Una biblioteca digitale per le riviste di videogiochi
Nel 2012 Frank Cifaldi era il direttore di Gamasutra, una storica pubblicazione online che si occupa di sviluppo di videogiochi e che da qualche anno ha scelto (comprensibilmente) di cambiare nome, ribattezzandosi GameDevelopers.com. Tra gli articoli firmati da Cifaldi in quel periodo, e più precisamente il 28 marzo 2012, ce n’è uno particolarmente significativo. Il suo titolo è “Triste ma vero, non abbiamo certezze sulla data di uscita di Super Mario Bros. negli Stati Uniti” e ripercorre il tentativo di Cifaldi di individuare una prova certa dell’esatto giorno in cui Super Mario Bros. è stato pubblicato negli USA per il NES (la console a 8 bit di Nintendo che ha monopolizzato il mercato negli anni Ottanta). Secondo i registri Super Mario Bros ha debuttato in Giappone il 13 settembre 1985, ma, come dimostra la ricerca di Cifaldi, non abbiamo dati precisi per quanto riguarda il mercato degli Stati Uniti. La missione, insomma, può dirsi fallita.
Quello di Gamasutra è un esempio illustre, perché si appoggia a uno dei videogiochi di maggior successo della storia dei videogiochi, un esempio che quindi accende una luce sul buio dentro cui si muove il racconto di quasi cinquant’anni di avventure interattive. Con ogni probabilità è stato solo uno degli innumerevoli spunti che hanno spinto Cifaldi a dedicare le sue energie nella preservazione attiva di questa storia. Dal 2017 lo fa indossando il costume da supereroe di fondatore e direttore della Video Game History Foundation, un’associazione no profit attiva in molti modi e il cui obiettivo è “preservare, celebrare e insegnare la storia dei videogiochi”.
Tra i progetti della Game History Foundation ci sono varie tipologie di preservazione: quella dei codici sorgente dei videogiochi (inclusi i tool di sviluppo, i bozzetti e la documentazione), quella degli asset per i media (i press kit che includono immagini e testi) e quella dei materiali artistici, che possono addirittura tornare utili alle aziende che sono interessate a ripubblicare i propri giochi e di cui potrebbero aver perso qualche pezzo. La Game History Foundation, a questo proposito, spiega che ha collaborato con Limited Run Games, un’etichetta specializzata in riedizioni per un pubblico molto ristretto, ma anche Bethesda, SNK, Capcom e Disney. Negli anni precedenti all’apertura della fondazione, lo stesso Cifaldi ha lavorato con Digital Eclipse, l’editore che ha di recente ideato il formato del docu-videogioco con gli splendidi The Making of Karateka e Tetris Forever, tra gli altri.
Una sezione importante della Game History Foundation è quella dedicata alle riviste specializzate. La collezione privata di Cifaldi e le donazioni, anche dei privati, hanno portato lo staff a mettere assieme quella che viene definita una “raccolta quasi completa della maggior parte delle riviste dedicate ai videogiochi e pubblicate in Nord America dalla fine degli anni Settanta”, a cui si aggiungono altre pubblicazioni internazionali (non solo in lingua inglese). L’impegno verso i periodici che hanno parlato di videogiochi è tale che uno dei metodi di sovvenzionamento delle attività della Game History Foundation corrisponde alla Vintage Video Game Magazine Monthly Subscription (“iscrizione mensile alle riviste di videogiochi del passato”)
Funziona così: si paga una quota mensile di una cifra che oscilla tra i 14 e i 21 Euro e si riceve a casa, una volta al mese, un pacchetto con una rivista originale. Si tratta di uno dei tanti doppioni accumulati dalla biblioteca e il prezzo varia a seconda dell’era selezionata: chi punta a un “pezzo” degli anni Ottanta o Novanta si ritrova a spendere un po’ di più, rispetto a chi predilige le riviste del nuovo secolo. Le riviste vengono spedite con un certificato di autenticità che le accompagna e “ogni centesimo derivato da queste vendite viene dedicato a espandere, mantenere e digitalizzare la raccolta di libri e riviste dedicate ai videogiochi”, viene spiegato sul sito della fondazione.
Il 30 gennaio 2025 la biblioteca della Video Game History Foundation si è trasferita anche online: “gratis, per tutti, ovunque siate”, recita l’introduzione a un articolo di presentazione firmato da Phil Salvador, responsabile del progetto. Questa, che viene chiamata in breve “VGHF Library”, è in effetti accessibile a tutti. Il lavoro da fare non è finito, perché molto del materiale a disposizione della fondazione non è ancora stato digitalizzato. Per questo si è scelto di definire lo status della biblioteca online prendendo in prestito una formula nota ai videogiochi: “Accesso anticipato”. La sera del 30 gennaio ero fuori a cena, in pausa tra le registrazioni di alcune puntate di un podcast che si occupa proprio di storia dei videogiochi. Ho passato alcuni brevi momenti alle prese con un’onesta pizza Napoli, aspirando velocemente le alici e la mozzarella perché l’attenzione era tutta sul sito della Video Game History Foundation, che stavo ricaricando costantemente sul mio telefono. Ero in attesa che la biblioteca online aprisse finalmente le sue porte. Poi è successo, ma andava tutto a singhiozzi. Probabilmente una larga parte degli impallinati, non solo di storia dei videogiochi, ma soprattutto di quella che passa attraverso le riviste specializzate, stavano facendo esattamente quello che facevo io. Alici e mozzarella a parte, forse.
I disservizi devono comunque essere durati ben poco, quando sono tornato a casa era tutto a posto. La versione su web della biblioteca non era scintillante quanto me l’ero immaginata, ma dopotutto non sapevo bene cosa attendermi, perché di esempi simili non ce n’erano. O meglio, non ero certo che il lavoro della Video Game History Foundation sarebbe stato equiparabile ad altri che, con meno ufficialità e lavorando in una zona perennemente grigia (tra il lecito e l’illecito), da decenni provano a fare la stessa cosa. Spoiler: sì, le due esperienze sono accomunabili, ma ci arriveremo. Intanto gli scaffali virtuali si sono presentati all’apertura con 1500 riviste, tutti i press kit raccolti dalla rivista Game Pro tra il 1995 e il 2004 (!), una collezione di documenti donati dall’ex produttore Mark Flitman (che ha lavorato negli anni Novanta per editori come Acclaim e Konami), un bel po’ di materiale promozionale di FromSoftware e una cartella messa assieme da Cyan con filmati, testi e immagini dedicati alla storia dell’azienda e dei loro giochi. Potreste ricordare Cyan principalmente per la serie di Myst, che ha avuto un enorme successo nella prima parte degli anni Novanta.
La consultazione delle riviste vere e proprie, quindi non dei materiali extra citati poco più in alto, prevede due approcci. Il primo prevede la ricerca di un contenuto specifico, e in questo caso si passa attraverso un motore di ricerca. Il secondo si risolve nel passaggio in rassegna delle singole cartelle che contengono i numeri disponibili per ogni pubblicazione. Un po’ Google e un po’ browser FTP insomma. In settimane di frequentazione della biblioteca digitale mi sono trovato a utilizzarla in entrambi i modi. Mi è capitato di essere alla ricerca di articoli dedicati a Killzone 2, un videogioco per la PlayStation 3 del 2009, e allora ho inserito il titolo come keyword e ho potuto anche affinare l’indagine limitandola a una forbice specifica di anni. In questo caso il motore della biblioteca mette assieme tutte le pagine delle riviste che includono il testo “Killzone 2”. È una bella comodità, resa possibile dal fatto che ogni rivista digitale è stata passata al setaccio e indicizzata. Questo vuole dire che tutti i testi possono essere letti e interpretati dal motore di ricerca. Il modo in cui i risultati vengono disposti su schermo merita ancora di un po’ di lavoro, perché nella mia esperienza di utilizzo non sono mai riuscito a capire la tipologia di articolo senza prima aprire l’intero numero della rivista. Cercando le recensioni di Killzone 2, quindi, mi sono ritrovato a saltellare tra varie anteprime, semplici notizie o editoriali che si riferivano al gioco di Guerrilla, finendo a un certo punto col muso contro il test vero e proprio di PlayStation Official Magazine US, evviva!
Nonostante l’indicizzazione completa dei contenuti, non è possibile aprire singolarmente quei contenuti. Si viene sempre e comunque rimandati a un singolo file che dà accesso all’intero numero della rivista che contiene quegli articoli, ma d’altronde era difficile aspettarsi qualcosa di differente e non è, in effetti, un vero limite della biblioteca della Video Game History Foundation. Anzi, la possibilità in primis di effettuare una qualsiasi ricerca pone questo spazio virtuale un bel pezzo avanti rispetto alle soluzioni disponibili fino a oggi. Gli archivi più generosi già esistenti online, su tutti Retromags.com negli USA, Out-of-Print Archive nel Regno Unito e Retroedicola Videoludica in Italia, non possono appoggiarsi ad alcuna indicizzazione.
Da persona che si addentra in quelle raccolte da anni, però, ammetto di essere rimasto almeno un po’ deluso dallo scoprire che una parte non indifferente delle riviste offerte in digitale dalla Video Game History Foundation, arriva proprio da Retromags e Out-of-Print Archive. Mi sarei aspettato di trovare molte più edizioni inaccessibili altrove e invece il panorama è, tutto sommato, perlomeno comparabile. La qualità delle digitalizzazioni è generalmente buona e spesso ottima. Se la vostra esperienza in materia si limita a qualche sfoglio online su Archive.org, sappiate che si parla di tutt’altro livello. Ma ad Archive.org continuiamo tutti a volere un gran bene, perché anche lì per la preservazione si fa molto, anzi moltissimo.
Come anticipato si può scegliere di “esplorare” le riviste muovendosi tra le varie cartelle, in maniera vagamente simile a un FTP (o a uno spazio virtuale come può essere Google Drive). Ciascuna viene visualizzata direttamente nel browser e se da una parte è comodo non doversi appoggiare a software per la lettura dei PDF o dei file CBZ (Comic Book Zip, un formato molto diffuso per queste finalità), d’altra parte è vero che non si può scaricare e tenere da parte il materiale da consultare. Quest’ultima è l’esperienza d’uso generale dei siti già citati, gli stessi che poi hanno collaborato con la Video Game History Foundation per riempire gli scaffali della biblioteca. Un discorso simile può essere fatto per i contenuti dei press kit di Game Pro, degli archivi di Cyan o di Mark Flitman: l’impossibilità di scaricarli i file in locale, o di ottenerli in maniera per nulla ottimizzata, è probabilmente dovuto agli accordi sugli utilizzi di quei materiali, ma gli strumenti per la visualizzazione online adottati dalla biblioteca non sono il massimo e si ha un po’ l’impressione di non poter godere al meglio della quantità imbarazzante di materia a disposizione.
Archiviata la presentazione tecnica della biblioteca, non rimane altro che rimarcare quanto sia prezioso il lavoro fatto dal team di Cifaldi e Salvador. Dentro le riviste di quindici, venti, trenta o quarant’anni fa c’è una completezza e una ricchezza di informazioni che non potete nemmeno sospettare e questo è vero tanto per chi non era un lettore abituale, quanto per chi lo era. Ho comprato il primo magazine di videogiochi a dieci anni (era un numero di K con in copertina il personaggio dei fumetti di Rank Xerox) e mi sono fermato solo quando hanno praticamente smesso di esistere riviste di videogiochi in edicola. Nel mezzo le ho collezionate e ci sono tornato sopra regolarmente per lunghi periodi. Poi ho pensato che tutto quello che ci fosse dentro quelle riviste, ci fosse anche su internet. E allora, in un paio di momenti di poca lucidità, ho buttato o donato pile e pile di riviste. Negli anni mi sono accorto che forse tutte quelle informazioni su internet ci sono, da qualche parte, ma non so dove siano. Il modo in cui lavora il maledetto motore di ricerca di Google premia l’attualità e tende a illuminare sempre le stesse quattro piazze di questa immensa megalopoli digitale. Quello che dà una rivista di videogiochi, sfogliata e letta oggi, è un’emozionante quantità non solo di testo, ma anche di contesto. La storia messa in fila su Wikipedia o nelle usuali retrospettive, pure quelle dei migliori siti specializzati, tende a concentrarsi sulle macro-certezze, sgrassando così di tutto il contorno. Che in effetti non è solo contorno, ma una riserva inesauribile di nutrimento per quella stessa storia.
Girare tutte le pagine di una rivista, inumidendosi idealmente un indice, convince velocemente che mettere assieme mele e arance non solo non è sconsigliato, ma addirittura essenziale. Chi studia la storia per compartimenti stagni, si perde per forza di cose la consapevolezza che invece la storia non procede per linee parallele, ma continua incrociare tutto l’incrociabile. Per accompagnarmi nella stesura di questo articolo ho pensato che mi sarebbe bastato aprire un qualsiasi numero di una qualsiasi tra le pubblicazioni presenti nella biblioteca della Video Game History Foundation, e gli esempi utili non sarebbero mancati. Di Electronic Gaming Retail News, una rivista dedicata agli operatori del settore negli Stati Uniti, ci sono solo due uscite e nella prima di queste (risalente al settembre del 1991) c’è una lunga intervista a Kent Russel, all’epoca direttore marketing di SNK per gli USA. Nelle sei pagine si capisce perfettamente la natura peculiare del Neo Geo, la console che SNK ha introdotto in Giappone nel 1990. “Ci interessa vendere un Neo Geo ogni 300 NES piazzati da Nintendo”, spiega Russel, che poi prosdegue: “se avete un televisore a 42” appeso al muro e uno stereo collegato, allora il Neo Geo è il pezzo che vi manca”. Nello stesso numero si approfondisce il recente debutto del Super NES, lanciato in estate negli Stati Uniti, e la musica cambia radicalmente. Se avete letto qualcosa riguardo al Neo Geo negli ultimi decenni, è molto improbabile che ci abbiate trovato dentro un’informazione così specifica, che comunica in maniera fulminea un piano d’azione che oggi avremmo enormi difficoltà a concepire.
Un numero dell’annata 2000 di Electronic Gaming Monthly, una delle testate più longeve e rispettate della storia dell’editoria videoludica, dà una visione d’insieme preziosissima del complicato mercato dell’epoca. L’editoriale di apertura di John Davison implora di avere un occhio di riguardo per i giochi da sala: “senza le sale non avremmo giochi gloriosi come Crazy Taxi o addirittura Soul Calibur”, spiega. I coin-op avevano già subito il tremendo colpo della generazione a 32 bit, che aveva cambiato usi e consumi dei videogiochi. Si faticava a trovare nelle sale giochi la luce guida che aveva segnato la direzione dell’intero settore console per i vent’anni precedenti, ma ancora ci si provava. Oggi con “arcade” ci si riferisce in maniera imprecisa a qualsiasi stile di gioco non preveda un tutorial iniziale di mezz’ora. Nella rubrica della posta dello stesso numero, un lettore del Nevada si lamenta dell’eccessiva attenzione che la redazione riserva ai giochi multiplayer. Nell’area riservata alle voci di corridoio si cita la possibilità che nuovi episodi di Dino Crisis, la serie di survival horror-con-dinosauri di Capcom/Mikami, vengano sviluppati in modo specifico per PlayStation e PlayStation 2, per Nintendo 64, per Dreamcast e per Game Boy. Cinque versioni differenti della stessa idea di gioco, un’abitudine persa ormai da ere (a voi decidere se sia una buona o una cattiva notizia). Nelle pagine delle anteprime, Street Fighter III: Double Impact per Dreamcast viene rinchiuso dentro una singola pagina, quando la stessa testata, solo cinque anni prima (e forse pure meno) dedicava 6/8 pagine a ogni nuova edizione del picchiaduro a incontri per eccellenza. Lo stesso spazio omaggiato a Street Fighter III viene garantito a Chu-Chu Rocket per Dreamcast, alfiere del gioco online su console.
TUTTE LE RIVISTE DELLA BIBLIOTECA
È liberatorio leggere di tutti questi videogiochi, e di migliaia di altri, prima che decenni di opinioni standardizzate li costringessero dentro a caselle dalle pareti in marmo e a valutazioni ormai cristallizzate. È una pratica che aiuta a farsi una reale idea del modo in cui il settore dei videogiochi si è mosso, tra accelerazioni e frenate, ogni tanto prendendo delle sbandate a tratti incomprensibili e che, proprio per questo, vengono tendenzialmente nascoste sotto il tappeto della “grande storia”.
E poi, come aggiunta gradita, ci sono le parole e le immagini. Le recensioni del 1988 hanno poco a che vedere con quelle del 1995, che non spartiscono quasi nulla con quelle del 2010. Il modo in cui i videogiochi cambiano, ha portato lentamente e inesorabilmente a modificare il modo che la stampa di settore ha di vivisezionarli. Immagino che questo particolare risvolto potrebbe non interessare più di tanto e allora passiamo alle immagini, su tutte quelle delle pubblicità. Le pubblicità dei videogiochi non esistono più, oggi abbiamo i trailer e solo quelli. Le riviste dell’altro ieri e di ieri sono puntellate di inserzioni pubblicitarie che raccontano come si provava a comunicare negli anni Ottanta, Novanta e all’inizio dei Duemila. Dalla terminologia utilizzata, ma anche dalla raffinatezza o meno delle trovate grafiche (non sempre e solo limitate dalle tecnologie dell’epoca), si può pure intuire come stesse cambiando il pubblico di riferimento. Le campagne di Sega per il Mega Drive non hanno molto a che vedere con quelle di Sony per Gran Turismo.
Preparatevi una tazza gigante di caffè solubile, scegliete un buon disco da mettere come sottofondo, poi dirigetevi con convinzione all’ingresso della biblioteca della Video Game History Foundation. Troverete ad aspettarvi tutti gli strumenti e le informazioni che vi servono per studiare la storia dei videogiochi, in ampie cucchiaiate ipercaloriche. Digerirla sarà probabilmente più difficile rispetto ai brodini di Wikipedia e affini, ma la soddisfazione non è nemmeno paragonabile.
Pubblicato il: 07/04/2025
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