PEPSIMAN
IL SUPEREROE DISTOPICO
Quello degli endless runner è stato un fenomeno travolgente del mobile gaming dei primi anni ‘10. Fu il periodo di massimo splendore degli store digitali di Apple e Android, un territorio inesplorato in cui sono confluiti centinaia di videogiochi in miniatura che tentavano di interpretare in maniera del tutto nuova un mercato che fino a quel momento aveva faticato a trovare una sua identità. Canabalt, Temple Run, Agent Dash e Subway Surfers hanno popolato gli smartphone di praticamente chiunque in quel periodo, per poi venire rimasticati come appendici dei reel di Instagram utili a riempire le porzioni vuote dello schermo sotto ai video dei tanti Andrew Tate-wannabe che infestano i social network dove tentano di convincere quelli come me che oggi non si può più dire niente o che cercano di vendermi corsi accelerati per sviluppare un mindset adatto a permettermi di vivere come uno shark della finanza e trasformarmi in un grande imprenditore della domenica con una mission chiara in mente.
A pensarci bene già solo questo meriterebbe un approfondimento dedicato, ma questa è Criptidi, è la rubrica di FinalRound dedicata ai videogiochi dimenticati che meritano una seconda occasione o anche solo un briciolo di attenzione per evitare che scompaiano dalla memoria collettiva, e in questa occasione voglio parlare d’altro.
Ricordo perfettamente del giorno in cui ho visto per la prima volta Temple Run in azione sullo smartphone di un amico: l’esposizione all’immagine del suo protagonista che corre all’infinito verso l’orizzonte inseguito da un esercito di scimmie imbestialite risvegliò in me il ricordo sopito di un vecchissimo videogioco che ha infestato la mia PlayStation tanti anni prima. Era un titolo molto simile, che mostrava il suo scintillante supereroe protagonista correre come un disperato in mezzo alla strada raccogliendo delle strane lattine mentre evitava i pericoli posti dalla disastrosa urbanistica degli Stati Uniti.
Quel supereroe era Pepsiman e il suo compito era quello di salvare chiunque invocasse il suo intervento per non soccombere alla sete.
Non so come sia stato possibile che una copia masterizzata di Pepsiman sia finita in casa mia sul finire degli anni ‘90: Pepsiman è il videogioco ufficiale di una mascotte creata dalla divisione giapponese di Pepsi per assecondare quella tendenza tutta nipponica a voler creare mascotte per qualsiasi cosa. Coca Cola si legó (incredibilmente) alla figura di babbo natale, Pepsi Japan decise di volersi spingere oltre, più precisamente nel territorio dei super sentai, creando un inquietante personaggio senza volto avvolto da una tutina aderente cromata e scintillante. Una follia che si trasformò presto in videogioco per volere dell’azienda, che affidò lo sviluppo dello stesso a KID, un piccolo studio indipendente che sviluppò in fretta e furia un action-game dedicato alle pazze avventure della mascotte. Non era la prima volta che Pepsiman faceva la sua apparizione in un videogioco: venne infatti inserito come personaggio sbloccabile nel roster dei combattenti della versione giapponese di Fighting Vipers per Sega Saturn (per sbloccarlo bisognava necessariamente perdere il primo incontro subendo un perfect!). Non solo: nel 1997 Sigma Enterprises creò un videogioco arcade dedicato alla mascotte di Pepsi; un cabinato esclusivamente giapponese in cui era possibile sostanzialmente giocare alla morra cinese con l’inquietante figuro argentato.
Pepsiman però è il primo (e unico) videogioco interamente incentrato sulla mascotte. Venne sviluppato, come già detto, da Kindle Imagine Develop, piccolissima azienda specializzata nello sviluppo di visual novel e avventure testuali oggi purtroppo fallita, ed è un videogioco abbastanza unico nel suo genere. Non parlo della componente ludica, che è estremamente semplice e decisamente sbilenca, ma della sua natura di videogioco pubblicitario. Sì, perché verso la fine degli anni ‘90 si generò una piccola ondata di videogiochi dedicati interamente alle mascotte di fast food, bevande e merendine, con titoli del calibro di Donald Land e McDonald’s Treasure Land incentrati sulle mascotte di McDonald’s; Cool Spot, un platform con protagonista una versione antropomorfa del logo di 7Up; e addirittura Hooters Road Trip, che altro non è se non un racing game che sfrutta la licenza di Hooters, bavosa catena di ristoranti americani famosa per le sue cameriere maggiorate e poco vestite.
Pepsiman è… diverso
Le origini televisive della mascotte giocarono infatti un ruolo fondamentale nella caratterizzazione del gioco di KID, dal momento che Pepsiman apparve in circa una quindicina di spot pubblicitari per la televisione giapponese prima di trasformarsi nel protagonista del suo omonimo videogioco, e queste sue apparizioni delinearono scenari e tono generale dell’opera pubblicata su PlayStation.
In origine, infatti, il bibitaro scintillante fece capolino in alcune pubblicità che ritraevano gruppi di adolescenti americani, spesso bisognosi di scolarsi una bella lattina di Pepsi per placare la loro sete: Pepsiman correva in loro aiuto, mostrandosi inizialmente in maniera decisamente cool per poi rovinare a terra procurandosi dolorosi infortuni.
Slapstick comedy delle più classiche, però ambientata in un contesto tipicamente statunitense nonostante fosse indirizzata ad un pubblico esclusivamente giapponese. La mia preferita, peraltro, è quella in cui Pepsiman viene inseguito da un camion della rivale Coca-Cola guidato da un autista squilibrato che lo vuole investire per porre fine alla sua vita; un vero e proprio affronto alla cola più famosa del mondo reso possibile dal fatto che in Giappone e negli Stati Uniti era (ed è tutt’ora) perfettamente legale produrre pubblicità comparative.
Pepsiman ereditò sia i suoi tratti più comici sia la sua estetica stereotipicamente americana. La prima particolarità che salta all’occhio di chi si approccia al gioco di KID, infatti, è proprio la presenza massiccia di Full Motion Video live action in cui appare un "ragazzo" americano intento a commentare ciò che succede a schermo mentre mangia quintali di patatine e si scola decine e decine di lattine di Pepsi urlando di quando in quando gli slogan dell’azienda. L’attore in questione, per i più curiosi, è Mike Butters, che è apparso in più capitoli della saga di Saw - L’Enigmista. Butters ha raccontato di essere stato sul set per un giorno intero per registrare la sua parte, per poi essere pagato con qualche cassa di lattine di Pepsi. Gli anni ‘90 erano un periodo meraviglioso.
"The producers were looking for a “Hank Hill Type” from the cartoon King of the Hill. That was the only information I received prior to auditioning."
Al di lá di questo, però, Pepsiman si distingue dagli altri advergame dell’epoca per un dettaglio ben preciso: tutti gli altri si impegnarono a creare mondi fantasy in cui inserire le proprie mascotte, mentre KID fece la scelta opposta, ambientando Pepsiman in un contesto urbano in cui il protagonista si trovava ad avere a che fare con i pericoli delle città americane. Si parte dal più classico dei sobborghi e si attraversa un mondo che diventa via via sempre più distopico. È strano, soprattutto per un advergame di questo tipo, che i suoi scenari diventino sempre più devastati: il secondo stage mostra una metropoli in rovina devastata dagli incendi le cui strade sono letteralmente invase di persone disperate riverse a terra mentre agitano cartelloni su cui campeggia la scritta GIVE ME PEPSI, mentre il quarto ed ultimo stage si ambienta in un vero e proprio incubo architettonico in cui ogni strada, ogni negozio e ogni superficie sono tappezzati di pubblicità e loghi della bibita. Quasi come se KID volesse in qualche modo esorcizzare la natura stessa di advergame di Pepsiman raccontando un futuro inquietante in cui le grandi corporation hanno preso il controllo delle città riducendo i loro abitanti a gusci vuoti dipendenti dai loro prodotti. L’ultimo stage, peraltro, è costellato di persone riverse a terra e prive di forze, quasi come se fossero parte di un vero e proprio esercito di tossicodipendenti in astinenza da Pepsi.
Pepsiman è un videogioco tremendo, difficilissimo e senza pretese, eppure qualcosa da dire (che sia stato fatto apposta o meno) ce l’ha.
Sembra quasi che KID stesse cercando di metterci in guardia, di raccontare la distopia di un futuro in cui il marketing avrebbe preso il sopravvento sulla vita stessa. È chiaro che il tono sia evidentemente scherzoso, in perfetta sintonia con gli spot televisivi dedicati a pepsiman, ma è difficile non notare la morbosità di certe scelte estetiche. Dai palazzi in fiamme alle strade invase di macerie e spazzatura fino ad arrivare all’incubo corporativo di Pepsi City e del suo computer centrale, Pepsiman è un affresco inquietante delle città del futuro in cui i protagonisti sono i prodotti e non i loro compratori, declassati a massa di zombie dipendenti dalle bibite gassate. È assurdo anche che Pepsi Japan non si sia opposta alla pubblicazione di un prodotto del genere, sia per la sua evidente pochezza ludica sia per l’immagine che fornisce dell’azienda stessa. Come se non bastasse, peraltro, ad inframmezzare i pochi livelli del gioco ci sono le innumerevoli clip di Mike Butters che ad ogni iterazione si trasforma sempre di più nell’ombra di sé stesso, rendendosi ridicolo mentre ingurgita ettolitri di Pepsi e una quantità incalcolabile di snack salati. Pepsi-Drinking Man (così viene indicato nei credits) è lo stereotipo degli stereotipi americani: un ragazzo sovrappeso con braghette corte e capellino che, rintanato nella taverna di sua madre vive sommerso da lattine vuote. Nel suo frigo non c’è cibo ma solamente un assortimento incredibile di bottiglie e lattine di ogni varietà possibile di Pepsi, ogni volta che apre bocca ripete a pappagallo slogan dell’azienda come “Pepsi for pizza”e “Pepsi for TV Game” e alla fine si ritrova intrappolato da una montagna di lattine accartocciate attorno alla sua poltrona.
Pepsi-Drinking Man è la controparte in carne ed ossa di quei disperati che affollano le strade virtuali di Pepsi City: un guscio vuoto utile solamente a consumare i prodotti della sua azienda preferita. È chiaro che non fosse inteso in questo modo, ma se lo si guarda dalla giusta angolazione Pepsiman è una delle esperienze horror più incredibili dell’epoca PS1, una sorta di controparte videoludica di Essi Vivono! in cui non servono occhiali speciali per svelare l’orrore del mondo: è tutto lì in bella vista nella sua splendida e spaventosa frivolezza. Dopotutto anche la copertina del gioco è estremamente chiara nelle sue intenzioni: non c’è nessun logo ad impreziosire il jewel box, ma solo il mezzo busto del protagonista alle cui spalle campeggia la scritta DRINK!. Imperativo categorico.
Oggi gli advergame non esistono più, almeno non nella forma in cui esistevano negli anni ‘90. Forse il merito è anche degli incubi urbani di Pepsi City e del messaggio lanciato da KID. È un bene, perché la loro pervasività – almeno per quanto riguarda la mia generazione – è indiscutibile, e il potere che esercitano è impressionante. Non è un caso che prima di scrivere questo articolo sia andato al minimarket sotto casa per comprare una lattina di Pepsi Twist al limone, no?!
Quindi sì, forse Pepsiman è stato davvero il supereroe di cui avevamo bisogno. Solo che anzichè combattere i mostri ha scacciato un nemico molto più pericoloso: il marketing impazzito.
Pubblicato il: 03/10/2024
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