I danni della traduzione fan-made
o di come il volontariato rischia di danneggiare un intero settore
Il volontariato è una bella cosa. Si ha la possibilità di aiutare gli altri senza avere (quasi) nulla in cambio, se non l’immensa soddisfazione di aver dato una mano a qualcuno che ne aveva bisogno. È molto comune che queste attività si svolgano intorno ai 20 anni o poco più, quando ancora non si sa esattamente cosa fare nella vita e si approfitta di situazioni simili per orientarsi. Certo, siamo in Italia e quindi se per qualcuno il volontariato è un’occasione benefica e spesso di apprendimento, ci sono altre persone che sfruttano questa occasione per poter avere dei prodotti gratuitamente, magari di qualità eccellente, senza però compiere il minimo sforzo.
Ahimé, tutto ciò è successo (e succede) anche nel campo della localizzazione videoludica.
Quante volte vi è capitato di imbattervi in un gioco e di non trovare l’italiano fra le lingue disponibili? Forse fin troppo spesso, soprattutto se bazzicate il panorama indie o i titoli un po’ di nicchia. Mi vengono in mente il già citato in un precedente articolo Disco Elysium, ma anche Citizen Sleeper, Signalis o il più noto e recente The Plucky Squire. Ci sono diverse persone che accettano serenamente di giocare selezionando l’inglese o altre lingue conosciute (NdA non io ho che ho voluto fare la figa giocando a Pathologic in russo), ma ce ne sono tante altre che decidono sistematicamente di abbandonare il titolo in questione e passare ad altro in attesa di ricevere buone notizie in futuro su una possibile traduzione nella nostra lingua.
Attenzione, perché non è detto che un gioco non venga mai tradotto anche diverso tempo dopo la sua pubblicazione, come è successo a Nine Sols, tradotto dal favoloso team PorcaLoc (favoloso quasi quanto il suo nome), ma si tratta per lo più di un evento fin troppo sporadico e non di una pratica diffusa o comune. In Italia, purtroppo,sono tanti i motivi per cui si localizza poco, a partire dalla pirateria fino ad arrivare al fatto che il nostro mercato non è così florido rispetto a tanti altri, anche perché il nostro è occupato principalmente da una manciata di videogiochi molto ingombranti come EA FC, GTA e Call of Duty, che macinano vendite a tutto spiano, mentre il panorama indie è spesso trattato come il figlio della serva.
Ma c’è qualcos’altro che potrebbe contribuire ad alimentare questo desolante panorama: la traduzione fanmade. Come è facile intuire, una localizzazione fanmade si ottiene quando un gruppo di appassionati si riuniscono per poter realizzare una traduzione senza ricevere alcun compenso da parte dell’azienda che ha pubblicato il gioco e senza neanche che un compenso venga preteso.
Puro e semplice volontariato, un servizio gratuito per la comunità videoludica.
Per molti futuri traduttori questa è anche una ghiotta occasione per farsi le ossa e iniziare a costruirsi in testa un’idea più o meno realistica di quelle che sono le dinamiche di questo lavoro. In realtà, questi sono spesso team composti da zelanti videogiocatori, con un ottimo livello d’inglese ma che nella maggior parte dei casi non possiede alcuna formazione linguistica, se non parziale in qualche caso più unico che raro. Alcuni di loro – va detto – hanno fatto dei lavori notevoli, come è successo con il team Spaghetti Project per Undertale che attualmente non ha ancora una traduzione italiana ufficiale su Steam ed è giocabile nella nostra lingua solamentre grazie al loro lavoro. Abbiamo avuto una situazione simile anche nel caso di Life is Strange, che nel 2015 non era ancora stato localizzato e che venne tradotto all’epoca da un team di appassionati con ottimi risultati. Sono passati già dieci anni, ma ricordo ancora molto bene quel “Go fuck your-selfie” tradotto in “Vaffanselfie”.
Ma ci sono altri casi dove, seppur carichi di buona volontà, alcuni hanno partorito dei lavori nella migliore delle ipotesi passabili e nella peggiore del tutto scadenti. Non mancano le occasioni in cui, soprattutto in questo periodo, si ricorre all’utilizzo di traduttori automatici o direttamente alla tanto temuta IA, che a volte può fare un lavoro semi-decente ma che quando c’è bisogno di un po’ di creatività in più genera risultati tutt’altro che professionali (NdA 1 a 0 per noi, amico ingegnere informatico che ci augura la disoccupazione).
Ma ho, in verità, una confessione da farvi: quasi tutti noi traduttori abbiamo prestato le nostra abilità ancora acerbe a questi team pieni di buone intenzioni, perché non è affatto facile inserirsi in questo ambiente e a volte le nostre università sono fin troppo teoriche, quindi cerchiamo in tutti i modi di formarci e di orientarci “sporcandoci le mani”, ma ciò non rende meno pericolosa questa pratica fin troppo diffusa. Come abbiamo già detto, infatti, esistono traduzioni fanmade buone e altre meno buone, ma nella stragrande maggioranza dei casi possono influire negativamente sulla scelta delle software house e dei developer di ingaggiare un team professionale per realizzare ufficialmente una localizzazione italiana. Perché spendere soldi per tradurre un videogioco se una traduzione esiste già e il pubblico può accedervi senza problemi? Non vogliamo togliere ai CEO delle aziende multimilionarie la possibilità di comprare il secondo yacht, sia mai, ma la questione è abbastanza spinosa.
Sapendo di rischiare di sembrare ripetitiva mi tocca ritirare fuori dal cappello Disco Elysium, in quanto anche questo titolo possiede una patch per una traduzione italiana realizzata da un fan. C’è, però, un piccolo problema: questa traduzione è stata generata da DeepL, un traduttore automatico più accurato di Google Translate che però non dà sempre degli ottimi risultati, specialmente se gli si dà in pasto un gioco così ricco di dettagli narrativi. La persona che si è occupata di questa localizzazione italiana, con una certa “onestà intellettuale”, afferma di aver rimaneggiato il testo e invita gli utenti a migliorarla, ma l’odore di traduzione automatica è ancora molto forte e ben percepibile.
Quali potrebbero essere le conseguenze? In primo luogo, per esempio, l’esistenza di questa versione italiana potrebbe portare molti ad “accontentarsi” di un lavoro amatoriale senza pretendere che venga fatto un lavoro preciso e professionale. Tempo fa il team ZA/UM aveva postato un sondaggio su eventuali localizzazioni future. Risultato? L’italiano è stata la lingua meno votata. Non dico che la colpa sia interamente da addossare alla patch italiana, ma la sua esistenza potrebbe aver portato alcune persone a non sentire il bisogno di una traduzione ufficiale, e questo di sicuro bene non fa: normalizzare questo genere di pratiche è dannoso in primis per la fruizione del gioco e per la visione originale degli autori, ma anche per chi di mestiere fa il traduttore, quindi è sempre giusto affidarsi a delle realtà competenti.
Esistono comunque dei casi in cui, nonostante la presenza di una traduzione amatoriale, gli sviluppatori decidano comunque di investire in una traduzione ufficiale. È successo per esempio con Sabotage Studio, che nell'autunno del 2024 ha annunciato una localizzazione ufficiale per l’RPG Sea of Stars.
Ma come la pensano i traduttori professionisti? Ho fatto questa domanda ad alcuni membri dell’associazione Tramiti e sono emerse alcune riflessioni che reputo interessanti.
Chiaramente nessuno vuole colpevolizzare i traduttori amatoriali, anche perché come dicevamo quasi tutti i professionisti si sono fatti le ossa proprio con le localizzazioni amatoriali, ma “l'errore o la malizia sta sempre dalla parte di chi sfrutta (case di sviluppo/network/agenzie) la passione di non addetti ai lavori per non pagare le figure professionali [...]”, come spiega Giada Riva. Quando tutto ciò viene fatto per tagliare i costi delle localizzazioni, non si fa altro che sfruttare il talento e la passione di futuri traduttori.
Esistono però delle situazioni in cui il lavoro degli appassionati può fondersi con quello dei professionisti, infatti secondo Sara Todaro “sarebbe bello trovare un modo per cui chi ama un gioco a tal punto da imparare a tradurre bene avesse un accesso preferenziale alla traduzione dei giochi che conosce e ama, ovviamente senza usare la scusa della passione per sottopagare o non pagare affatto”. Inoltre, non è neanche detto che il lavoro dei fan debba essere per forza buttato nell’immondizia, ma sarebbe anzi opportuno che i loro sforzi vengano riconosciuti, soprattutto quando il risultato finale è accurato e ispirato. Ci si potrebbe muovere in vari modi, ad esempio, secondo Maurizio Massari, “se il gioco non ha budget per una lingua e la community vuole tradurlo su base volontaria, si potrebbe compensare chi traduce con una percentuale dei ricavi ottenuti dalle vendite nella regione per cui si è tradotto, fino a un tetto pari al prezzo di una traduzione professionale.”
Una localizzazione fanmade può aiutare un gioco a diventare popolare in una determinata regione, ma se non viene pagata o la si preferisce a un lavoro decisamente più professionale allora ci si avvicina pericolosamente allo sfruttamento. In questo periodo critico non è il massimo vedere prodotti tradotti con l’IA, ma nonostante le critiche alle traduzioni automatizzate i videogiocatori installano comunque la patch italiana disponibile perché ci si accontenta di quello che c’è. D’altra parte, non è neanche giusto non riconoscere un lavoro ben fatto con il giusto compenso, proprio perché, in questo caso, un giovane traduttore in erba ha contribuito alla diffusione di un determinato titolo, generando quindi profitti gratuiti per chi quel titolo l’ha pubblicato senza che questi vengano in qualche modo ridistribuiti.
La cosa migliore che possiamo fare è sostenere le realtà che si occupano di localizzazione e contattare gli stessi sviluppatori per spingerli a investire su un determinato mercato, “votando” con il portafogli ma essendo contemporaneamente rumorosi nel richiedere che la propria lingua riceva l’attenzione che si pensa che meriti. Più gente dimostra di avere bisogno di una traduzione italiana e più alte saranno le possibilità che venga realizzata nel miglior modo possibile, senza che nessuno venga sfruttato senza compenso per accontentare il pubblico appassionato e senza che si prendano delle scorciatoie dannose per l’intero settore della localizzazione.
In conclusione, quindi, possiamo dirci che sì, fare volontariato è un gesto bello e nobile, oltre che utile per avviare la propria carriera personale, ma bisogna sempre stare attenti a farlo con cognizione di causa e senza che la propria passione porti ad accettare condizioni lavorative per nulla favorevoli o addirittura predatorie.
Pubblicato il: 26/03/2025
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