XENOGEARS

L'INSOSTENIBILE PESO DELLE AMBIZIONI

Quella che sto per raccontarvi è una storia di ambizione, di aspirazioni incredibili che termina con un fallimento purtroppo fragoroso, ma è anche il racconto del sogno di alcuni tra i creativi più sottovalutati della storia del videogioco. Perché sì, le opere d’arte o d’ingegno possono essere ambiziose, possono aspirare a distruggere un concetto o delle convenzioni universalmente accettate per cambiare per sempre il modo in cui il pubblico si relaziona al medium a cui fanno riferimento. Di esempi di successo ne esistono tantissimi, da Metal Gear Solid che trasforma per sempre il modo in cui ci rapportiamo alla narrativa della guerra nei videogiochi a Portal che ha cambiato per sempre il volto dei puzzle game, passando per quello che Shenmue e GTA hanno fatto al modo in cui concepiamo l’open world e addirittura a quello che un trailer interattivo come P.T. ha significato per l’horror moderno. Se siete qui sulle pagine virtuali di Criptidi, però, sapete che la storia di questo medium è lastricata di fallimenti fragorosi, e quella di oggi è una puntata dedicata ad uno di quei fallimenti. Forse il più illustre di sempre, se chiedete a me.

Oggi sono qui per raccontarvi Xenogears.

L’anno è il 1995, e il nostro protagonista si chiama Tetsuya Takahashi ed è un graphic designer sotto contratto con Squaresoft. È nel settore da circa una decina d’anni, e sul suo curriculum risplendono i suoi contributi a videogiochi leggendari come Final Fantasy VI, Front Mission e Chrono Trigger. Non è, insomma, uno scappato di casa qualunque. Dopo la sua esperienza nei ranghi del dream team che aveva dato i natali a Chrono Trigger, però, Takahashi vuole provare a fare il grande salto e diventare director: ha l’esperienza necessaria e uno storico invidiabile, ma soprattutto lui e Soraya Saga (che poco dopo sarebbe diventata sua moglie) hanno un’idea. Quando ne parla coi suoi capi gli viene data piú o meno carta bianca e, soprattutto, gli viene detto che la sua proposta è piaciuta così tanto che l’azienda ha deciso di trasformarla nell’ossatura di Final Fantasy VII. Immaginate per un secondo cosa può voler dire essere alla prima esperienza come director e scenario writer e ritrovarsi al timone del primo Final Fantasy pubblicato su PlayStation. Il primo senza la direzione di Hironobu Sakaguchi, peraltro. Immaginate la pressione e l’ansia derivanti da una responsabilità del genere, a me tremano i polsi solo a pensarci. E invece no, Tetsuya Takahashi e Soraya Saga non si fanno intimidire e si mettono al lavoro assieme a Masato Kato per stendere una proposta di sceneggiatura da presentare ai loro capi che, una volta ricevuto lo scritto, lo rifiutano. È bello, bellissimo, ma è troppo… maturo. È uno script molto complesso, pieno di fantascienza estrema, di riferimenti culturali altissimi e troppo poco fantasy per inserirsi nel canone creato da Sakaguchi. Però è bello, bellissimo, e in Square si decide molto in fretta di farlo diventare un nuovo titolo che ci si augura possa iniziare un nuovo franchise in futuro. A quel punto Takahashi si ritrova alla guida del team responsabile della creazione di “Chrono 2”, un sequel ufficiale di Chrono Trigger in lavorazione da Square, ma lavorare all’interno di un universo narrativo già esistente gli sta stretto e decide di andare in un’altra direzione con il supporto di Saga e delle sue idee.

Nonostante molte delle idee inizialmente presentate da Takahashi e Saga siano poi effettivamente confluite nel Final Fantasy VII che tutti conosciamo, l’invito a creare qualcosa di nuovo è la scintilla che porta alla nascita di Xenogears, quello che non temo in alcun modo di definire il videogioco più ambizioso della storia del medium di quegli anni. Un’opera che mescola la fascinazione di Takahashi per gli scritti di Arthur C. Clarke, Sigmund Freud, Jacques Lacan e Carl Jung ai precetti dello gnosticismo e che è passata alla storia più per le sue mancanze che per i suoi traguardi.

Questa è Criptidi, l’antro di Final Round dedicato a tutti quei videogiochi oscuri e ingiustamente dimenticati che meritano una seconda opportunità.

Prima di approfondire il discorso è però bene che vi offra un po’ di contesto. Xenogears viene pubblicato su PlayStation tra il 1998 e il 1999 solamente in Giappone e negli Stati Uniti. Si tratta di un progetto colossale che ha avuto una gestazione più lunga della media di quel periodo. C’è, però, un fattore importantissimo che ha contribuito enormemente al (relativo) fallimento commerciale del gioco: Xenogears è arrivato tardi. Sì, perché il primo marzo 1999 Sony ha presentato alla stampa quella PlayStation 2 di cui si chiacchierava sommessamente già da tempo, e il pubblico ha smesso di “investire” sulla prima console dell’azienda per spostare la propria attenzione sul futuro, al punto che PS2 vendette quasi un milione di unità nella sua prima settimana di vita. Xenogears è arrivato troppo tardi sul mercato per poter macinare vendite a sufficienza, inoltre alcuni problemi durante lo sviluppo hanno fatto sì che il secondo e ultimo disco di gioco contenesse al suo interno poco gameplay e tantissimo testo (ne riparliamo), e questo ne ha minato la reputazione a lungo.

In più, in un mondo in cui la grafica 3D di Final Fantasy VII e VIII hanno dimostrato al pubblico le enormi potenzialità della grafica poligonale, Xenogears adotta un approccio inverso a quello della serie di punta di Square. Se infatti Final Fantasy ha aperto la strada ai JRPG con i personaggi 3D su sfondi 2D prerenderizzati, Takahashi fa il percorso inverso e decide di creare degli ambienti interamente tridimensionali su cui far muovere gli sprite dei personaggi. Le sue animazioni fenomenali non bastano a dissuadere il pubblico dall’idea che Xenogears sia un prodotto “minore” e per questo meno meritevole d’attenzione.

"I came up with an idea about a deserted A.I. with feminine personality who becomes an origin of new mankind in the unexplored planet. Takahashi refined the idea into more deeper and mystic love story."
- Soraya Saga (Fringe FAQ, Mars 05, 2005)

Che Xenogears non sia un JRPG come gli altri lo si capisce immediatamente. Il gioco si apre con una lunga cinematica anime che racconta di una gigantesca nave spaziale che viene devastata dal risveglio di qualcosa che sta trasportando a bordo. Vediamo i passeggeri correre verso le capsule di salvataggio che vengono impietosamente polverizzate all’ istante e la disperazione negli occhi del capitano che guarda ad una foto della sua famiglia negli istanti antecedenti la sua morte mentre la nave va a fuoco e si prepara a precipitare. L’unica a salvarsi è una misteriosa donna dai capelli viola. Per darvi l’idea di quanto approfondito sia lo script di Saga e Takahashi vi basti sapere che Xenogears è canonicamente l’episodio 5 di una saga infinitamente più ampia, così stratificata che il team ha dovuto scrivere un intero libro – Xenogears Perfect Works – per fornire ai fan più accaniti almeno il contesto in cui si ambienta. Vi lascio un comodo link per la traduzione amatoriale in inglese che mi è stato utilissimo per scavare nella lore dell’opera.

Lo sfondo è quello di una lunga e logorante guerra tra imperi che ha messo in ginocchio la popolazione di Ignas, ma c’è di più: Il continente è disseminato di reperti archeologici che raccontano di un’antica popolazione iper-avanzata che sembra averne popolato a lungo le terre per poi scomparire nel nulla. A popolare questo scacchiere c’è, inoltre, un terzo impero che si è nascosto in cielo e che spadroneggia su ciò che succede sulla superficie del pianeta. È il regno dei solariani, tecnologicamente più avanzati dei “terrestri” e che per questo si considerano il popolo eletto a guida del mondo che osservano dall’alto. È un mondo complesso, stratificato e spesso anche complicato da districare dai suoi nodi narrativi, ma è soprattutto un mondo vivo. Sofferente e piegato sotto il giogo della guerra, ma vivo.

Ho aperto questo numero di Criptidi parlando di ambizione. Ecco, per capire al meglio quali fossero le ambizioni di Xenogears bisogna necessariamente guardare all’inizio del gioco. Dopo l’intro già discussa, Xenogears inizia come un JRPG estremamente… normale. Ci viene introdotto Fei Fong-Wong, il protagonista, che è un personaggio estremamente simile a tantissimi di quelli che hanno popolato i JRPG della sua epoca. Soffre di amnesia, è benvoluto da tutti e vive in un villaggio tranquillo che sembra disinteressato al conflitto che sta lacerando il continente. Questa sorta di paradiso fantasy idilliaco viene raccontato con cura, quasi a voler suggerire che potrà essere una sorta di posto sicuro in cui tornare nel corso dell’avventura per alleggerire il peso della storia del gioco. Poi, però, viene raso al suolo da Fei stesso, salito a bordo di un gigantesco robot da guerra dopo che il villaggio è stato invaso dall’impero di Kislev. Al contrario di tutti quei personaggi caratterizzati da un’aura di fanciullesca innocenza che fino a quel punto avevano popolato decine e decine di videogiochi simili, Fei è direttamente colpevole di tutte le tragedie che mettono in moto la storia.

Questo perché, molto semplicemente, Xenogears voleva distruggere i JRPG.

"Xenogears is basically a story about 'where do we come from, what are we, where are we going'. In that respect, we were inspired by those concepts a lot"
- Soraya Saga

Da qui si origina un intreccio narrativo che al suo interno tratta temi così adulti e profondi da aver spaventato la dirigenza di Squaresoft. Xenogears parla di guerra e di religione, raccontando quest’ultima negli stessi termini in cui Marx la definì “oppio dei popoli” e spingendosi fino a delineare una chiesa corrotta e malvagia che si macchia di peccati imperdonabili come la schiavitù e gli abusi sessuali nei confronti dei bambini. Parla di amore con una sensibilità sconosciuta alla stragrande maggioranza dei videogiochi dell’epoca (e non solo), di eugenetica, di schiavitù e di genocidio.

Soprattutto, però, si interroga sulla natura dell’uomo e sul suo ruolo nell’universo, ma anche del suo rapporto con Dio. Qui torna, più forte che mai, il discorso sull’ambizione di Saga e Takahashi: il modo in cui Xenogears racconta Dio è unico ed è stato adottato solamente da Shin Megami Tensei per certi versi. Dio esiste, sì, ma è malvagio. O meglio: quella che è stata costruita dall’umanità come un’arma di distruzione di massa interplanetaria prende coscienza di sé e diventa una divinità agli occhi degli umani, soprattutto di quelli che sono a conoscenza di essere i discendenti di una vera e propria diaspora intergalattica che li ha fatti nascere sulle terre di Ignas. In questo scenario incredibilmente complesso si insinuano anche concetti filosofici derivanti da Nietsche, da Jung, dalla tradizione cristiana e dalla cabala ebraica, che vanno a stratificare una storia già di per sé molto profonda. Non mancano poi riferimenti più o meno espliciti ad opere più pop come Mobile Suit Gundam, G-Gundam, Star Wars e Neon Genesis Evangelion, a cui Takahashi deve moltissimo.

C’è un’intervista di Hironobu Sakaguchi in cui il padre di Final Fantasy racconta che Per lui Takahashi era una sorta di pupillo e che ha sofferto molto la sua mancanza quando è gli è stata data la possibilità di assemblare un suo team e di uscire da quello che stava lavorando a Final Fantasy VII, ma che quando ha visto la scrivania di Takahashi riempirsi di modellini di robottoni e armi futuristiche ha capito che quello era il suo mondo e che quello era l’unica opera a cui avrebbe voluto lavorare da quel momento in poi.

“I've been someone with low self-esteem ever since I was a child, so it might be that I want to play god, within the world that I create. There's also the desire to be in that world I create, and to try and create the entirety of a world, so to speak."
- Tetsuya Takahashi

È un videogioco fondamentalmente triste, quasi malinconico, che racconta un mondo alla deriva a causa della natura umana che è incapace di cambiare anche quando le viene offerta la possibilità di ripartire da zero. Ignas è diviso tra modernità e tradizione, è ostaggio di una classe dirigente che vede gli abitanti della superficie come agnelli sacrificali ed è nelle mani di un’organizzazione spietata che agisce all’ombra dei governi per raggiungere i propri scopi, arrivando addirittura a sfruttare un culto religioso per schiavizzare grandi masse di popolo tutte in una volta. È lo specchio del mondo che conosciamo tutti. A leggere le dichiarazioni di Takahashi diventa facile comprendere quanto di sé abbia riversato nella creazione non solo dei personaggi di Xenogears ma di tutto il suo mondo: è sempre stato schivo, tendente alla tristezza e disilluso.

La fantascienza di cui è sempre stato appassionato ha rappresentato per molti dei suoi autori preferiti (come Arthur C. Clarke) la speranza per un futuro migliore, mentre per lui è stata quasi una scusa per riflettere sulla realtà e per raccontare la sua percezione di ciò che siamo come specie. Come Mamoru Oshii ha creato L’Uovo dell’Angelo dopo aver perso la fede, Tetsuya Takahashi ha creato Xenogears per provare a rispondere alle proprie domande sul senso dell’esistenza. E, credetemi, è una cosa che giocando Xenogears si percepisce con forza e che mi ha ricordato da vicino quello che Evangelion ha rappresentato per Hideaki Anno.

"Humans want a reason for their existence. If someone defines it for you, you think, 'So this is why I feel the way I do.', and you're comforted by that. I wanted to deliver that philosophical message in a way that could be understood easily."
- Tetsuya Takahashi

La parola chiave è ancora una volta “ambizione”, che è anche il motivo per cui Xenogears ha sofferto uno sviluppo a dir poco travagliato. Pur di portare a compimento la sua opera Takahashi ha abbandonato il team di Final Fantasy VII e ne ha creato uno tutto suo sgomitando con i suoi capi in azienda. Essendo un team creato da zero, Square ha concesso a Takahashi di portarsi dietro colleghi illustri come Masato Kato e Yoshinori Ogura, che avevano lavorato con lui a Chrono Trigger e che, proprio in virtù del fatto che in origine Xenogears doveva essere un sequel di Chrono Trigger, vennero spostati sul progetto senza troppi problemi. Il fatto è che gran parte dello staff era composto da membri molto giovani, alcuni dei quali erano alla loro primissima esperienza, quindi Takahashi si è dovuto dividere tra la scrittura e la crescita professionale degli impiegati più giovani. Oltre a questo, peraltro, Takahashi e Saga hanno più volte ammesso di aver scritto gran parte del gioco durante le fasi dello sviluppo attivo, ingigantendo il progetto e facendolo ad un ritmo che non riusciva a conciliarsi con i lavori in corso. È per questo che ad un certo punto Takahashi chiede di poter dividere in due il gioco, raccontando così una porzione di storia più grande rispettando i tempi, ma questa possibilità gli venne negata perché all’epoca (e in realtà ancora oggi) l’idea di pubblicare un videogioco ad episodi era considerata un taboo.

Per creare Xenogears servivano una montagna di soldi, e quei soldi molto semplicemente non c’erano. O meglio: c’erano, ma erano destinati ai progetti principali di Squaresoft e non ad un primo capitolo di un franchise così complesso e rischioso. Parliamo, dopotutto, di un JRPG che incorporava al proprio interno due sistemi di combattimento differenti, uno (geniale ma migliorabile) di derivazione picchiaduristica per gli scontri fra esseri umani e uno differente plasmato sulla natura tecnologica dei robottoni pilotabili in game; di una storia enorme e complessa, scritta in itinere ed espansa costantemente; dell’inserimento di costosissime sezioni animate, fondamentali per la comprensione dell’opera in tutte le sue sfaccettature. Il sogno di Takahashi si incrina di fronte alle enormi difficoltà che incontra durante lo sviluppo e, soprattutto, di fronte alla mancanza di tempo e budget per portare a termine il progetto.

È in questo momento che viene presa una decisione sofferta ma fondamentale: non si poteva assolutamente fare a meno della porzione di gioco contenuta nel secondo disco, quindi andava per forza di cose trovato il modo di raccontarla. È così che il climax della storia viene rimodellato, trasformandolo in una`lunga raccolta di splendide cutscene e di lunghi wall of text che permettevano alla storia di progredire almeno in maniera testuale. Di gameplay ce n’è davvero poco, limitato alle sole (meravigliose) bossfight e a qualche dungeon esplorabile. Si tratta di una versione iper-condensata dei contenuti del gioco, quasi come se fosse il racconto di qualcuno che quella sezione l’ha giocata ed è chiamato a riassumerla per tutti quelli rimasti tagliati fuori dall’esperienza. Non è il massimo, perché la narrazione si concentra di fatto sui punti salienti senza lasciar spazio a momenti di raccordo utili a riflettere sugli avvenimenti (e, fidatevi, sono tanti) e a far sì che si possa interiorizzare con i giusti tempi ogni incastro narrativo senza impazzire. È complicato, perché la sensazione di tutti di fronte a quella porzione di gioco è che in condizioni normali si sarebbe trattato di una parte di gioco addirittura più lunga, densa e intensa di quella contenuta nel disco 1 (che dura circa una quarantina di ore).

Per anni questa è stata considerata la vera croce di Xenogears, ma permettemi per un istante di ergermi a voce fuori dal coro e di esprimere un’opinione controversa:

Il disco 2 di Xenogears non è davvero così male.

La prima metà dell’opera ha delle sezioni da antologia del JRPG, ma i ritmi da gioco di ruolo non sono stati gestiti sempre al meglio e qualche inciampo c’è ed è innegabile. Ci sono dei momenti di stanca che finiscono per diluire un po’ troppo il racconto e alcuni dungeon si trascinano un po’ troppo per le lunghe proprio nel momento in cui l’opera entra nel vivo della sua colossale scrittura, quindi quando ho rimesso mano a Xenogears mi sono ritrovato ad apprezzare forse più del dovuto quei wall of text inseriti a forza nel disco 2. Intendiamoci, Xenogears è un videogioco fenomenale nella sua costruzione e non esistono al suo interno dei momenti che possano essere considerati dei filler: ogni sua porzione ha un senso e, soprattutto, un motivo ben preciso per esistere, solo che quel motivo diventa chiaro solo addentrandosi nell’intreccio. È per questo che sono arrivato in fondo così affamato di conoscenza - volevo e dovevo sapere - da accettare il compromesso richiesto per arrivare ai titoli di coda.

La verità è che non c’era altro modo di poter assistere alla spirale paranoide di Sigurd, di svelare l’identità di Grahf e di scoprire la forma finale di Deus, e questo Tetsuya Takahashi lo sapeva. Sapeva che non aveva possibilità di vincere la sua corsa contro il tempo e contro il budget, quindi pur di chiudere la sua creazione più sofferta e preziosa avrebbe dovuto trovare un metodo non ortodosso per riuscire nell’impresa. Forse aveva capito che Xenogears non avrebbe avuto speranze di esistere al di fuori di quel singolo, maestoso capitolo. Forse aveva capito che la sua ambizione l’avrebbe schiacciato, e così fu.

Squaresoft gli garantì la possibilità di sviluppare un sequel con un budget più corposo nel caso in cui avesse venduto almeno un milione di copie, ma Xenogears si fermò a novecentomila. Ci sono poche cose di cui sono certo nella vita, e una di queste è che se all’epoca Xenogears avesse piazzato solamente centomila copie in più oggi i videogiochi sarebbero in qualche modo diversi. Certo, Takahashi e Soraya Saga hanno trovato il modo di rimanere in qualche modo legati al mondo che avevano sognato assieme, abbandonando Squaresoft per fondare Monolith Soft e accasandosi prima in Namco, per cui svilupparono la trilogia di Xenosaga, e poi in Nintendo, per cui hanno creato Xenoblade Chronicles. La verità, però, è che Xenosaga e Xenoblade non sono Xenogears, e anche se oggi Monolith è un’istituzione (a loro si devono in parte videogiochi fenomenali come Breath of the Wild, Tears of the Kingdom, la trilogia di Splatoon e Animal Crossing New Horizons) sono certo che nel cuore di entrambi viva ancora il sogno proibito di rendere giustizia a quelle che ad oggi sono rimaste solamente delle idee scritte su Xenogears Perfect Works. Bastavano solo centomila copie in più.

Quando ho cominciato a progettare Criptidi l’ho fatto con l’intenzione di concedere uno spiraglio di luce ad opere imperfette e dimenticate a cui ho sempre riconosciuto un certo tipo di valore. È una rubrica che mi ha dato enormi soddisfazioni finora e che spero di portare avanti a lungo perché da inguaribile romantico non riesco a non pensare di star facendo in qualche modo del bene nel mio piccolo a delle opere che avrebbero meritato di più. È per questo che Xenogears rappresenta, almeno per me, la criptide suprema: è imperfetto, ormai sconosciuto ai più e ingiustamente accantonato ai margini della memoria storica di un medium che spesso si affretta ad ingozzare il pubblico di remake e rimasterizzazioni sterili anziché preoccuparsi di preservare sé stesso, però è uno dei videogiochi più potenti, maturi e sconvolgenti che si possano esperire in tutta una vita. Anche a fronte degli enormi passi avanti fatti dall’industria in questi ventisette anni che ci separano dal giorno in cui è stato pubblicato.

Non esistono metodi legali per recuperare Xenogears, a meno che non siate sciroccati come me e abbiate voglia di mettervi alla ricerca di una costosissima copia originale americana per godervelo in inglese. La community negli anni gli ha dimostrato un affetto enorme, al punto che è stato tradotto in tantissime lingue, migliorato esteticamente, ed esiste addirittura un progetto che si sta dedicando alla creazione di una nuova traduzione inglese più fedele allo script originale giapponese. Questo perché negli anni si è trasformato in un oggetto di culto per tutti quelli che sono entrati in contatto con la sua storia e i suoi personaggi.  

Io vi auguro, prima o poi, di recuperarlo, perché sono certo che Fei, Elly, Citan e tutti i personaggi di Xenogears vi rimarranno nel cuore, così come sono sicuro che il suo mastodontico racconto possa cambiare per sempre il modo in cui vi rapportate coi videogiochi.

Pubblicato il: 07/02/2025

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10 commenti

Articolo superbo. Quanta nostalgia!

La copertina di Criptidi con il codice a barre e la data di uscita in alto a destra ha immediatamente innescato in me il desiderio irrefrenabile di una copia stampata di questo articolo, sia con copertina morbida che rigida. Grazie. Mi risparmio i co …Altro... La copertina di Criptidi con il codice a barre e la data di uscita in alto a destra ha immediatamente innescato in me il desiderio irrefrenabile di una copia stampata di questo articolo, sia con copertina morbida che rigida. Grazie. Mi risparmio i complimenti che tanto ci hanno già pensato gli altri.

DOMANDONA: meglio giocarlo in inglese o con la traduzione italiana dei SADnes?

Bellissimo articolo, mi ha fatto venire una fortissima voglia di recuperare il gioco :)

Xenogodo

Ci sono 2 giochi che nella mia vita hanno avuto un ruolo cruciale nella mia formazione come videogiocatore: uno è FF7 (pensa un po'), che è il gioco più importante della mia vita; l'altro è Xenogears, che è semplicemente il mio gioco preferito d …Altro... Ci sono 2 giochi che nella mia vita hanno avuto un ruolo cruciale nella mia formazione come videogiocatore: uno è FF7 (pensa un po'), che è il gioco più importante della mia vita; l'altro è Xenogears, che è semplicemente il mio gioco preferito di sempre. Porta a un altro livello il concetto di storia concepita come una serie di eventi che origina da un mistero ancestrale. A oggi sembra qualcosa di più frequente (e un topos che da allora è stato utilizzato diverse altre volte – primo fra tutti da Takahashi stesso negli Xenosaga e negli Xenoblade) , ma ai tempi fu una rivoluzione - e comunque da allora non c'è stato un singolo JRPG che sia riuscito a fare quello che fece Xenogears. È anche uno dei pochi giochi giapponesi che racconta in modo chiaro e palese una storia d'amore lunga 4000 anni, in un'epoca in cui i giapponesi avevano il terrore di raccontare l'amore più concreto (anche fisico). Racconta il dolore della tragedia, della perdita insormontabile e dell’impotenza davanti agli eventi, del riuscire a odiare il mondo quando perdi la persona che per te significa tutto (Grahf è uno di quei personaggi che metteva paura quando compariva a schermo perché sapevi che poteva fare davvero quello che minacciava di fare). La storia di Fei, una volta che si districava a 3/4 della vicenda, è una tragedia reale e quando vedi comparire ID non è solo “quello che sta per spaccarti il culo”, hai proprio l’impressione di aver incontrato uno che si divertirebbe ad ammazzarti senza muovere un ciglio. Anche la sceneggiatura è mostruosamente ben strutturata: il filmato iniziale ti crea il setting fantascientifico, poi inizi a giocare e l’ambientazione sembra abbastanza diversa. Non colleghi le due cose prima di 50 ore di gioco. Contiene i momenti più toccanti che ricordi in un JRPG (la scoperta di Merkabah, l’Eldridge, il Razael e quando trovi – come elemento facoltativo – la capsula di Miang Hahwha con ancora visibili le capsule dei primi uomini) Semplicemente magnifico. “you shall be as Gods”. Bravo Andrea, gran bel pezzo e bella celebrazione di un caposaldo della storia dei videogiochi, per quanto mi riguarda.

Mamma mia Sori, lo leggerò con gustissssimooo

Mio fratello Sorichetti, non puoi immaginare quanto ti sto volendo bene in questo momento

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