SCOTT CAWTHON
L’opportunità dopo mille insuccessi
«è uno degli scherzi dell’opportunità: ha l’abitudine di arrivare furtivamente da una porta secondaria e spesso mascherata da sfortuna o da sconfitta temporanea. Forse è questo il motivo per cui tanti non sanno riconoscere l’opportunità» (Napoleon Hill, Pensa e arricchisci te stesso)
Se avete mai letto qualche testo motivazionale o di self-help, potreste esservi imbattuti nel compound effect, o effetto composto. Ogni guru e formatore va a declinarlo a modo suo, ma la base è più o meno sempre quella: un risultato è una somma di tante piccole azioni, di cui non sempre si vede l’effetto immediato. Il senso è quello di perseverare, anche se i risultati all’inizio non arrivano. A un certo punto scatterà qualcosa dentro di noi e, all’improvviso, ci renderemo conto di aver fatto dei progressi significativi.
La carriera di Scott Cawthon è stata più o meno così. Ha passato anni e anni realizzando videogiochi di scarso o nullo successo. Poi, all’improvviso, è uscito fuori con Five Nights at Freddy’s (2014), che ha immediatamente ottenuto un successo travolgente. È stata fortuna? In casi del genere, c’è anche sempre un po’ di fortuna, certo, ma non bisogna pensare che sia stato solo quello. Come già ci insegnava secoli fa Machiavelli con Il Principe, bisogna essere bravi per saper sfruttare al meglio le occasioni fortunate che la vita ci mette davanti. E, come avremo modo di vedere, Five Nights at Freddy’s è nato anche in seguito a una improvvisa e fortuita rivelazione. Più che di fortuna, sarebbe meglio parlare di opportunità che si è riusciti a cogliere. E dietro a quel momento c’è tutto il precedente percorso di Scott Cawthon come sviluppatore. È lì, durante quei lunghi anni, che si è visto il compound effect. Tutta una serie di prove e sperimentazioni che nell’immediato non hanno dato frutti, ma che si sono rivelate fondamentali per creare Five Nights at Freddy’s. Ecco perché, prima di arrivare al suo videogioco più famoso, ripercorreremo tutto ciò che lui ha prodotto nel corso degli anni. Così, quando arriveremo a Five Nights at Freddy’s, sarà possibile leggere in filigrana le tracce di tutte le sue esperienze pregresse, comprendendo come lo abbiano aiutato.
I primi passi non si scordano mai
Per Scott Cawthon, le prime esperienze di sviluppo videoludico prendono avvio quando ha circa 13-14 anni, come ricordato da lui stesso in un’intervista di qualche anno fa. Sua madre gli aveva comprato Klik & Play (1994), uno strumento di programmazione senza script che consentiva di realizzare dei semplici videogiochi. In quella stessa intervista, dice che il suo primo videogioco riguardava un blob di colore blu che gironzolava sul ponte di una nave pirata per raccogliere delle gemme, evitando un gruppo di minacciosi pirati che scorrazzavano in giro. Il blob lo aveva disegnato lui, tutto il resto veniva da una library.
Come preciserà poi in altre occasioni, quello era più che altro un test, per cui il suo “primo” videogioco sarà considerato un altro, sempre realizzato con Klik and Play e su cui si trova qualche informazione in più. Sto parlando di Doofas (1994). Si gioca nei panni di Doofas il Dinosauro (che, tra parentesi, tornerà come cameo molti anni più tardi in un altro videogioco di Cawthon), che viene controllato attraverso il mouse. Bisogna spostare Doofas in giro per lo schermo, evitando una serie di ostacoli e sparando contro i nemici.
È possibile scaricare Doofas per provarlo di persona. È uno strano videogioco, bisogna abituarsi all’estrema velocità con cui si muove il protagonista (che viene sostanzialmente trascinato dai nostri movimenti col mouse. Rimane comunque molto interessante in una prospettiva “archeologica”. I mostri disegnati da Cawthon, in particolar modo, suscitano una certa curiosità. Evidentemente, dopo aver disegnato quel suo primo blob che schivava i pirati, gli era venuta voglia di continuare a sperimentare su quel fronte.
Nel 1996, Cawthon si è iscritto all’Art Institute di Houston (Texas). Qui studia computer graphic e inizia a fare esperimenti con l’animazione digitale. Sembra aver temporaneamente messo da parte i videogiochi, o perlomeno non ce ne sono di elencati in questi anni. Per cui, se ha continuato a lavorarci, si trattava di progetti mai conclusi o mai divulgati. Ciò che invece emerge è il suo lavoro a Birdvillage (1999-2002), una serie di cortometraggi animati che parlano di quattro volatili chiamati Beak, Sea Bill, Stork e Camo. Per lungo tempo si è pensato che queste animazioni fossero perse per sempre, ma poi sono state ritrovate alcune videocassette, il cui contenuto è stato condiviso online (qui un esempio). Oltre agli episodi brevi, Cawthon ha anche realizzato un più esteso Birdvillage: The Movie (2002). Quasi tutti gli episodi sembrano essere stati recuperati e condivisi nel corso degli ultimi anni, ma almeno uno di questi manca ancora all’appello.
2002-2003: Tantissimi videogiochi… ed è solo l’inizio
Il 2002 e il 2003 sono delle annate particolarmente prolifiche per Scott Cawthon. Per prima cosa, continua a sperimentare nel campo dell’animazione. Una volta terminata la serie di Birdvillage, realizza A Mushsnail Tale (2003) e poi Return to Mushsnail: The Legend of the Snowmill (2003, anche se su YouTube è datato 2004). Realizza anche due software che possono essere utilizzati come base per la creazione di GDR: Workshop RPG Max (2002) e Workshop RPG Max 2 (2003), generalmente abbreviati in RPG Max 1 e 2. Non è rimasto granché, di questi programmi. Pare che venissero venduti tra i 9 e i 20 dollari, ma almeno in alcune occasioni sono stati distribuiti gratuitamente. Contenevano una serie di asset predefiniti con cui era possibile creare dei semplici videogiochi di ruolo.
Ma, soprattutto, pubblica un gran numero di videogiochi, che esplorano differenti strade. Vediamo di fornire almeno una panoramica su di essi.
The Fifth Paradox (2003): un GDR in cui si controlla un party di quattro avventurieri. C’è Oober il guerriero, l’insetto guaritore Flutbut, lo slime Pudge e la maga Carrie. Si gironzola per il mondo, si affrontano orde di nemici, si sale di livello, si equipaggiano oggetti e si risolvono quest. Il finale dell’avventura è inaspettato e rivela una direzione che Cawthon seguirà in diversi suoi videogiochi futuri: un mix di esistenzialismo, metanarrativa e riflessioni sul bene e il male. Qui siamo in una forma ancora acerba, ma si intravedono i primi semi del suo sviluppo successivo, che porteranno in seguito alla nascita di una sorta di NieR: Automata ante litteram. Ma ci arriveremo. Se avete un po’ di tempo e volete capire meglio l’evoluzione di Cawthon, potete giocare The Fifth Paradox (lo trovate qui).
Phantom Core: The Moon Mission (2003): un videogioco con visuale a volo d’uccello, in cui si controlla un robottino. Con WASD si sposta il personaggio, mentre con il mouse si controlla la telecamera e si spara.
Stellar Gun (2003): uno shooter spaziale in cui bisogna affrontare, uno dopo l’altro, dei demoni cosmici che hanno invaso lo spazio. Ciascun demone ha diverse fasi differenti, in cui presenta diversi punti deboli che devono essere colpiti. Si pilota un’astronave con WASD, prendendo la mira con il mouse.
Legacy of Flan (2003): un gioco di ruolo in cui si controllano quattro creature gelatinose, simili a dei blob, note come Flan. In passato, i Flan vivevano in pace in ogni parte del mondo, ma il loro numero si è ridotto sempre di più con l’arrivo degli umani e della loro tecnologia. Alla fine, è rimasto solo un villaggio di Flan e anch’esso sta per essere spazzato via dai nemici. I quattro protagonisti decidono di ribellarsi e di combattere. Una delle particolarità del gioco è che gli eroi non hanno delle abilità definite. Tra una battaglia e l’altra, ciascuno di loro può diventare un Flan di una diversa tipologia, manualmente assegnata dal giocatore sulla base delle opzioni di volta in volta proposte. Alcuni Flan hanno basse statistiche ma possono utilizzare delle potenti magie ad area. Alcuni possono autodistruggersi per causare ingenti danni al nemico. Altri possono ammaliare gli avversari. E così via. Ben presto, si scopre dell’esistenza di un “virus Flan” che sta corrompendo il mondo, e che farà ritorno nel seguito, ovvero…
Legacy of Flan 2: Flans Online (2003): questo è il primo videogioco online creato da Scott Cawthon. Era una sorta di MMO semplificato, sempre ambientato nel mondo dei Flan. A differenza del suo predecessore, qui i diversi Flan erano indicati con un nome proprio ed erano presenti maggiori interazioni.
Legacy of Flan 3: Storm of Hades (2003): altro MMO che riprende la storia del suo predecessore. Al pari di Flans Online, anche questo è stato recuperato ma è sostanzialmente ingiocabile, visto che i server sono stati chiusi da tempo, a meno che qualcuno non si metta con un po’ di pazienza e provi a rimetterci mano con dei server personalizzati.
Poi ci sono i videogiochi (almeno attualmente) perduti. Uno di questi, per ironia della sorte, si chiamava Lost Island (2003), ovvero l’isola perduta. Oltre a lui abbiamo Elemage (2003), Mega Knight (2003), Demon Night (2003), Dungeon (2003), Dinostria (2003), War (2003), Gunball (2003) e Ships of Chaos (2003).
È una produzione incredibilmente elevata. Anche considerando che si parla di progettini in genere molto piccoli, è raro vedere uno sviluppatore che si dedica a così tanti videogiochi differenti, pure quando si parla di giovani studenti che stanno cercando la loro strada, tra una sperimentazione e l’altra. Si colgono anche i suoi primi tentativi di monetizzare le sue produzioni, come si vede nel caso dei due RPG Max. Questi tentativi, va ricordato, resteranno in larga misura dei buchi nell’acqua fino a Five Nights at Freddy’s. Con qualche videogioco (che vedremo più sotto), Scott Cawthon riuscirà a ottenere qualche piccolo successo e dei sinceri apprezzamenti, ma mai cifre sufficienti da consentirgli di sviluppare videogiochi come lavoro a tempo pieno.
2004-2006: sperimentazioni cristiane
Nel 2004, Scott Cawthon comincia a dedicarsi ad alcuni progetti esplicitamente cristiani, unendosi alla Hope Animation di David Hutter. Come riporta il loro sito, la Hope Animation è un gruppo di artisti cristiani che vuole diffondere gli insegnamenti di Gesù Cristo attraverso i new media, come l’animazione e i videogiochi.
Piccola parentesi: se seguite da vicino il mondo dei contenuti memetici, sicuramente ricorderete il Globglogabgalab, il bizzarro blob canterino. Ecco, questa creatura è apparsa nel cartone animato Strawinsky and the Mysterious House (2012), realizzato proprio dalla Hope Animation. Ma questa, come si dice, è un’altra storia.
Scott dà il suo contributo alla Hope Animation con diversi progetti. Uno di questi è il lungometraggio di animazione Noah’s Ark: Story of the Biblical Flood (2004), che è stato integralmente caricato su YouTube. Come si intuisce dal titolo, viene raccontato l’episodio biblico di Noè, che costruisce un’arca per sopravvivere al diluvio inviato da Dio. Per essere un cartone educativo realizzato da una sola persona è un’opera molto ben realizzata. Certo, non è minimamente paragonabile a opere come il cartone animato de Il Principe d’Egitto (1998) della DreamWorks, per restare nel campo degli adattamenti biblici, ma Cawthon rivela comunque un buon gusto che emerge in alcune scelte espressive. È un cartone animato molto visivo, con pochi dialoghi, in cui sono principalmente le immagini a dover comunicare il messaggio.
La parte finale, in cui il “piccolo resto” dei giusti che sono sopravvissuti al diluvio vede il mondo nuovo che è a loro destinato attinge a una lunga tradizione, che passa dai pittori del passato a un gran ventaglio di situazioni contemporanee, anche in apparenza ben lontane dall’episodio biblico. Prendo, giusto per fare un esempio, il finale di Mass Effect 3, in cui l’equipaggio della Normandy (l’astronave del protagonista, il/la comandante Shepard), atterra su un pianeta sconosciuto e osserva l’orizzonte. Anche loro sono come il “piccolo resto” di biblica memoria, sopravvissuto al “diluvio” della guerra contro i Razziatori. E il modo con cui viene mostrata questa scena ha, visivamente, più di un parallelismo con l’uscita dall’arca al termine del diluvio.
L’anno successivo, Scott Cawthon propone un nuovo lungometraggio cristiano: The Pilgrim’s Progress (2005). Questa volta riprende la storia di The Pilgrim's Progress from This World, to That Which Is to Come (1678), del puritano John Bunyan. È uno tra i più famosi esempi di letteratura devozionale protestante ed è un’allegoria del cammino di fede. Il protagonista, Christian, decide di mettersi in viaggio per abbandonare la “Città della Distruzione” in cui vive (che, come gli viene rivelato, sta per essere distrutta) e raggiungere la “Città Celeste”, ovvero il Paradiso. Lungo il viaggio deve superare una serie di ostacoli, in dei luoghi che rappresentano le diverse tentazioni e pericoli sul percorso di un buon cristiano: il “Pantano della Disperazione”, la “Valle dell’Ombra della Morte”, il “Castello del Dubbio” e molti altri ancora. C’è anche una seconda parte, scritta qualche anno dopo, in cui si segue il viaggio di Christiana – la moglie di Christian – e dei loro figli. In linea di massima, per noi italiani l’opera di Bunyan dice molto poco e probabilmente sono davvero in pochi ad aver letto The Pilgrim’s Progress, ma è un testo che ha avuto un enorme impatto culturale su un gran numero di autori successivi. Scott Cawthon si sta quindi confrontando con un testo estremamente famoso, che è stato rivisitato in moltissime altre opere. È un po’ come se un italiano facesse (l’ennesima) riscrittura della Divina Commedia di Dante Alighieri. Per inciso, lo stesso Cawthon aveva caricato il suo The Pilgrim’s Progress su YouTube, parecchi anni fa (trovate qui la parte 1).
Lo sforzo di Scott Cawthon è certamente apprezzabile, anche se l’opera ha qualche problema in più rispetto a Noah’s Ark. Uno di questi riguarda le animazioni. Rispetto ai movimenti lenti e posati del suo precedente lungometraggio, qui ci sono diverse sequenze che hanno un involontario effetto comico. Ma si può comunque segnalare anche qualcosa di positivo. Cawthon, per esempio, conferma qui che si diverte a creare strani mostri, cosa che si vedeva già nei suoi primissimi lavori e che sarà un grande asso nella manica, quando arriverà a Five Nights at Freddy’s.
Anche nel 2006 esce un lungometraggio di Cawthon legato al cristianesimo: A Christmas Journey: About the Blessings God Gives (2006). Come gli altri, anche questo può essere visto su YouTube. Siamo davanti a una delle classiche storie edificanti natalizie, in cui due bambini (Ian e Stephy) cercano di scoprire quale sia il vero significato del Natale, visto che trascorrono sempre le vacanze con un nonno brontolone e misantropo che ricorda un po’ l’Ebenezer Scrooge del Canto di Natale.
Negli stessi anni, Scott Cawthon continua anche con la sua abbondante produzione di nuovi videogiochi. Per prima cosa, porta avanti la sua serie sui Flan con Flanville (2004) e Flanville 2 (2005), entrambi spin-off della serie principale ed entrambi MMO. Poi c’è Moon Minions (2004), in cui bisogna esplorare un pianeta pieno di robot, a caccia di una misteriosa energia interstellare chiamata Phantom Core. È possibile assumere forme e abilità differenti utilizzando pezzi delle creature sconfitte. Nello stesso anno realizza anche Junkyard Apocalypse (2004) che invece ricorda più la serie Metroid.
E, a proposito di Metroid, Scott realizza anche Metroid: Ripped Worlds (2005), un fangame ispirato alla popolare serie di Nintendo. È un gioco molto curioso e bizzarro, in cui Samus viene trasportata in dei mondi che non appartengono al suo canone. Si trova per esempio nel Mushroom Kingdom di Super Mario, dove deve sparare ai Goomba e ai Koopa (e affrontare un Bowser particolarmente aggressivo, che scaglia dei soli contro di lei). La cosa forse più interessante del gioco è la presenza dello stesso Scott Cawthon come boss.
Proseguendo con l’elenco dei suoi videogiochi, ecco Legend of White Whale (2005), che recupera il mondo ideato da Cawthon per i suoi precedenti lungometraggi A Mushsnail Tale e Return to Mushsnail: The Legend of the Snowmill. Un gruppo di uomini-fungo si mette in viaggio per cercare la leggendaria Balena Bianca, sperando così di poter salvare il loro villaggio. Il gioco ha anche un seguito, chiamato Chup's Quest (2005), dal nome di uno dei protagonisti di Legend of White Whale. Nonostante siano narrativamente collegati, i due giochi hanno un gameplay molto diverso.
A seguire c’è il videogioco di Scott Cawthon col titolo più lungo: The Misadventures of Sigfreid the Dark Elf on a Tuesday Night (2006). Giochiamo nei panni del Sigfreid (a volte chiamato Sigfried, per errore), un elfo oscuro che all’improvviso trova il suo castello infestato dai mostri. La colpa è probabilmente di Bugfre, il suo scarafaggio da compagnia, che li ha lasciati liberi mentre Sigfreid era fuori. E così dobbiamo farci strada nel castello, sconfiggendo i mostri, raccogliendo oggetti e aprendo nuovi passaggi. Il gioco ha grosso modo la struttura di un metroidvania semplificato, in cui il castello è una grande e unica mappa che si sviluppa sia in orizzontale sia in verticale. La carrellata dei suoi videogiochi realizzati durante quell’anno si chiude con l’MMO Light from Above (2006) e i platform Bogart (2006) e Bogart 2: Return of Bogart (2006).
Facciamo un attimo il punto della situazione, prima di proseguire, per inquadrare questa vasta e variegata produzione nel contesto di quegli anni. Per prima cosa, a differenza dei lungometraggi di animazione – che realizza con un intento commerciale – molti di questi suoi videogiochi sono dei progetti assolutamente personali, fatti per divertimento. È sicuramente il caso di Metroid: Ripped Worlds, ma anche un gioco come Bogart pare che sia stato creato in pochi giorni, per una sorta di sfida personale. Del resto, in quegli anni, le possibilità di vendere piccoli videogiochi sono abbastanza limitate. Certo, servizi come Steam e Xbox Live Arcade esistono già, ma sono ancora utilizzati molto poco. C’è anche Manifesto Games di Greg Costikyan, un portale pensato per piccoli progetti indipendenti, ma non si è ancora vista la rinascita degli indie che sarebbe ricominciata a partire dal 2008. Per cui è ancora un momento in cui i videogiochi commerciali – salvo specifiche eccezioni (come la Spiderweb Software di Jeff Vogel) – sono quelli che riescono a raggiungere i negozi fisici. Per cui si parla di videogiochi piuttosto grossi e strutturati, i piccoli esperimenti indie restano tagliati fuori. Per chi volesse approfondire può leggere la storia dei videogiochi indie, sempre qui su FinalRound. Coloro che portano avanti dei piccoli progetti durante quegli anni lo fanno in larga parte in una prospettiva esterna al mercato, a volte in aperta opposizione con esso, come nel caso dei Tale of Tales, autori di diversi videogiochi “per non videogiocatori”, appositamente pensati per criticare o sovvertire le logiche dominanti dell’industria. È quindi comprensibile che, a questa altezza cronologica, Scott Cawthon non riesca più di tanto a monetizzare questi suoi videogiochi e vada a svilupparli prima di tutto per divertirsi. La situazione, tuttavia, sta per cambiare radicalmente.
2011-2012: in cerca del successo
Prima di arrivare al 2011, segnaliamo velocemente gli altri videogiochi che Cawthon realizza tra il 2007 e il 2008. C’è il perduto Weird Colony (2007), il platform M.O.O.N. (2007), il ritorno nel mondo dei Flan con Legacy of Flan 4: Flan Rising (2007) e l’RPG Iffermoon (2008). Quest’ultimo è talvolta citato come il primo videogioco “commerciale” di Cawthon. È un bizzarro RPG a scorrimento orizzontale, ambientato in un contesto fantascientifico.
Merita qualche parola in più The Desolate Room (2007), perché è il prequel di The Desolate Hope (2012), di cui parleremo tra poco, e che per molti è uno dei migliori videogiochi di Scott Cawthon al di fuori della serie Five Nights at Freddy’s. in The Desolate Room controlliamo un robottino a forma di macchina del caffè, che gironzola per l’isola deserta su cui si trova, in cerca di uova, con cui prepara la colazione ai suoi amici: i rottami di grossi robot disattivati da tempo immemore. Al fianco dell’esplorazione dell’isola ci sono anche delle fasi in cui si naviga all’interno di uno spazio virtuale, dove sono inseriti dei combattimenti a turni, nello stile dei vecchi Final Fantasy, che Cawthon ha ripreso anche in molti altri suoi videogiochi.
Dopo Iffermoon, uscito nel 2008, Scott non pubblica altri videogiochi per un paio di anni. Realizza invece un paio di animazioni a tema religioso. Tra questi ci sono i due DVD Bible Plays, entrambi pubblicati nel 2010, che mostrano diversi episodi biblici messi in scena da un gruppo di bambini.
Nello stesso anno pubblica una miniserie di sei episodi intitolata The Jesus’s Kids Club (2010). Seguiamo le vicende di tre bambini, Chris, Diana e Alex, che imparano volta per volta una differente lezione legata alla fede e al rapporto con il prossimo. Anche The Jesus’s Kids Club è stato venduto sul sito di Hope Animation, come le precedenti animazioni a tema religioso realizzate da Scott Cawthon.
Nel 2011, dopo una pausa, Cawthon riprende a fare videogiochi. Alcuni di questi sono, di nuovo, dei progetti amatoriali, realizzati semplicemente per divertirsi. Come per esempio The Powermon Adventure! (2011), una sorta di fangame dei Pokémon che Scott realizza come regalo per uno dei suoi figli. O come Doomsday Picnic (2011), che è una sorta di ibrido tra Super Mario e Megaman. In altri casi comincia invece a sperimentare con nuove piattaforme ed ecosistemi. È il caso di Slumberfish! (2011), pensato per gli smartphone.
Al fianco di questi piccoli progetti, Scott Cawthon comincia a pensare a qualcosa di più ambizioso. Qualcosa che sia monetizzabile e che possa farlo conoscere. Fin qui, è riuscito a raccogliere qualche soldo con le sue animazioni legate alla religione, per cui non è strano il fatto che il suo primo esperimento un po’ più strutturato segua la stessa direzione. Sto parlando di The Pilgrim’s Progress: The Video Game (2011), sempre ispirato all’opera del puritano John Bunyan, su cui aveva già realizzato un lungometraggio qualche anno prima. Scott Cawthon mantiene una base che ha già collaudato altrove, alternando sezioni a scorrimento orizzontale (in cui si fa avanzare il protagonista e si dialoga coi vari personaggi) con delle battaglie a turni.
Come intuibile, il videogioco è più che esplicito e alquanto didascalico, nel riproporre il messaggio cristiano dell’opera originaria da cui è tratto. Volendo sottolineare qualche punto di forza del gioco, che va comunque a elevarlo rispetto ad altri prodotti similari, si può certamente ricordare ancora una volta il gusto di Cawthon nel monster design. I nemici che propone sono spesso ben caratterizzati e suscitano il giusto grado di inquietudine. Ricordiamo che si tratta di un videogioco educativo per bambini, ma è quel tipo di giochi che non si fa problemi nello spaventare un po’ il bambino. Aggiungiamo anche che alcuni nemici sono dei mostri metallici. Col senno di poi, è facile rintracciare qui alcune tracce di quel percorso che finirà per portarlo a Five Nights at Freddy’s, dove uno degli elementi di maggior successo è stato proprio il design dei suoi animatronic: capaci di piacere ai bambini, andando però anche a spaventarli almeno un pochino.
A questa altezza cronologica, The Pilgrim’s Progress: The Video Game diviene probabilmente il videogioco più famoso di Scott Cawthon insieme a The Desolate Room. Il che è indicativo, visto che si parla comunque di un prodotto di estrema nicchia, noto quasi solo a chi cerca prodotti esplicitamente cristiani. E non siamo più nel 2004. Ormai la nuova ondata indie è in corso e molti autori si sono affermati con i loro progetti: Johnatan Blow con Braid (2008), Jenova Chen con Flower (2009), Kan Gao con To the Moon (2011) e molti altri ancora. Anche videogiochi come Amnesia: The Dark Descent (2010) sono esplosi grazie agli youtuber, portando a una modifica dell’horror stesso e dei suoi jumpscare. Al confronto, il più famoso videogioco di Scott Cawthon non è altro che pulviscolo, rumore di fondo.
Ma Scott non si arrende, ha compreso che ha delle possibilità e intende riprovare. E così, l’anno successivo, pubblica quello che è uno dei suoi più bei videogiochi: The Desolate Hope. Come anticipato in precedenza, è grosso modo legato al precedente The Desolate Room. Qui Cawthon dà il meglio di sé, sul versante artistico, dimostrando che le felici scelte che si erano viste in alcuni precedenti videogiochi non erano il frutto di un caso. Almeno alcune delle aree esplorabili lasciano effettivamente a bocca aperta per il gusto con cui Cawthon si approccia alla fantascienza robotica. In generale, si nota una cura decisamente più elevata rispetto ad altri suoi progetti, che tradivano la finalità “domestica” e “for fun” di quelle operazioni. Tra l’altro, The Desolate Hope è gratuito. Probabilmente Scott sperava di riuscire in tal modo a raggiungere il maggior numero di persone, che si sarebbero poi interessate agli altri suoi progetti, costruendosi nel tempo una base di pubblico. In linea di massima può essere una buona strategia. In fondo aveva già raccolto un piccolo gruppo di fan con alcuni progetti precedenti, in particolar modo The Desolate Room, Iffermoon e la serie sui Flan. I suoi progetti esplicitamente cristiani viaggiavano su un binario parallelo: interessavano un bacino diverso di persone. The Desolate Hope aveva effettivamente tutte le carte in regola per presentarsi come il “piccolo videogioco autoriale” che avrebbe potuto portare Cawthon al successo. Visivamente aveva un ottimo impatto e la storia rivelava una profondità inaspettata.
Le suggestioni che convergono in The Desolate Hope sono tante e ramificate. C’è molta fantascienza letteraria, da Isaac Asimov in giù, ma anche la spiritualità e la fede di Cawthon lasciano un forte impatto. E, a differenza delle opere più didascaliche come The Pilgrim’s Progress, lo fanno sottotraccia, senza dover veicolare alcun messaggio esplicito. Portano, semmai, Scott Cawthon a riflettere su alcuni grandi interrogativi esistenziali. È un po’ come è avvenuto nel Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien. Non sto dicendo che The Desolate Hope valga quanto il romanzo tolkieniano, ma c’è lo stesso rapporto con la fede. Sebbene nel Signore degli Anelli non ci sia nulla di esplicitamente cristiano, la religiosità di Tolkien ha influenzato in più punti l’opera. Grosso modo in quegli anni, anche l’amico di Tolkien, C.S. Lewis, si dedicava al fantasy, scrivendo Le cronache di Narnia, che è molto più esplicito e diretto nel legarsi alla fede dell’autore. Aslan il leone delle Cronache di Narnia è un’immediata e inconfutabile allegoria di Cristo. Aragorn del Signore degli Anelli può essere letto come una figura cristologica, così come si possono vedere tratti mariani in Galadriel, ma nell’opera non c’è nulla che vada esplicitamente a tracciare questi parallelismi, sono delle interpretazioni che possono essere date. Ecco, The Desolate Hope va in questa direzione. Conoscendo la fede di Cawthon, è possibile leggervi in filigrana alcune suggestioni bibliche ed evangeliche. Più in generale, è un videogioco sul senso della vita, con dei robot come protagonisti. Di nuovo, forse non vale quanto NieR: Automata di Yoko Taro, ma ne ha anticipato alcuni temi di qualche anno, in un modo comunque non banale. Un esempio concreto di come sia possibile leggere in vario modo il gioco è emerso nel dibattito in tempi più recenti, dopo che l’immenso successo di Five Nights at Freddy’s ha portato molte persone a riscoprire i precedenti videogiochi di Cawthon. E c’è chi ha inteso The Desolate Hope come un videogioco “pro-life”. Come ha ricordato l’autore stesso in un’intervista, nel suo videogioco non si parla mai di aborto e interruzione di gravidanza. Tuttavia, come accennato, è un gioco sul senso della vita e sulla sua importanza, e uno degli obiettivi è proprio quello di salvare un feto umano, destinato a essere impiegato come una cavia da laboratorio. Una prima versione del gioco conteneva effettivamente anche un messaggio – poi rimosso – che poteva essere inteso in modo molto più esplicito: un fiore, che appariva nei credits, accompagnato da una dedica ai «bambini che non hanno mai visto l'infanzia». È comunque un messaggio che può essere letto in più di un modo, ma tutto sommato è meglio che sia stato tolto. Rimane un’opera più interessante e sfidante da interpretare, anche perché va a toccare moltissime questioni che vanno ben oltre il dibattito sull’essere o meno “pro-life”.
In ogni caso, dispiace pensare che The Desolate Hope non abbia riscosso un grande successo. Probabilmente la vita di Scott Cawthon avrebbe preso un’altra piega e non avrebbe mai realizzato Five Nights at Freddy’s, visto che le circostanze che hanno portato alla nascita di quest’ultimo sono state alquanto fortuite e circostanziate. Forse, in un universo parallelo in cui The Desolate Hope è divenuto molto più noto, avremo uno Scott Cawthon meno ricco ma più apprezzato come figura “autoriale”. Ma nella nostra storia le cose non sono andate così. C’è stato qualche articolo su The Desolate Hope (tra cui questo qui) e chi ci ha giocato lo ha generalmente lodato, ma non è minimamente riuscito a raggiungere una massa critica. Peraltro, in quello stesso anno, è stato anche pubblicato Primordia (2012) di Wormwood Studios, anch’esso con dei robot protagonisti e con alcuni temi in comune con The Desolate Hope. Pur senza diventare il videogioco più famoso di sempre, Primordia ha avuto un successo maggiore. In ogni caso, se volete provare un singolo videogioco di Scott Cawthon al di fuori della serie Five Nights at Freddy’s, vi consiglio di puntare su questo qui. È pure scaricabile gratuitamente da Steam.
2013-2014: il gioco che cambia tutto (ma nessuno se ne accorge, lì per lì)
Ormai è chiaro: Scott Cawthon non si accontenta più di sviluppare videogiochi per divertimento. Vuole provare a trasformare questa attività in una professione, ma si trova davanti a un momento di crisi. Come ha raccontato lui stesso, il fallimento dei suoi progetti cristiani lo ha portato a un periodo di profondo sconforto, in cui ha dubitato persino della sua stessa fede. I progetti esplicitamente cristiani (come The Pilgrim’s Progress) gli hanno portato qualche soldo, ma non abbastanza da farne una professione. I progetti ispirati alla sua fede in modo più trasversale, come The Desolate Hope, gli hanno portato delle buone recensioni e l’apprezzamento di un po’ di persone, ma nulla di più. Sappiamo che era riuscito a raccogliere circa 1000 dollari in donazioni con Iffermoon, ma erano soldi da dare in beneficenza. Anche se li avesse tenuti per sé, comunque, non sarebbero stati una cifra minimamente sufficiente per viverci. Sconfortato, prova allora altri lavori, ma alla fine torna ai videogiochi. Vuole tentare ancora, vuole sperimentare nuove strade, talvolta molto diverse da quelle che ha esplorato fino a questo momento.
Ecco allora che, nel 2013, pubblica otto diversi videogiochi. La maggior parte di questi sono variazioni delle classiche app di slot machine per Android, generalmente venduti a 2,49 dollari l’uno. Ricordiamo Aquatic Critters Slots (2013), Vegas Fantasy Jackpot (2013), Vegas Wild Slots (2013), Mafia! Slot Machine (2013) e Platinum Slots Collection (2013). Un cambiamento radicale, rispetto a quanto visto fin qui. Niente più animazioni di personaggi biblici, goffi ma realizzati con affetto. Niente più macchinette del caffè che si interrogano sul senso della vita. Niente strampalati videogiochi fatti per il puro gusto di divertirsi coi figli. Verrebbe da dire che Mammona, il profitto, ha vinto su Dio e sulla passione, ma non è vero neanche questo. Stando a questo articolo, i diversi videogiochi di Cawthon non portavano più di 40-50 dollari al mese. Difficile dire quanto fosse accurata questa cifra, ma è comunque chiaro che i guadagni non fossero sufficienti. Slot machine a parte, Cawthon pubblica altri tre videogiochi, nel 2013. Di uno di questi (Bad Waiter Tip Calculator) sembra essersi persa traccia. Golden Galaxy (2013) è uno shoot 'em up a scorrimento orizzontale ambientato nello stesso universo narrativo di The Desolate Hope. E poi c’è Chipper and Sons Lumber Co. (2013), il gioco che cambierà la vita di Scott Cawthon. Ne parleremo tra un attimo, per il momento possiamo solo dire che, per tutto il corso del 2013, questo Chipper and Sons Lumber Co. suscita ben poco interesse, bisognerà attendere l’anno successivo per assistere alla svolta.
A proposito dell’anno successivo, Scott Cawthon pubblica letteralmente di tutto, nel 2014. Facciamo una veloce panoramica. Per prima cosa, ci sono altri videogiochi basati su slot machine e dintorni, come Jumbo Slots Collection (2014), Vegas Fantasy Slots (2014), Scott's Fantasy Slots (2014), Magnum Slots Collection (2014), VIP Woodland Casino (2014) e Hawaiian Jackpots (2014). Non c’è molto da dire, sono molto simili a mille altri “cloni” e riciclano varie volte assets già utilizzati altrove. Soprattutto in Scott's Fantasy Slots, che è legato alle ambientazioni e personaggi dei suoi precedenti videogiochi. È curioso che abbia anche realizzato Bible Story Slots (2014): un’app di slot machine a tema biblico. Decisamente ben lontano dai “videogiochi cristiani” che aveva fatto in precedenza.
Poi c’è il filone dei “game maker”: app con cui poter assemblare dei semplici videogiochi in poco tempo. Anche qui, nulla di nuovo: Scott Cawthon aveva già messo in vendita una decina di anni prima dei programmi similari, per cui tenta nuovamente di monetizzare quel mercato. Ecco allora Snap-A-Game: Classic RPG (2014), 8-Bit RPG Creator (2014) e simili.
Al di fuori di queste due categorie (slot machine e game maker) si trova veramente di tutto. Alcuni videogiochi sono carini, o hanno comunque un’idea interessante, altri sono messi insieme senza grandi idee. Forever Quester (2014), per esempio, merita almeno un’occhiata. È un RPG Idle, di quelli che si giocano da soli. Il cavaliere protagonista va in giro, combatte, raccoglie loot e sale di livello senza che noi stiamo a guardarlo, poi ci riferisce i suoi traguardi. Oggi esistono idle games di ogni genere, ma per il 2014 era una declinazione piuttosto curiosa del genere. Con There is No Pause Button! (2014) ha invece esplorato il filone dei cosiddetti rage games, che era particolarmente prolifico tra gli youtuber, in quegli anni. È un gioco in cui il personaggio si muove da solo verso destra, noi possiamo solo farlo saltare per evitare i vari ostacoli. I livelli diventano sempre più difficili e lunghi, man mano che si prosegue. Se si fallisce, bisogna rifare l’intero livello. Anche Rage Quit (2014) segue più o meno lo stesso principio, ma oltre al comando “jump” c’è anche “slide”.
Use Holy Water! (2014) è invece un semplice shooter in cui bisogna eliminare degli zombie con l’acqua santa (ma, se non fosse per il titolo, si potrebbe pensare a un qualsiasi tipo di proiettile) e risulta meno ispirato. Più interessante 20 Useless Apps (2014): come suggerisce il titolo, è una simpatica raccolta di 20 app del tutto inutili con cui è possibile interagire, dal simulatore di morte (uno schermo nero) al sasso da compagnia. Poi c’è Fart Hotel (2014), in cui bisogna capire chi ha fatto una puzzetta osservando le espressioni facciali dei presenti; c’è Chubby Hurdles (2014), in cui bisogna far saltare degli ostacoli a un ragazzo obeso fino a farlo dimagrire; c’è Pimp My Dungeon (2014), un tower defense in cui difendiamo il castello di Dracula; c’è Kitty in the Crowd (2014), in cui cercare dei gatti in una folla di persone. E la lista potrebbe andare avanti ancora a lungo. Alcuni di questi giochi, come Fighter Mage Bard (2014), verranno poi riproposti con un’altra veste, per inserirli nell’universo narrativo di Five Nights at Freddy’s.
In mezzo a questa fiumana di videogiochi dagli esiti altalenanti succede qualcosa di inaspettato. L’8 maggio del 2014 appare questo video sul canale YouTube “Jim Sterling”, in cui James Stephanie Sterling commentava il trailer di Chipper & Sons Lumber Co. che era presente su Steam Greenlight. Il videogioco era già stato pubblicato in versione mobile nel 2013, senza suscitare particolare interesse, e Scott Cawthon voleva portarlo anche su Steam. Si tratta di un gioco per bambini con un castoro di nome Tyke come protagonista, che è chiamato a gestire la falegnameria di famiglia. In quel video, Sterling critica aspramente la grafica del gioco, soffermandosi soprattutto sul design dei personaggi. Il suo commento è molto interessante: Tyke e i suoi amici dovrebbero essere carini e simpatici, ma risultano invece del tutto inquietanti e uncanny. Come ironizza Sterling, forse il gioco è ambientato in uno spaventoso mondo post apocalittico in cui sono rimasti in vita solo dei robot, perché è questo ciò che sembrano i personaggi: degli inquietanti animali robotici, degli animatronic impazziti.
Sul momento, sembra solo uno dei moltissimi video in cui qualche content creator su YouTube realizza un contenuto deridendo qualche videogioco brutto o strano. Ma, qualche mese dopo, viene pubblicato il primo Five Nights at Freddy’s, che presenta proprio un gruppo di spaventosi animatronic assassini e che ottiene subito un enorme successo.
E da dove era arrivata l’idea del gioco? Riporto le parole dello stesso Scott Cawthon in questa intervista: «I’d made a family friendly game about a beaver before this, but when I tried to put it online it got torn apart by a few prominent reviewers. People said that the main character looked like a scary animatronic animal. I was heartbroken and was ready to give up on game-making. Then one night something just snapped in me, and I thought to myself- I bet I can make something a lot scarier than that».
Le persone gli dicevano che il protagonista di Chipper & Sons Lumber Co. sembrava uno “spaventoso animatronic animale”. Lì per lì si è sentito malissimo per le critiche ricevute. Ha pensato che forse era davvero il momento di abbandonare lo sviluppo dei videogiochi. A cosa lo avevano portato, tutti quegli anni di progetti? I suoi lavori migliori, come The Desolate Hope, erano sempre sconosciuti ai più. E ora si trovava pubblicamente sbeffeggiato per uno dei suoi giochi. Poi, una notte, ha avuto una illuminazione. Con Chipper & Sons Lumber Co. non era voluto quell’effetto uncanny e mostruoso, ma lui sapeva benissimo come muoversi in tal senso. Erano anni che riempiva i suoi videogiochi di robottoni inquietanti. Gli sarebbe bastato premere fino in fondo quel pedale e fare un gioco che fosse esplicitamente un horror.
In quell’intervista del 2014, Cawthon non cita Sterling e forse aveva in mente anche altri personaggi che avevano fatto dei commenti similari, ma non ci sono dubbi sul fatto che avesse visto (anche) quel video. Del resto, in quel momento, Sterling era la persona con la maggior notorietà che aveva parlato di Chipper & Sons Lumber Co., andando peraltro a parlare esplicitamente dell’aspetto “inquietante” e “robotico” dei suoi personaggi. In seguito, peraltro, Cawthon andrà personalmente a commentare alcuni dei video di Sterling su Five Nights at Freddy’s, lasciando dei ringraziamenti.
Scott Cawthon è riuscito a fare qualcosa che pochissime persone sono in grado di fare: trasformare una (feroce) critica ricevuta in un punto di forza. E finalmente, dopo un enorme numero di videogiochi semisconosciuti, Five Nights at Freddy’s gli spalanca le porte del successo.
Five Nights at Freddy’s: un impero nato in pizzeria
Five Nights at Freddy’s è un horror per bambini e questa è una delle ragioni dietro al suo successo. Non importa che il gioco sia PEGI 12 (quindi sconsigliato ai minori di 12 anni). Sappiamo benissimo che – a torto o a ragione, questo è argomento per altre sedi – la realtà va spesso a ignorare i sistemi di classificazione. Chi è stato bambino nel 2014 è entrato quasi sicuramente in contatto con Five Nights at Freddy’s. Un po’ per l’enorme popolarità del videogioco tra gli youtuber (per chi volesse approfondire, vi rimando a questo articolo), un po’ per l’elemento della “prova di coraggio”: i bambini parlano tra di loro del gioco e decidono di provarlo per dimostrare di essere coraggiosi. Un po’ come quando bussano tre volte a uno specchio a mezzanotte e amenità del genere. Senza contare che anche i bambini troppo spaventati possono comunque conoscere il gioco grazie ai loro youtuber preferiti.
Ma di che cosa parla Five Nights at Freddy’s, e perché piace così tanto ai bambini? Giochiamo nei panni di Mike Schmidt, assunto come guardia notturna al Freddy Fazbear’s Pizza, una pizzeria in cui sono presenti degli animatronic che cantano e suonano per intrattenere i clienti. Durante la notte, però, gli animatronic prendono vita. Noi siamo chiusi nella stanza del custode e dobbiamo difenderci. Possiamo controllare i loro movimenti con le telecamere e chiudere le porte di accesso al locale in cui ci troviamo. Entrambe queste azioni, però, consumano energia elettrica, che va pertanto dosata con attenzione. Notte dopo notte, bisogna sopravvivere fino alle sei del mattino. Man mano vengono anche rivelati diversi dettagli sulla lore del mondo di gioco, che si rivela più profonda di quanto si potrebbe inizialmente pensare.
Quando Five Nights at Freddy’s viene pubblicato, attira fin da subito l’interesse anche perché si colloca in una scia di altri horror che stanno andando molto bene su YouTube, dal già citato Amnesia: The Dark Descent ai vari videogiochi su Slender Man. Ciò che Five Nights at Freddy’s aggiunge, rispetto a questi suoi predecessori, sono gli animatronic stessi, che si rivelano un elemento importantissimo per il successo della serie. In questo primo videogioco ce ne sono quattro: Freddy Fazbear, Bonnie, Chica e Foxy (in realtà ce n’è anche un quinto, Golden Freddy). Poi ne verranno aggiunti molti altri. Slender Man è iconico e ha una lore molto ricca e complessa, ma è un singolo personaggio. Gli animatronic sono invece tutti diversi per aspetto e personalità, cosa che li rende equiparabili a certi mostri cinematografici di grande successo (come scrisse Josh Bycer). Possono essere collezionati, il loro numero può essere facilmente moltiplicato, possono essere resi più spaventosi o più amichevoli nei contenuti fanmade. Per un bambino, possono avere un fascino simile a quello dei dinosauri: creature forti e spaventose, ma su cui lui ha il controllo, nel momento in cui ne possiede un giocattolo. Tra l’altro, l’idea degli animatronic in pizzeria non è nata da Scott Cawthon. Lui si è semplicemente ispirato a una reale catena di negozi di ristorazione: Chuck E. Cheese's Pizza, in cui per anni sono stati presenti diversi animatronic canterini che intrattenevano il pubblico. E alcuni di loro erano abbastanza inquietanti, soprattutto quando subentrava un malfunzionamento. Cawthon ha semplicemente preso ispirazione, inventando dei nuovi personaggi.
Ho scritto che ha “semplicemente” preso ispirazione, ma in realtà non è così semplice. Se non avesse passato anni e anni a creare personaggi per altri videogiochi, spaziando da tenere bestioline a mostruosi robot, forse non sarebbe riuscito a trovare il giusto equilibrio per i suoi animatronic. Questo è un punto in cui emerge con chiarezza il “compound effect” che citavamo all’inizio di questo articolo, ma non è certo l’unico.
Vorrei ripercorrere alcuni degli elementi che hanno contribuito al successo di Five Nights at Freddy’s partendo da questo articolo di Chris Pruett, che ragiona sul successo di questo videogioco (e di Slender Man). Uno degli elementi da lui citati è la “prova di coraggio”, di cui abbiamo già parlato. Gli altri sono: Obfuscated Rules, Forced Unawareness, Pop-Out Scare Failure Event. Vediamoli insieme.
Obfuscated Rules (regole offuscate): Five Nights at Freddy’s mantiene oscurati alcuni elementi fondamentali del suo game design. Il movimento degli animatronic non è chiaro, così come il quantitativo di energia consumata dalle varie azioni. Questo in realtà è un elemento abbastanza diffuso, nei videogiochi horror, per cui è probabilmente il meno specifico, ma aiuta a comprendere meglio il secondo punto, ovvero…
Forced Unawareness (inconsapevolezza forzata): sei costretto a distogliere lo sguardo dal pericolo. Questo si vedeva molto bene anche nei giochi di Slender Man, dove non puoi fissare a lungo il mostro. Qui funziona in un modo un po’ diverso, ma il principio è lo stesso. Non puoi passare tutto il tempo a monitorare gli animatronic sullo schermo, perché altrimenti consumerai subito tutta l’energia. Questo ovviamente accresce la tensione perché riduce ulteriormente le informazioni a propria disposizione. La differenza col punto precedente è che lì si parla di informazioni che sono strutturalmente carenti, mentre qui sono teoricamente in nostro possesso (possiamo vedere la posizione degli animatronic), ma possiamo accedervi solo con parsimonia. Come forse si può intuire, tutto ciò è anche ottimo per camuffare i limiti dell’IA che muove gli animatronic. Freddy e i suoi compagni sembrano molto intelligenti, ma in realtà hanno un pool di mosse alquanto ristretto. Visto però che li vediamo solo di rado, è molto difficile rendersene conto. Qui emerge tutto il lavoro pregresso di Scott Cawthon, che ha realizzato un gran numero di videogiochi con risorse estremamente limitate. In molti casi tutto ciò e ben evidente, soprattutto quando erano progetti palesemente fatti per divertirsi, ma in altre situazioni ha imparato a sfruttare al meglio ogni elemento a sua disposizione, capendo come farlo apparire migliore di quanto non fosse. Un lungo lavoro, durato anni, che in Five Nights at Freddy’s ha dato i suoi frutti migliori.
Pop-Out Scare Failure Event: l’aspettativa del jumpscare è spesso molto più interessante del jumpscare stesso. In Five Nights at Freddy’s il jumpscare con l’animatronic che ci attacca arriva nel momento del game over, per cui non c’è alcun rilascio della tensione durante l’intera notte che caratterizza una sessione di gioco. Una diversa distribuzione dei “salti sulla sedia” avrebbe spezzato questo equilibrio. È utile ricordare che Scott Cawthon non aveva realizzato dei videogiochi horror, prima di questo. Videogiochi con atmosfere molto cupe sì, videogiochi con mostri più o meno inquietanti pure, ma nulla di vicino ai classici horror videoludici. Probabilmente, in questo caso, gli sono stati maggiormente utili i suoi studi di cinema e animazione. E per quanto anche su quel versante, nella sua produzione, non abbia realizzato nulla di horror, ha sempre dimostrato di avere chiaro il ritmo con cui personaggi e inquadrature devono avvicendarsi.
Un altro interrogativo su cui mi sembra utile spendere due parole è il seguente: Five Nights at Freddy’s è un videogioco cristiano? È una domanda che si sono posti in molti, man mano che andavano a scoprire le precedenti produzioni di Cawthon, imbattendosi in lavori come The Pilgrim’s Progress. L’autore ha detto in più di una occasione che non c’è nulla di esplicitamente cristiano, in Five Nights at Freddy’s, e gli si può credere. Tuttavia, alcuni hanno provato ad avanzare alcune interpretazioni della lore del gioco, che meritano comunque di non essere scartate. Per quel che si è detto in precedenza, è chiaro che una forte fede vada comunque a essere presente in background, nella mente, durante il processo creativo. E a quanto pare Scott si era riavvicinato alla fede dopo un momento di sconforto, durante la lavorazione al gioco. Come ha raccontato lui stesso, ha dovuto toccare il punto più basso proprio prima di riuscire a risalire. In preda alla depressione, si era visto cancellare la sua assicurazione sulla vita, dopo aver confidato al dottore di avere talvolta dei pensieri suicidi. Quell’evento lo ha scosso: non solo la sua vita non aveva alcun valore – o almeno, questa era la sua percezione in quel momento – ma nemmeno la sua morte. È lì che ha deciso di mettersi nelle mani di Dio. Senza nulla da poter offrire, senza un chiaro obiettivo, ha deciso di seguire la volontà di Dio, qualunque essa fosse.
Da videogioco a brand di successo
Appena il successo di Five Nights at Freddy’s esplode, Scott Cawthon fa subito due cose. La prima è quella di modificare il suo sito personale, rimuovendo quasi tutte le informazioni su di lui. Rispetto ad altri sviluppatori, che hanno volutamente cercato i riflettori per sé oltre che per i propri giochi, Cawthon è sempre stato alquanto schivo, quando si tratta della sua vita privata, su cui si sa effettivamente poco. Al sopraggiungere del successo ha ridotto ulteriormente le informazioni su di lui, pur rilasciando qualche intervista di quando in quando. La seconda cosa che ha fatto è stata mettersi subito al lavoro su Five Nights at Freddy’s 2 (2014), che è uscito solo pochi mesi dopo il primo. In altri casi, questo desterebbe un enorme stupore, visto che molti sviluppatori indie sono rimasti bloccati per anni su certi loro videogiochi, anche lavorando a pieno regime. Ma Scott Cawthon è ormai un maestro dell’ottimizzazione: come detto, sa proporre un risultato interessante per il pubblico anche con delle risorse molto limitate. Tanto quasi nessuno riesce a notare il “trucco”, che poi trucco non è. Solo qualche collega sviluppatore come il citato Chris Pruett sottolinea quanto sia in realtà semplice Five Nights at Freddy’s. Il che – per inciso – non è una critica. Anzi, è un complimento a Cawthon.
A breve distanza arrivano anche Five Nights at Freddy’s 3 (2015) e Five Nights at Freddy’s 4 (2015). Come per i precedenti, Scott Cawthon è ancora il factotum che fa tutto da solo. È director, writer, producer e programmer di questi giochi, in cui fa anche il doppiatore del “Phone Guy” e del “Phone Dude” che ascoltiamo.
Five Nights at Freddy’s non è più solo un videogioco, è un brand crossmediale. Nel giro di pochi anni vengono pubblicati una ventina di romanzi, diversi fumetti, guide strategiche, guide alla lore e libri da colorare, per stare solo nel mercato editoriale. Poi ci sono giocattoli e peluche di ogni sorta. Nel 2023 è stato anche realizzato un film, che ha avuto un ottimo riscontro commerciale pur senza esser stato considerato particolarmente esaltante da molti. Vado molto veloce su tutti questi importanti traguardi perché ormai hanno poco da dire sulla personalità e il lavoro di Scott Cawthon. Ha messo in piedi quella che è diventata una macchina molto ben oliata e continua a portarla avanti con l’aiuto di diverse altre persone. A distanza di oltre dieci anni, Five Nights at Freddy’s è ancora vivo e vegeto e continua a suscitare interesse. Cosa che non si può dire di molti altri videogiochi, soprattutto sviluppati da una sola persona.
In tutto questo, ci sono comunque alcuni episodi interessanti da sottolineare. Uno di questi riguarda FNaF World (2016), uno spin-off della serie principale in cui Cawthon è tornato a una formula che aveva già seguito più e più volte nel corso degli anni: il GDR con party di quattro avventurieri e combattimenti a turni. Al momento della sua pubblicazione, FNaF World ha ricevuto diverse critiche. È stato considerato da molti un lavoro raffazzonato e pieno di bug. Non è ben chiaro come mai Scott Cawthon si fosse lanciato su questo progetto e su altri lavori più o meno analoghi, come Freddy Fazbear's Pizzeria Simulator (2017). Forse – ma è solo un’ipotesi – stava ancora seguendo il suo vecchio modus operandi, in cui pubblicava nuovi videogiochi in continuazione, sperimentando generi differenti. Deve poi essersi reso conto che questa non era una strategia premiale, con Five Nights at Freddy’s. Con un gesto che ha stupito diverse persone, ha ritirato la versione Steam di FNaF World e ha ripubblicato il gioco in versione gratuita su Game Jolt. Anche altri suoi videogiochi sono stati pubblicati gratuitamente. La serie gli aveva portato soldi a sufficienza, ma altre persone al posto suo avrebbero cercato di monetizzare ancor più ogni cosa realizzata da loro.
Scott Cawthon ha continuato a operare senza farsi vedere in giro, al punto che per vedere una sua (brevissima) apparizione in un video pubblico bisogna aspettare il 9 marzo 2024, quando fa un breve cameo nel finale del video MatPat’s FINAL Theory!. Sempre per lo youtuber MatPat, qualche anno prima, aveva realizzato un videogioco, fatto apposta per un evento di raccolta fondi per il St. Jude Children's Research Hospital. Il videogioco era Freddy in Space 2 (2019) e Cawthon ha donato 500.000 dollari in seguito all’evento. Nel 2021 è invece finito al centro di una polemica sull’allora Twitter, quando si è scoperto che aveva fatto delle donazioni ad alcuni politici del Partito Repubblicano, incluso Donald J. Trump. In un post su Reddit ha confermato il suo sostegno ai Repubblicani e ha detto di aver ricevuto svariate minacce e doxing dopo che si è saputo delle sue donazioni. Questo lo ha portato a rafforzare ancor più il suo isolamento e, qualche giorno dopo i fatti, ha annunciato che avrebbe lasciato ad altri la gestione di Five Nights at Freddy’s. Per quanto abbia smesso di programmare i successivi videogiochi della serie, e abbia delegato diverse scelte, è comunque sempre accreditato come writer e producer di tutti i giochi usciti dopo il 2021, oltre che come co-autore dei numerosissimi romanzi pubblicati.
Arrivato qui in fondo, mi sono anche chiesto se Scott Cawthon tornerà mai a fare dei videogiochi che non siano legati a Five Nights at Freddy’s. Ormai la serie è più che ben avviata, i soldi li ha, potrebbe permetterselo. Forse non gli interessa più, o magari ne ha già realizzato più di uno, ma evita di condividerli. Chissà, volendo chiudere con un volo di fantasia, mi piace pensare che si sia messo a ricreare quel suo primissimo gioco, col blob sulla nave dei pirati. O magari si è solo preso un po’ di tempo per rigiocare a Super Metroid e a The Legend of Zelda: Ocarina of Time, che sono tra i suoi videogiochi preferiti.
Pubblicato il: 08/04/2025
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