ALIENE INVASIONI
Scorn e l’arte di HR Giger
Esistono alfabeti troppo affascinanti per essere accantonati, creazioni della mente umana capaci di edificare sistemi oscuri, coerenti, profondamente conturbanti. Parlando del genio multiforme di HR Giger, artista svizzero noto al grande pubblico come “papà” dello Xenomorfo di Alien, il critico d’arte Andreas J.Hirsch ha coniato la definizione di “bibliotheca gigeriana” per dare un’idea dell’immenso patrimonio di temi, archetipi, forme e simboli che Giger seppe maneggiare nel corso della sua lunga carriera.
Come Salvador Dalí – forse la sua principale fonte d’ispirazione – Giger ambì a diventare un artista totale, accettando commissioni dall’industria cinematografica e musicale, dedicandosi alla trasposizione scultorea delle sue opere pittoriche più importanti, progettando arredamento per interni e bar (il Giger Bar di Tōkyō, divenuto un ritrovo per la malavita giapponese, venne chiuso quando un omicidio fu commesso nei suoi locali) e incrementando a dismisura i suoi introiti grazie al merchandising. Anche il mondo dei videogiochi corteggiò l’artista di Chur: nel 1992 venne pubblicato Darkseed, per il quale Giger disegnò la Dark world art, come riportato nei crediti; anche il primo Contra (1987) e il picchiaduro Streets of Rage 2 (1992) omaggiarono Giger, proponendo ambientazioni e nemici che ricordavano da vicino il setting di Alien e le disturbanti sembianze del suo Xenomorfo. Più di recente, il survival horror Alien: Isolation (2014) ha conferito centralità all’intelligenza del mostro gigeriano, segnando un passo importante per la credibilità delle IA videoludiche.
Vogliamo proporvi un’analisi delle prime fasi di gioco di Scorn, opera prima dello studio serbo Ebb Software, potenzialmente dirompente per gli appassionati dell’immaginario gigeriano. Le battute iniziali del gioco propongono atmosfere e ambientazioni che attingono abbondantemente da quella “bibliotheca gigeriana”, così tormentosa e complessa, di cui parla Hirsch.
Hans Ruedi Giger, fotografato nel 2013 da Andreas J. Hirsch
L’imperturbabile serenità dei bambini atomici
Selezionando l’opzione New Game dalla schermata principale di Scorn si avvia il brusco risveglio del protagonista. Gli occhi sgranati, le braccia inizialmente legate alla terra, intuiamo le forme allungate dell’umanoide, i suoi zigomi pronunciati, il suo sicuro legame alla nostra specie – e al contempo una disturbante distanza che non riusciamo del tutto a identificare. Abbiamo già accennato al doppio filo che lega Giger a Salvador Dalí e al Surrealismo. Negli anni ’60, un periodo di terrore collettivo nei confronti del nucleare (nel 1962 il mondo aveva evitato per un soffio il conflitto atomico a causa della crisi dei missili di Cuba), l’artista svizzero, allora agli inizi della sua carriera, diede corpo ai timori di un’apocalisse imminente in opere come Phantom der Oper (1966) e Atomkinder (1967-1968). Da Dalí Giger mutua la struttura evanescente e allungata dei personaggi, ritratti di spalle come nel daliniano Gradiva (1933) e mutati come L’uomo a cassetti (1934 ca.), in cui il virtuoso di Figueres dà corpo alle teorie psicoanalitiche freudiane, all’epoca tanto di moda nei circoli colti. Se in Gradiva Dalí sostanziava le forme divine della sua amata Gala, in Phantom der Oper e Atomkinder Giger rappresenta una postumanità irrimediabilmente mutata da un evento disastroso. In Atomkinder è esplicito il riferimento al nucleare, e la parte superiore dell’immagine è riempita da un sole atomico davanti al quale si stagliano due figure umanoidi con una sola, lunghissima gamba. La mutazione, quindi, è tematica centrale. Privi di braccia, i due sono dotati di maschere e tubi che fuoriescono dalle loro bocche, ricordando le caratteristiche delle tute necessarie per sopravvivere nel deserto di Arrakis nel romanzo Dune di Frank Herbert. L’opera era ben conosciuta a Giger, che in seguito lavorò all’omonimo film, mai realizzato, di Alejandro Jodorowski.
Foto di Atomkinder, HR Giger, 1967-1968
Ciò che colpisce, al di là di una certa somiglianza nelle sembianze, è la calma olimpica con cui gli Atomkinder guardano a destra e sinistra del crudele sole atomico: è la stessa imperturbabilità del protagonista di Scorn, che si trova ad attraversare un labirinto quasi del tutto silenzioso, kafkiano, biomorfo in maniera disturbante. Nell’orrore e nella solitudine di corridoi-esofagi, colonne-femori e archi-costole, l’umanoide procede con passo lento ma sicuro, senza esitare. È il giocatore ad avvertire l’esigenza di fermarsi, perché questa ostentazione di elementi che richiamano l’anatomia interna umana impone una riflessione sulle nostre viscere, indagabili con pienezza nell’Occidente contemporaneo solo post mortem e in particolari condizioni giuridiche e mediche, profondità che fanno parte di noi, eppure ci sono sconosciute.
Dedalo di carne
La sensazione trasmessa da queste ambientazioni richiama il sentimento di inquietudine che permea le Carceri d’invenzione (1745-1761) dell’incisore settecentesco Giovanni Battista Piranesi. Fondamentali per comprendere i lavori di artisti del calibro di Escher e de Chirico, le Carceri sono un dedalo di corridoi kafkiani, di scale senza capo né coda, con archi altissimi che evocano angoscia e un’insopportabile vertigine esistenziale. È evidente l’ispirazione che Giger trasse proprio da Piranesi per il ciclo di disegni inchiostro Schächte (1964-1968), in cui l’artista svizzero rievocò i suoi incubi e le sue paure d’infanzia. In Schacht 6 (First State) (1966) due figure deformi, con due siringhe al posto delle braccia e la schiena scarnificata, osservano il vuoto nero tra due muri altissimi; delle lunghe scale percorrono le pareti, ma non vi è nessuno a calcarne i gradini, solo un’immensa solitudine.
Foto di Carceri d’invenzione XIV, Giovanni Battista Piranesi, 1745-1761
L’esplorazione in Scorn non è guidata: non vi è mappa, non vi sono interfacce a schermo. I lunghi corridoi e le immense sale di questa desolata necropoli videoludica sono percorsi soltanto da lievi rumori di fondo. Domina il bicromismo bianco-nero, mai netto, sempre sfumato e con occasionali note rosso sangue, come nei gigeriani Passage XV (1972) e Cockpit (1978, una delle concept art per il film Alien). Le venature che percorrono muri e pavimenti richiamano Biomechanische Landschaft III (1979). Interagire con gli elementi dello scenario per proseguire implica spesso una penetrazione degli stessi con oggetti e mani (proprie o altrui), con un effetto conturbante sulla psiche del giocatore: sono le stesse sensazioni che si provano osservando le immagini erotomeccaniche di opere come Erotomechanics IV (1979).
Sei foto della serie Erotomechanics (1979)
Orrore, bellezza ed eleganza
Capita di imbattersi in meccanismi a forma di volto, capaci di conferire ancora più vita in un’ambientazione già pulsante e piena di elementi biomorfi, all’insegna di quello che HR Gigerde definì “stile biomeccanico”, dato dalla fusione tra uomo e macchina, dall’innesto di esseri diversi tra loro, sia da un punto di vista fattuale che metaforico. Forse nell’arte di Giger l’espressione più alta di questa commistione sono due ritratti decisamente non convenzionali: Li I (1974) e Li II (1973-1974).
Foto di LiI, HR Giger, 1974
Per comprendere queste opere sono necessari alcuni cenni alla vita di Giger, che nell’inverno del 1966 fece un incontro destinato a cambiargli la vita. La bellissima studentessa di recitazione Li Tobler, allora diciottenne, aveva gli occhi allungati e lo sguardo magnetico della regina egizia Nefertiti. Per i due fu un colpo di fulmine, e presto Giger e Tobler si trasferirono a vivere insieme, avviando una tumultuosa relazione amorosa di durata decennale. Anni prima, quando era ancora bambino, l’artista preferiva evitare la messa domenicale, recandosi invece nel Rhaetian Museum di Chur. Sempre e comunque, senza condizioni, lo attendeva una donna: la mummia di una principessa egizia, accanto alla quale il piccolo Hans Ruedi si sedeva, orrificato e affascinato al contempo. Da allora, in Giger e nella sua arte orrore, bellezza ed eleganza camminarono di pari passo, inseparabili ed egualmente importanti, sebbene la straziante magnificenza delle sue figure – specie quelle femminili – non sia sempre colta dal pubblico.
Ecco, il volto di Li Tobler in Li I e Li II rappresenta l’epitome dell’estetica e della filosofia gigeriane. In entrambi i casi la testa è mozzata: è considerevole la distanza delle due opere rispetto alla ritrattistica tradizionale, e i lavori ricordano l’approccio di Caravaggio nel suo sconvolgente Scudo con testa di Medusa (1598 ca.). Tuttavia, contrariamente al viso urlante del mostro della mitologia greca, i lineamenti di Li sono distesi, lo sguardo pacificato eppure penetrante, velato da un offuscamento corneale, assimilabile a quello visibile nei cadaveri ad alcune ore dalla morte. Li è morta vivente, staccata dal suo corpo – se mai ne ha avuto uno – per guadagnare il supporto di tubi e tubicini, di meccanismi oscuri, contornata da figure misteriose dall’apparenza insettoide. Fondamentali due elementi: i teschi e un serpente, che in entrambi i dipinti percorre l’ampia fronte di Li.
Foto di LiII, HR Giger, 1973-1974
Simbolo di fertilità, di desiderio, ma soprattutto di trasformazione e immortalità, il serpente preconizza il triste destino che attendeva Li Tobler: era il 19 maggio del 1975 quando la giovane donna, da tempo malata di depressione, prese una delle pistole dell’ampia collezione di armi del compagno e si uccise sparandosi un colpo alla tempia. Aveva soltanto 27 anni, e le due opere a lei dedicate erano state completate da poco. Li I e Li II restano due dei quadri più celebri dell’intera produzione di HR Giger, che continuò anche in seguito a rievocare le fattezze dell’amata nelle figure aliene femminili da lui scolpite e dipinte. Anche questo, in un certo senso, era stato previsto: in una splendida fotografia del 1973, Li Tobler è ritratta a Zurigo come un essere biomeccanico, trasfigurata in donna postumana dal bodypainting sapientemente applicato da Giger. Imperturbabile e bellissima, immortale Gioconda senza sorriso, la Li ritratta dall’artista svizzero è essenziale per cogliere la bellezza e l’eleganza proprie delle opere di Giger.
Uno Swatch perverso
Il protagonista di Scorn sembra aver raggiunto uno stato di mutazione biomeccanica simile a quello visibile sul corpo di Li Tobler, ma non conosciamo le circostanze che hanno condotto la postumanità a diventare ciò che ora è nel videogioco. Le maschere umanoidi che ci osservano nello scenario sono spesso meccanismi necessari a proseguire, da attivare e penetrare, in un’integrazione tra figure umanoidi e scenario che ricorda quella di opere gigeriane come Assuan (1972) e Super Star (1972). La mitologia di Giger parla di un possibile futuro dell’umanità, le cui cause scatenanti rimangono però in ombra: l’unica certezza è la strada verso un’ibridazione capace di modificare l’estetica e la funzionalità del corpo umano. In tal senso appare decisivo il momento in cui al protagonista di Scorn viene impiantato sul polso e sulla mano un dispositivo che gli permette di interagire con i meccanismi presenti nell’ambiente: solo il dolore fisico – l’apparecchio viene installato violentemente nel suo corpo, provocandogli una visibile sofferenza – riesce a scuotere l’umanoide dall’imperturbabilità che lo caratterizza per il resto del tempo.
Foto di Assuan,HR Giger, 1972
“Nel 1982 Dio creò gli SWATCH come completamento della Genesi, traendoli dall'industria svizzera degli orologi insieme ai suoi inventori e promotori, ed è stata una gran cosa”, dichiarava Giger nel 1993. “Lo Swatch è immortale”, proseguiva, “Ho intenzione di portare uno Swatch, l’oggetto per eccellenza, dalla culla alla bara. Lo Swatch del futuro sarà trapiantato sul polso e indicherà il tempo attraverso il battito delle palpebre. Sarà biomeccanico come il pacemaker per il battito cardiaco”. Non solo: nel suo schizzo a matita Hypodermic Crosswatch (1993) Giger immagina una serie di Swatch collegati fra loro sul braccio di un individuo, e in questo inseriti tramite delle siringhe ipodermiche. L’installazione del misterioso meccanismo sul polso del protagonista di Scorn è un passo necessario per proseguire nell’avventura. Come lo Swatch visto attraverso gli occhi di Giger, “è talmente aproblematico che lo si dimentica letteralmente”, e dopo i primi dolorosi momenti si integra alla perfezione nel corpo postumano, restituendo centralità alla mano – capolavoro della biologia umana – e ai gesti dell’afferrare e del penetrare e, in ultima analisi, del dominare.
Via Crucis
“Dominazione” è la parola chiave per comprendere la relazione tra il protagonista e l’infelice groviglio umanoide che compare dopo la risoluzione di uno dei primi puzzle ambientali di Scorn. Modificando il posizionamento di alcuni congegni sospesi è possibile liberare un essere dotato di due braccia, due gambe e una testa, racchiuso in un guscio che lo fa sembrare una zecca quando visto dalle spalle. È difficile valutare se si tratti di un organismo postumano in via di formazione, o se l’ammasso organico sia irrimediabilmente malformato e compromesso. Considerandolo una specie di feto – l’involucro tondeggiante richiama abbastanza chiaramente la forma di un utero, e gli elementi di cui parleremo a breve sembrano avvalorare questa ipotesi – possiamo guardare ad alcune tra le opere più disturbanti della produzione di HR Giger: Landschaft XIV (1972-1973) e Landschaft XXVIII (1974).
Nella prima, lo spettatore si trova dinanzi a un muro formato da feti biancastri e rossicci, alcuni dei quali sono privi di braccia, altri di gambe, tutti apparentemente sofferenti, gli occhi chiusi e il volto gonfio e tumefatto. Nella seconda ci avviciniamo ancora di più alla rappresentazione dell’essere misterioso di Scorn, perché i due bambini sono adagiati su un supporto che forse consente il loro sviluppo, ma che assomiglia in maniera preoccupante a un utero/bara. Dotati di braccia cortissime, formate in maniera incompleta – spettro della tragedia del farmaco talidomide, che aveva portato alla nascita di migliaia di bambini focomelici e venne ritirato tra il 1961 e il 1962 – i feti appaiono, anche qui,angosciati e tormentati.
Il groviglio umanoide è, per il protagonista di Scorn, nient’altro che uno strumento per proseguire. Per renderlo utile, è necessario condurlo su delle rotaie-colonna vertebrale – l’ennesimo design biomorfo di Ebb Software – infliggendogli sofferenze terribili tramite dei meccanismi presenti nell’ambientazione, stazioni di una perversa Via Crucis su ferrata che si conclude con la liberazione dell’essere dal suo involucro. Il passaggio finale è particolarmente truculento: collocato a faccia in giù su una sedia che nel design ricorda le Sedie Harkonnen di HR Giger (pensate per il Dune mai nato di Jodorowski e reimpiegate in seguito dall’artista per altri progetti), l’umanoide viene tormentato da una sega circolare che ne scarnifica la schiena, rendendolo molto simile agli Atomkinder gigeriani. Questo difficile “parto” ricorda la nascita dello Xenomorfo nella sua fase di Chestburster, in cui la larva erompe violentemente dallo sterno del suo ospite umano, uccidendolo in un tripudio di viscere e sangue. Questo atroce sviluppo fu ispirato, per espressa richiesta del regista Ridley Scott, a un trittico pittorico che cambiò la storia dell’arte del Novecento: Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion (1944) di Francis Bacon. Le figure sono ispirate alle Furie di greca memoria, e due di esse esibiscono denti crudeli: quella centrale è contorta in un ghigno spietato, mentre l’essere sulla destra getta un urlo senza voce.
Foto di Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion, Francis Bacon, 1944
Ben udibili, invece, sono i suoni raccapriccianti dello Xenomorfo di Alien e dell’umanoide malformato di Scorn. Quest’ultimo, mugolando orribilmente, si alza da terra con gambe malferme, per poi iniziare a seguire il protagonista, senza tentare contro di lui alcun tipo di vendetta. Potrà – e dovrà – essere utilizzato per proseguire, inserendo le sue mani in un congegno che ci accompagna verso il secondo ambiente del gioco. La nuova porzione di mappa così scoperta è piena di cadaveri, dalle fattezze sia maschili che femminili, accentuando l’impressione che lo spazio così percorso altro non sia se non un’immensa necropoli sotterranea, come se si stessero attraversando i corridoi all’interno della struttura presente sull’isola gigeriana di Hommage à Böcklin (1977). I cipressi e le mura biomeccaniche, sospesi in un mare trasparente che mostra le profondità dell’isola, sono un sentito (e riuscitissimo) omaggio tributato da Giger a uno dei pittori svizzeri più famosi della storia: Arnold Böcklin. Autore de L’Isola dei Morti – di cui dipinse ben cinque versioni, tra il 1880 e il 1886 – Böcklin era tra i capofila del movimento simbolista, e la sua misteriosa isola torreggiante nel mare aveva l’obiettivo di “produrre un tale silenzio che il bussare alla porta dovrebbe fare paura”, secondo le parole dell’artista. Una delle versioni del dipinto venne acquistata da Adolf Hitler nel 1936, ed esiste una foto che ritrae il Führer insieme ad essa nel suo studio personale. Le atmosfere rarefatte e il senso di profonda solitudine che permeano Scorn richiamano la versione biomeccanica dell’isola così come ripensata e “digerita”, facendola propria, da HR Giger.
Foto di Hommage à Bocklin, HR Giger, 1977
Resta un mistero al momento insoluto: chi è il protagonista di Scorn? In Passagen-Tempel (Eingangspartie) (1975) uno spazio oscuro dalla chiara forma umanoide si apre all’interno di un muro biomeccanico, percorso da vene, arterie, stomaci, intestini, sfinteri. È uno spazio pieno di possibilità, e simboleggia un interrogativo a cui i giocatori potranno tentare di rispondere soltanto osservando con attenzione il mondo di gioco e i suoi abitanti, anche alla luce della filosofia dell’artista che più di ogni altro è stato un punto di riferimento per gli sviluppatori di Ebb Software.
HR Giger è venuto a mancare nel 2014, ma continua a scrutarci da ogni angolo dei suoi incubi pulsanti e disturbanti, terribili, eppure bellissimi ed eleganti, esattamente come la sua amata Li Tobler.
Pubblicato il: 09/10/2022
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