuol dire che qualcosa è notevolmente cambiato. In questi ultimi trent’anni di cultura pop, più nello specifico quella videoludica, la cultura e la tecnologia si sono evolute rapidamente. Forse per deformazione professionale, il cambiamento più significativo l’ho notato nella localizzazione videoludica.
Per evitare elitarismi inutili, è necessario fare una precisazione per i non addetti ai lavori: che cos’è la localizzazione? Nell’ambito della traduzione, la localizzazione è un processo di adattamento culturale e linguistico di un determinato prodotto. Il suo scopo è quello di rendere un testo, in questo caso un prodotto videoludico, comprensibile ai parlanti di una determinata nazione. Se si parla di videogiochi è necessario parlare anche di doppiaggio italiano, che negli ultimi anni si è notevolmente evoluto. I doppiaggi di titoli come Detroit Become Human, Cyberpunk 2077 o The Last of Us non hanno nulla da invidiare ai prodotti cinematografici e televisivi, ambiti in cui il doppiaggio e l’adattamento italiano sono più che rodati. Questa massiccia ondata di giochi ben interpretati hanno anche il merito di aver spinto tante persone a intraprendere la carriera del doppiatore e del traduttore, specializzandosi proprio nell’ambito dei videogiochi.Insomma, questo è forse uno dei periodi migliori per il mondo videoludico, non solo per quanto riguarda le vendite ma anche per la massima cura dei dettagli impiegata in ogni ambito (con le dovute eccezioni).
Ma ai miei tempi non era così.
Il percorso che ci ha portato a una qualità così elevata è stato lungo e pieno di insidie. Fortunatamente (?), alcuni di voi non hanno vissuto il periodo in cui la voce robotica di Roy Campbell accompagnava le nostre passeggiate a Shadow Moses, o quando una doppiatrice dall’inflessione romagnola pronunciava un “Chi tchi protezzerà dalle forsze del maaale?” in un celebre horror. All’epoca la localizzazione italiana dei videogiochi era un vero e proprio lusso, perché si trattava di un investimento abbastanza oneroso e dai risultati tutt’altro che certi.
Possiamo collocare la nascita della localizzazione videoludica intorno agli anni 70’. Alcuni, per comodità, dividono la sua evoluzione in cinque fasi:
Negli anni ‘70, i giapponesi volevano conquistare il mercato americano e, per raggiungere questo scopo, tradurre i testi in inglese era fondamentale. Sempre in questo periodo, avevano cominciato a debuttare sul mercato le avventure testuali, ma le traduzioni venivano spesso effettuate dagli sviluppatori stessi con risultati disastrosi. È necessario tenere a mente una cosa: quando si traduce un videogioco non ci si limita solo ai testi presenti in game, ma si localizza tutto ciò che riguarda il lato marketing, il packaging, i libretti (sniff, le care letture da Trono di Ceramica…) e il titolo stesso. A tal proposito, c’è un aneddoto significativo riguardo Pac-Man: il gioco si chiamava Puck-Man (Pakkuman in giapponese), che richiama la parola giapponese pakupaku che significa “aprire e chiudere la bocca”, ma questo nome venne cambiato proprio nel momento in cui doveva essere commercializzato negli Stati Uniti. Il nome Puck-Man poteva essere facilmente storpiato in Fuck-Man, il che avrebbe creato qualche problema (però dai, questa fa ridere).
Se in passato la trama di un gioco si riduceva a un “salva la principessa” o “completa il quadro” (sì, il quadro, ora sentitevi vecchi), negli anni l’intreccio narrativo è diventato sempre più complesso. Una storia più articolata poteva richiedere più linee di dialogo, quindi più testo da tradurre. I mezzi erano ancora molto limitati e spesso si commettevano degli errori grossolani, alcuni dei quali hanno superato la prova del tempo diventando dei meme. È il caso di Zero Wing, shooter a scorrimento uscito negli States nel 1991, diventato un cult non per il suo gameplay o la sua storia ma per un errore di traduzione dal giapponese all’inglese. La frase All your base are belong to us è un meme mai del tutto morto. Ma anche lo storico titolo Final Fantasy VII (1997) aveva delle traduzioni piuttosto discutibili, come “This guy are sick”, facendo imparare a noi poveri sbarbatelli un inglese tutt’altro che corretto.
In Italia si comincerà a tradurre solo dopo qualche anno. Uno dei primi tentativi consisteva nella traduzione del packaging di un giochino misconosciuto: Super Mario Bros. Venne localizzato in diverse lingue, tra cui l’italiano, ma i testi presenti all’interno del gioco erano fruibili solo in inglese. Possiamo dire con una certa sicurezza che Nintendo è stata la prima azienda a comprendere le potenzialità della localizzazione in altre lingue.
Insomma, anche in questo caso il Bel Paese si dimostra essere l’ultimo della classe e la mancanza di una localizzazione italiana poteva incentivare un altro orrendo fenomeno: la pirateria.Infatti, uno dei motivi per cui i videogiocatori andavano a caccia delle copie pirata dei giochi era appunto la presenza di una traduzione italiana non ufficiale spesso approssimativa e poco curata. Ad oggi le cose sono decisamente cambiate, ma prima non era difficile imbattersi in testi totalmente stravolti da una traduzione amatoriale.
Passando dalle cartucce ai CD-ROM, e successivamente ai DVD-ROM, è nata la possibilità di aggiungere un sonoro molto più complesso e di arricchire sempre di più i titoli nel corso del tempo. Il doppiaggio, quindi, inizia a diventare un elemento fondamentale. Inevitabilmente, i costi aumentarono e non tutti i titoli potevano essere tradotti e doppiati soprattutto in Italia, in un periodo in cui le vendite non erano così alte come oggi. Si credeva molto poco in questo media e spesso si andava a risparmio. Ed è proprio in questo momento storico che viene realizzato uno dei doppiaggi più iconici e più imbarazzanti della storia dei videogiochi, ovvero quello di Metal Gear Solid (1998), effettuato presso gli Abby Road Studios di Londra, lo stesso luogo in cui quattro ragazzotti di Liverpool hanno registrato le loro canzoni.La traduzione venne affidata a Emanuele Scichilone, di Synthesis International, che però non si occupò del doppiaggio.
Tutto sommato si tratta di un buon lavoro, costellato da qualche errorino forse causato dalla mancanza di contesto durante il processo di traduzione, perché sì, ancora oggi noi traduttori di videogiochi spesso non vediamo cosa succede nel gioco e traduciamo “alla cieca”. Ricordiamo tutti la famosa frase di Naomi “È lei che ti protegge dall’ipoderma” (riferendosi alla tuta di Snake) anziché “dall’ipotermia”, o quel “Look out!” di Otacon tradotto in “Guarda fuori!” poco prima dello scontro con i soldati in mimetica ottica.
Il cast vocale di questo titolo è stato spesso riciclato in tante altre occasioni, come nel caso di Spyro, ma la voce metallica di Alessandro Ricci è indissolubilmente legata a Solid Snake. In un’intervista il doppiatore del nostro eroe ha rivelato che alcuni degli attori, lui compreso, non erano professionisti (“son presi dalla strada.” cit.) e registravano le loro battute senza alcun riferimento visivo o di trama, cosa che non è del tutto cambiata. Avere un direttore di doppiaggio era “un lusso” e quando c’era spesso non era italiano, come nel caso di Metal Gear Solid la cui direzione è stata affidata a Olivier Deslandes, voce di Gray Fox nel doppiaggio francese di MGS. Le condizioni lavorative non erano delle migliori, infatti i giochi venivano doppiati uno dopo l’altro, come in una sorta di catena di montaggio, e la direzione era piuttosto sghemba. Inoltre, ci sono stati diversi casi in cui gli attori ingaggiati non erano evidentemente italiani e si limitavano a leggere le battute con un accento improbabile, come nel caso di Time Crisis: Project Titan (2001), spin-off della saga di shoot 'em up Time Crisis (vi invito a recuperare l’intro su YouTube).
Ma Metal Gear Solid non è stato il primo titolo doppiato in italiano. È necessario citare anche Sam & Max Hit the Road (1993) e l’avventura in FMV Gabriel Knight 2 - The Beast Within (1995), in cui troviamo un giovanissimo Claudio Moneta. I giochi in Full Motion Video possono essere definiti come uno dei primi tentativi di dare un taglio più “cinematografico” ai titoli videoludici, quindi in originale hanno cercato di puntare sull’interpretazione degli attori. Ad esempio, nel primo capitolo era possibile ascoltare la voce del grande Tim Curry. Nella versione italiana di Gabriel Knight 2, hanno cercato di restituire lo stesso effetto seppur con risultati meno gradevoli rispetto a quelli dei giorni nostri. Anche questo titolo venne tradotto dal team Synthesis e la direzione del doppiaggio venne affidata a Luigi Rosa, che ha anche dato la voce al protagonista.
Dal 2001 in poi si cominciò a credere di più in questi misteriosi videogiochi che succhiavano la vita dei millennial in fasce. Con l’arrivo di PlayStation 2 lo stampo cinematografico dei videogiochi era ormai evidente. Ci si stava avvicinando all’Età dell’Oro dell’era videoludica e più le vendite aumentavano in un paese specifico, più era possibile avere il gioco in una determinata lingua. Infatti, si sceglie di localizzare un titolo in base alla richiesta da parte dei videogiocatori (ecco perché dovete smetterla di piratare, maledetti corsari).
Oggi sia gli studi romani che quelli milanesi, storicamente rivali nell’ambito del doppiaggio audiovisivo, ci regalano lavori che non hanno nulla da invidiare ai doppiaggi televisivi o cinematografici. Un esempio fra tutti è proprio Death Stranding (tanto per tornare da zio Hideo Kojima), la cui localizzazione è stata realizzata da Local Transit a Roma e può vantare un cast vocale di tutto rispetto, con attori del calibro di Andrea Lavagnino, Domitilla D’Amico e Valentina Favazza. Nella zona del milanese, invece, è necessario segnalare la localizzazione dei due capitoli di The Last of Us, presso Binari Sonori (ora parte di Keywords Studios). Fra le voci ci sono quelle di Lorenzo Scattorin nei panni di Joel e Gea Riva che interpreta magistralmente la nostra Ellie.
Oggi la qualità e la cura impiegata nel processo di traduzione è notevolmente aumentata. Non si lascia nulla al caso e si cerca sempre di restituire al massimo le emozioni di ogni videogioco.
È vero, le cose andavano decisamente peggio ai miei tempi, ma, nonostante ciò, in occasione dell’uscita della Master Collection vol. 1 di Metal Gear, ho deciso comunque di rigiocare il primo capitolo in lingua italiana, con quel doppiaggio tutt’altro che perfetto, sia per immergermi nella polverosa nostalgia, sia per constatare i passi da gigante che sono stati fatti dal 1998 fino ad oggi nell’ambito della localizzazione.
Pubblicato il: 24/09/2024
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