La legge di conservazione ai The Game Awards 2024

In realtà è un articolo sul ritorno di Screamer, il più grande videogioco italiano di ogni tempo.

C’era una nebbia milanese, giovedì notte, a Milano. Ho lasciato presto la festa di Round Two al cinema Notorious ai margini della città, provando timorosamente a tagliare i banchi di umido con i fari dell’auto fino a casa. È all’incirca la stessa nebbia che ho ritrovato dentro al televisore arrivato a casa, quando Geoff Keighley aveva varato da poco la sua crociera attorno al mondo degli annunci, con tappe obbligate per consegnare qualche premio e un’ampia rappresentanza di scuole di pensiero e di origine dei videogiochi (purtroppo sempre più vicine e confondibili tra di loro, ma vabbè). Era la nebbia che sbuffava fuori dal trailer di The Witcher IV, con cui CD Projekt Red torna nel suo mondo fantasy a quasi dieci anni dall’uscita del precedente episodio di enorme successo. No, rifacciamo: per ora non torna proprio nessuno, perché lo studio polacco non si è espresso nemmeno sull’anno di uscita del gioco.

Rispettosa fino alla nausea degli insegnamenti di Antoine-Laurent de Lavoisier, anche secondo l’industria dei videogiochi “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Per i dieci anni dei The Game Awards abbiamo avuto quello che chiediamo di solito a questi eventi: un quintale di annunci, molte anteprime, svariate suggestioni per un futuro lontano qualche anno. Lo stesso Keighley, a inizio trasmissione, si è premurato di chiarire che in estate ha girato il mondo col cappello in mano alla ricerca di nomi ed esperienze che potessero spiegare qualcosa “non solo di ciò che saranno i videogiochi del prossimo anno, ma dei prossimi dieci”. Il rimando è al decimo compleanno del suo carrozzone di estremo successo, immagino, con un augurio che Keighley formula verso se stesso prima di tutti gli altri. Non so se dentro alle prime mondiali e a ogni forma di anticipazione cavalcata dai The Game Awards ci sia stato il futuro dei videogiochi, inteso come la suggestione di qualcosa di diverso da quello che abbiamo oggi. Di certo ci sono videogiochi che non proveremo a breve, per ricollegarmi alle nebbie che potrebbero velocemente tornare a inghiottire The Witcher IV. Sulla cui protagonista Ciri, non mi crederete mai, ho già letto cose che sono riuscite a stupirmi in negativo. Di nuovo! Nel 2024! È sempre così ricco di talento il popolo dei più ignoranti tra gli ignoranti che gravitano attorno ai videogiochi…

Però è impreciso dire che nulla si distrugge in questo frullatore di luci e speranze e stock option: migliaia di posti di lavoro si sono dissolti nel nulla nell’ultimo paio di anni e a questo giro Keighley non si è girato dall’altra parte. Potrà essere accusato di aver timbrato il cartellino, di essersi limitato a mettere giù un’espressione contrita che ha fatto scivolare via prima di poter ridire “world premiere” per l’ennesima volta, ma intanto se ne è parlato. È stato fatto attraverso la testimonianza televisivamente inappuntabile di Amir Satvat (per informazioni: amirsatvat.com), con voce rotta e sospiri del pubblico. Ma non c’è niente che non vada in quello che fa e che dice Amir Satvat, quindi prendo quello che c’è sul menu di Keighley e non mi faccio altre domande tipo: “ma chi sono questi cattivoni senza nome e senza volto che licenziano le genti, Geoff?”.

Con il susseguirsi dei trailer, ho iniziato a essere fin troppo soddisfatto. Tanto da insospettirmi. Qualche mese fa mi sono ritrovato a scavare in un press kit di Onimusha di Capcom, il semi-Resident Evil con l’acciaio e il folklore giapponese degli anni della PlayStation 2. Forse per qualche tempo mi ero addirittura scordato che fosse mai esistito, ma messo di nuovo davanti a quegli screenshot, dalla risoluzione ormai impossibilmente ridotta, e a quegli artwork rimirati più volte sulle pagine delle riviste, mi sono chiesto se davvero non ci potesse essere più spazio per Onimusha nel panorama di oggi. Poi ieri è arrivato l’annuncio: c’è ancora spazio (o così credono a Osaka, perlomeno). Il culmine dei grattoni sulla pancia l’ho toccato con l’annuncio di Milestone: parte il video, preceduto dal logo dello studio milanese, e intuisco che non siamo più dalle parti di Hot Wheels, o di Ride, o di un’altra delle proprietà intellettuali su cui ha lavorato lo studio negli ultimi anni. Con gli occhi che scivolano verso la notte, inizio a immaginare l’inatteso ritorno di Screamer, lo spettacolare Daytona-wannabe che nel 1995 fece girare lo sguardo di tutto il mondo dei videogiochi verso i navigli. E alla fine, nel video di ieri sera, c’era davvero Screamer.

Non esiste un esempio migliore per rendersi conto di quanto possa essere lungo e sottile il filo rosso che unisce quel 1995 a questo 2024. E quale sia la distanza che separa quel gioco di corse che oggi ci appare semplice e senza fronzoli, ma che quasi trent’anni fa era una produzione perfettamente calata nei suoi tempi. Anzi: un campione di tecnica e istinto, che per primo portò il sogno dei giochi da bar di Sega e Namco sui monitor dei personal computer, da sempre ritenuti inadatti a quell’interpretazione del genere.

Pausa. Cos’è stato Screamer?

Pubblicato da Virgin Interactive, Screamer fu il terzo videogioco realizzato da Graffiti, dopo il più che discreto Iron Assault e il puzzle game Super Loopz, entrambi del 1994. Lo studio venne fondato da Antonio Farina, ex della software house Idea, gruppo che negli anni precedenti si era fatto notare anche per le trasposizioni da fumetto a videogioco di Cattivik e Lupo Alberto. Quando Screamer arriva nei negozi, nell’autunno del 1995, il Saturn e la PlayStation hanno appena debuttato in Europa e Stati Uniti, realizzando il sogno generazionale di potersi mettere in casa versioni tutto sommato fedeli dei più costosi e strabilianti giochi da sala come Dayton USA di Sega e Ridge Racer di Namco.

È a questi due, ma soprattutto al primo, che il team guidato dallo stesso Antonio Farina si ispira per il suo Screamer. Il lavoro di Graffiti, però, ha qualcosa di differente: verrà giocato sui personal computer e l’impatto lascia immediatamente il segno. Per Simone Bechini, critico esperto di videogiochi di guida che ne scrisse per il mensile Zeta, Screamer divenne “sicuramente il miglior prodotto videoludico made in Italy realizzato finora”. Ancora: “Screamer non ha proprio nulla da invidiare ai suoi giochi ispiratori, avendone sintetizzato in un solo prodotto i pregi ed eliminato i peraltro scarsi difetti”. 

Ci sono sei tracciati, mentre il modello fisico è particolarmente morbido e volutamente scivoloso. Le auto si suddividevano tra quelle a cambio automatico e quelle che prediligevano l’innesto manuale delle marce. Per The Games Machine se ne occupò Marco Auletta: “compratevi Screamer appena vi passa sotto il naso, tenetevelo stretto e giocateci per più che potete”. Le quattro visuali, le modalità di gioco alternative e il supporto al multiplayer online (con connessione diretta via modem), convinsero anche la stampa inglese. Per lo storico Computer & Video Games ci pensò Paul Davies a promuovere a pieni voti il gioco: “Quello che mi ha colpito in particolare è il gameplay: vi posso garantire che dal momento in cui comincerete a giocare non smetterete fino a quando non avrete completato il campionato. Fantastico”.

Nelle parole della Milestone della fine del 2024, è importante sottolineare che nel nuovo Screamer la struttura narrativa e visiva sarà il cuore pulsante e l'anima dell'esperienza” (dal comunicato stampa). Non sono sicuro di avere chiaro in mente a cosa si faccia riferimento con “struttura visiva”, forse l’identità estetica e quindi la direzione artistica, ma non ci sono dubbi sulla parte precedente: la struttura narrativa. Per questo il gioco “trae ispirazione dagli anime e dai manga degli anni ’80 e ‘90”. Prima ancora di parlare di tutto il resto, cosa che succederà chissà quando, il comunicato stampa di debutto di Screamer segnala la collaborazione “con l’acclamato attore americano Troy Baker, una delle voci più riconoscibili dei videogiochi”.

Un gioco di corse realizzato partendo dallo stile dei classici da sala sta per diventare un gioco di corse incentrato (anche?) sulla parte narrativa e lo studio responsabile del suo sviluppo ritiene che giocarsi la carta dell’attore celebre, collegato al progetto, possa aiutare fin da subito a far alzare le antenne al pubblico. Mi sembra tutto sensato. Non sono ironico, lo penso davvero e mi pare perfettamente logico. Il divario che separa lo Screamer del 1995 da quello del 2024 è incolmabile e arrivato a questo punto non sto per virare verso il più classico e soporifero dei “come si stava meglio prima!”. No. Però è interessante fermarsi un momento e ragionare a mente fredda su quanto siano cambiate le priorità per i videogiochi, anche quelli che d’istinto non verrebbe da associare alla loro parte narrativa. Alla Milan Games Week di qualche settimana fa, e non solo lì, i giocatori e le giocatrici hanno assediato gli attori di Baldur’s Gate 3. È una dimensione nuova dei videogiochi e del mondo professionale che gli gira attorno, che esce dagli schermi e crea dinamiche più simili a quelle di altri settori dell’intrattenimento di massa: il cinema, la televisione, la musica. Anche dalle nostre parti stanno arrivando stelle e stelline, più facili da riconoscere e più adatte da distribuire attraverso la comunicazione social rispetto ai grandi game designer, game director o chi per loro.

L’esistenza di un gioco come Screamer, tornando a noi, è una buona notizia a prescindere dai pipponi mentali. A un certo punto sembrava che nessuno volesse più prendersi il rischio di realizzare e mettere in vendita giochi di guida e di corse dal taglio puramente arcade. Nel mezzo della generazione di PlayStation 3 e Xbox 360 si arrivò a quella che sembrò a qualcuno, a me di sicuro, una saturazione del mercato. Alcuni giochi molto promettenti e tutto sommato anche ben accolti dalla critica, almeno in parte, non furono affatto premiati dal pubblico. Prima toccò alla serie di Project Gotham Racing (Activision), poi a Split Second (Disney), poi a Blur (ancora Activision). L’attesissimo e rivoluzionario Burnout Paradise (Electronic Arts), con i suoi pregi e i suoi limiti, finì per chiudere la storia della serie che era stata di Criterion. Il volenteroso Ridge Racer Unbound (Namco) scomparve nel giro di un weekend. E di colpo rimasero i Gran Turismo e i Forza Motorsport, qualche anno più tardi puntellati da Forza Horizon, che comunque dà un’interpretazione piuttosto distante da quella dei giochi di corse tutti derapate e colori vivaci degli anni Novanta e di inizio secolo.

Con Screamer ho giocato per pomeriggi e serate intensissime, quando avevo quindici anni e un 486 DX4/100 che chiedeva solo di essere spremuto (anche se il massimo lo si otteneva con un nuovissimo processore Pentium di Intel). A un certo punto ho anche pensato che l’esistenza nella mia stessa città di una software house come Graffiti, il nome con cui venne conosciuta Milestone fino al 1996, potesse essere di buon auspicio per uno che non sapeva cosa avrebbe fatto da grande. Non so per quale motivo non abbia mai giocato a Screamer 2 e a Screamer Rally, forse ero troppo preso dalle prime uscite di Ridge Racer sulla PlayStation.

Il nuovo, rinnovato, narrativo e Troy Baker-ato Screamer arriverà nel 2026 con “un cast eterogeneo di personaggi” e un torneo “organizzato da una figura misteriosa”. Dovrei sentirmi in colpa perché ora assecondo il riciclo continuo di nomi e idee, e poi domani, chi lo sa, finisco in qualche altra occasione per lamentarmi del fatto che in pochi hanno il coraggio di saltare nel buio abbracciando la loro IP nuova di zecca. Forse mi ci sento davvero in colpa, ma cerco di farmi perdonare specificando che Intergalactic: The Heretic Prophet è la cosa migliore che abbia visto ai The Game Awards 2024. 

Oh noes, mi sono scordato del seguito di Okami. E dell’inatteso risorgere di Turok. Ma pure di Ninja Gaiden che torna ai pixel. E c’è ancora spazio per citare il rilancio di Virtua Fighter dopo vent’anni?

Pubblicato il: 14/12/2024

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2 commenti

Che Jeoff benedica Mattia Ravanelli! Disamina lucida e super condivisibile dell’evento di giovedì notte dal quale mi porto la speranza che le parole del CEO di Larian siano la scintilla per quel futuro che avremmo dovuto vedere l’altra sera.
Pe …Altro...
Che Jeoff benedica Mattia Ravanelli! Disamina lucida e super condivisibile dell’evento di giovedì notte dal quale mi porto la speranza che le parole del CEO di Larian siano la scintilla per quel futuro che avremmo dovuto vedere l’altra sera.
Per quanto riguarda Screamer, immagino che la volontà di focalizzarsi anche sulla parte narrativa derivi anche dalla necessità di abbracciare un pubblico più ampio, sperando che questo non si traduca in un budget elevatissimo che implicherebbe un rischio altrettanto alto per Milestone.
Chiuso dicendo che Troy Backer-ato deve diventare un claim ufficiale per qualsiasi titolo includa l’attore!

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