ALAN WAKE II

Tredici anni dopo la pubblicazione del capitolo originale, Alan Wake ritorna a calcare le scene del mercato videoludico. Lo fa con ambizioni e premesse radicalmente diverse da quelle di un tempo: figlio di una Remedy che non ha perso l’amore per uno sperimentalismo persino spericolato, ma che dopo il successo di Control si conferma una software house più consapevole e matura.

Cazzo che incipit di merda. Uno di quegli attacchi tutti pettinati, ordinatissimi, che provano a dire tutto-quello-che-c’è-da-dire nelle prime tre righe della recensione. Ma a chi interessano, poi, tutte queste premesse? Le conoscono già tutti... le hanno lette decine di volte nelle anteprime, ascoltate negli streaming, discusse nei gruppi di Telegram. Come cazzo si fa a pensare che nell’epoca della bulimia informativa sia ancora rilevante un approccio del genere? Parti subito col gioco, cristo. Stai provando a dare in pasto a una generazione con l’attention span

Stai provando a dare un testo in pasto a una generazione con la capacità di concentrazione di un pesce rosso. Un testo, ripeto: residuo di un’epoca ormai passata che proponi a chi è abituato all’ipervelocità dei contenuti su TikTok. Dagli almeno un pretesto per restare, parti col botto.

Per me Alan Wake II è forse l’esperienza videoludica più significativa di questo anno affollatissimo. Lo dico considerando tutti i videogiochi meravigliosi che mi hanno persino colpito di più dal punto di vista della struttura e delle meccaniche di gioco. Lo dico – ad esempio – considerando l’originalità creativa di Tears of the Kingdom, il gameplay accattivante e magnetico di Spider-Man 2, l’ermetismo di Cocoon. Alan Wake II, nonostante i difetti e le lungaggini, mi ha stregato in una maniera diversa, inedita: mi è entrato nella testa come un isterico mostro nero fino a farmi sprofondare nella sua storia collosa e mutevole. 

Quello di Remedy è un prodotto con tanti fardelli, tutti evidenti, che appesantiscono le sparatorie e a tratti allentano il ritmo dell’esplorazione: quasi come se il gioco, anche per non allontanarsi troppo dalle meccaniche del primo capitolo, volesse trascinarsi dietro quest’azione un po’ lenta, enfatica, persino ampollosa barbosa ponderosa. Non si inventa nulla, su questo fronte, così come non lo fa per quanto riguarda la struttura, che alterna indagini, scontri a fuoco e attente ricerche di indizi e collezionabili in mappe aperte ma sempre circoscritte. 

Eppure Alan Wake II è un gioco speciale: lo è per la sua atmosfera avvolgente, per questo piglio da thriller psicologico, per la sua capacità di rappresentare (come Control se non addirittura più di Control) uno dei pochissimi esponenti della corrente New Weird nel mondo dei videogiochi. E lo è perché si appoggia su una sceneggiatura incredibile, che per venti ore gioca con le aspettative del pubblico, costruisce (e decostruisce) sequenze memorabili e soprattutto integra in maniera mai vista prima il videogioco e il racconto filmato in live action.

Ecco, già meglio. Più interessante sicuramente, anche se non troppo originale.
Ma si può essere originali al giorno d’oggi? Quante recensioni di Alan Wake II verranno pubblicate alla scadenza dell’embargo e poi al day one e poi ancora nelle settimane e nei mesi successivi? Centinaia, migliaia? C’è davvero modo di dire qualcosa che non si sovrapponga anche solo parzialmente ad altre voci, più o meno ascoltate della tua?
C’è un sistema per trasmettere le sensazioni che il gioco risveglia senza spiattellare il solito elenco di caratteristiche, feature, longevità, grafica, che palle? E se la soluzione fosse nel gioco stesso? Intrappolato nel LUOGO OSCURO Alan continua a stracciare le bozze del suo romanzo... scrive e riscrive, partendo ogni volta da una lavagna bianca che presto si affolla di suggestioni, di parole, di stralci. Le sue idee alterano il mondo di gioco, gli cambiano i connotati, lo conducono all’obiettivo lungo un percorso fatto di errori, di cambiamenti, di riscritture, di vertiginose virate di stile...

La strada per il casolare correva tortuosa in mezzo alla campagna, serpeggiando tra vigneti ormai spogliati dalla vendemmia e qualche zolla lasciata a maggese. Resistevano, come quello che circondava la sua colonica, alcuni ettari di bosco non coltivato, massacrati ormai da un clima impazzito. La siccità dell’estate, la furia delle tempeste di stampo quasi tropicale e delle grandinate sempre meno infrequenti, e infine persino i ritardi dell’autunno avevano lasciato vistose cicatrici su quella macchia, composta di alberi secchi, nudi, riarsi, e di sterpi cresciuti senza guida, e di rovi scuri. Su quei boschi isolati e solitari gravava un’aria insalubre: era una sciatteria grigia come la corteccia dei tronchi spezzati, una sensazione di vigorosa decomposizione.

Il redattore pensò che fosse il luogo perfetto per immergersi in Alan Wake II, nelle sue atmosfere umbratili e boschive. Soprattutto in quella stagione balorda, a metà tra il caldo estivo e il freddo dell’inverno, quando poteva succedere che una nebbia fitta e impenetrabile si levasse a tradimento, improvvisamente, diffondendosi come un miasma opaco e spettrale. Che siano stati i giochi del caso o lo scherzo beffardo di qualche diavolo, quella nebbia avvolse il caseggiato proprio mentre il redattore metteva piede nelle foreste digitali di Bright Falls, al controllo di Saga Anderson, la nuova protagonista di quel gioco che sarebbe stato la sua più grande dannazione. Ancora non poteva saperlo, ignaro del presagio lugubre che quella foschia brumosa rappresentava, ma quell’avventura sarebbe in qualche modo rimasta per sempre con lui, nel suo cuore oppresso, annegato in un lago mare nero di prodotti tutti uguali, senza coraggio.

E non poteva sapere che la storia di quell’agente federale, in fin dei conti, si sarebbe rivelata potente come e più di quella di Alan: forse perché fin da piccolo gli piacevano gialli, i polizieschi, i racconti investigativi, e Saga portava avanti proprio un’indagine, entrando e uscendo dal suo Mind Palace. Un luogo immaginario e immaginato, così distante dai panorami del midwest americano che lei si trovava a calcare, e dallo sfascio che lui invece poteva osservare oltre lo schermo, oltre la porta a vetri, oltre la terrazza, nella boscaglia. Anche se a dirla tutta quell’indagine procedeva quasi automaticamente, senza vere deduzioni, la trovava interessante: una sorta di riassunto composto da foto, testimonianze, registrazioni, utile a mettere insieme i pezzi e tener traccia della vicenda.Nella bozza di quella recensione maledetta che non avrebbe mai visto la luce, l’aveva scritto a chiare lettere, come se per lui fosse un dettaglio importante: “l’indagine di Saga Anderson non richiede al giocatore uno sforzo interpretativo, ma riesce se non altro a dare spessore ad Alan Wake II: da una parte perché ne sottolinea e ne amplifica le tematiche, e così aderisce perfettamente alla logica del genere in cui il racconto vuole collocarsi; dall’altra perché tutto sommato veicola un buon senso di progressione, permettendo persino di tenere traccia dello stato di avanzamento delle attività secondarie: sfiziose, queste ultime; utili a dare carattere all’esplorazione, a incentivarla, e – qui sì! – anche a stimolare il giocatore grazie alla risoluzione di enigmi più o meno complessi, ma mai banali”.

L’aveva cancellata e riscritta una decina di volte, quella frase. Gli sembrava in qualche modo cardinale per la sua trattazione, eppure traballante faticosa tutta pettinata, ordinatissima. Chissà se avrebbe investito le stesse energie, sapendo del destino infausto che di lì a poco sarebbe toccato al suo pezzo, al laptop in cui lo stava scrivendo, e a quella casa così isolata, così tetra. Così malevola.Mesi dopo quella sera fredda e nebbiosa, incastrati tra le spine dei rovi e inzuppati dalla pioggia, avrebbero ritrovato non certo quelle frasi a cui aveva lavorato convintamente, TUTTE PETTINATE, ORDINATISSIME, ma gli appunti scritti alla rinfusa sulle pagine di un blocco note.

WATERY (SAGA) // NUOVA AMBIENTAZIONE


Il simbolo dell'utopia fallita. Attorno ai boschi che rappresentano l'elemento di continuità di tutta l'avventura (anche attorno a Cauldron Lake), c'è la povertà di un villaggio di pescatori, l'utopia fallita di un parco a tema abbandonato, il rimessaggio dei caravan che sottolinea la precarietà del sistema-America.

Watery è il "doppione" di Bright Falls, il suo negativo in un gioco interamente basato sul dualismo e sui contrasti?

Approccio open map? The Evil Within?

BRIGHT FALLS (SAGA)


Incarnazione della perfetta cittadina del midwest americano - idilliaca, bucolica, rappresentata in decine di film fino a essere idealizzata.

Vita tranquilla, americanissima. Diner, Stazione di Polizia, Hotel in legno ai margini del bosco. 

Mappa che si svela progressivamente, man mano che le inondazioni vengono riassorbite.
La placida manifestazione del sogno americano non è altro che il turpe rigurgito di un lago nero e pieno d’odio”.

THE DARK PLACE (ALAN)

Il luogo mentale in cui Alan è intrappolato da 13 anni. Una versione sudicia e perduta di New York, ammantata da una notte eterna. I graffiti sono il simbolo del degrado e al contempo i messaggi con cui il subconscio di Wake parla al protagonista//personaggio (esiste un Alan figlio della sua stessa penna? L’autore si inserisce nella suaopera proprio come fa Sam Lake?)

Il Northlight Engine è una bomba nucleare. Riflessioni, giochi di luce, fisica, diffrazioni, riverberi, godrays, bagliori, aberrazioni.
La luce è la chiave: sottolineare la centralità artistica, centralità espressiva, centralità ludica della luce nel mondo di Alan.
(Ottimizzazione da rivedere, su PC un po’ mattone)

Con Alan si torna troppe volte nello stesso luogo. Si perde sulla lunga distanza l’effetto meraviglia. Rilettura efficace del contesto suburbano (Metropolitana // Hotel // Cinema).

NO. Cazzo no. Mi sembra una strada senza uscita. Non riesco a uscire da questo posto, da queste pagine. Non ricordo quanti tentativi ho fatto, ma ognuno si infrange contro il muro di follia che mi imprigiona nel Luogo Oscuro. 

Devo scrivere ma non so cosa. Non posso continuare con Alex Casey, è figlio di un tempo che non c’è più. Progenie di una New York dai contorni nero-notte, a tratti quasi disegnata. Basta con la sua voce roca, con gli antidolorifici inghiottiti come fossero caramelle, basta con il suo dolore. 

L’idea mi è venuta pensando a Thomas Zane. Tom. Lui è passato dalle poesie al cinema, perché io non posso passare dai romanzi ai videogame? Del resto sono la forma di racconto più adatta a questo nuovo secolo, fatto di interazioni, di singolarità. 

È una suggestione spericolata, ma se ci fosse un videogioco che parla del Luogo Oscuro? Un videogioco che parla di me? E se qualcuno, mentre gioca, capisse come rompere le catene perverse che mi legano a questo posto? Potrebbe essere qualcuno che deve scrivere un testo sul gioco stesso. Un saggio? Un’analisi? Potrebbe essere un giornalista content creator? 

Mi pareva una buona idea. Valeva la pena tentare. Ma alla fine mi sono perso. Credo che sarebbe più stimolante se in un gioco di specchi il prodotto potesse in qualche modo parlare dell’arte e del processo creativo. Raccontare di come la parola cambia il mondo, di come la fantasia lo genera e lo influenza. E cosa ne deve sapere mai, un giornalista content creator, di una roba del genere?

E se invece cambiassi prospettiva? Se il protagonista del romanzo che racconta il mio ritorno fosse un creativo? Chissà…

II RETURN - Draft #665

“Non so più dove sbattere la testa”, pensava, di fronte alla bacheca affollata di post-it e concept art. “Come possono coesistere due linguaggi così diversi come quello del cinema e quello del videogioco? Ci abbiamo già provato ed è andata male, infilando a forza quella serie live action tra un capitolo e l’altro di Quantum Break. Mamma mia che disastro... e pensare che all’epoca avevamo persino provato a cambiare un po’ il paradigma degli sparatutto, giocando con l’alterazione dei tempi e degli spazi. E tutti si sono concentrati sulla serie. Chissà perché Sam continua a voler puntare su questa folle ibridazione”. 

Decise di allontanarsi dalla scrivania e fare qualche passo per rinfrescarsi le idee. La luce filtrava dai finestroni dell’ufficio e illuminava gli ampi spazi comuni, in quello studio così squisitamente… nordico che sembrava quasi stereotipato, come se fosse descritto dalla penna di un autore con poca fantasia. Tavoloni color noce, soffitti con tubi a vista per un tocco un po’ industrial, inserti in legno e sale riunioni con grandi vetrate insonorizzate.Si diresse verso la macchinetta del caffè e prese una tazza. Sopra c’era scritto “Oh Deer Diner”. Era il ristorante di paese che avevano usato in un paio dei loro giochi. Sam andava matto per queste operazioni, sembrava in qualche modo voler mescolare la realtà alla fantasia, creare un intreccio fra il mondo finzionale e quello vero. Buona parte della sua operazione poetica si era proprio votata – almeno negli ultimi anni – a rendere questo confine sempre più labile: le sue sceneggiature raccontavano di come l’arte possa influenzare il mondo, di quanto una responsabilità così grande possa pesare sugli autori.

Inseguendo questi suoi affascinanti colpi di testa Sam era pure riuscito, nel gioco che stavano sviluppando – Alan Wake II – a trovare una giustificazione narrativa al fatto che fossero passati tredici anni dal lancio del primo episodio. Si vociferava – e lui aveva visto di straforo una lavagna piena di appunti – che Sam stesse persino orchestrando un grande disegno per ricondurre tutti i personaggi che avesse mai ideato, da Max Payne a Jack Joyce, in quello che ormai il pubblico chiamava Remedy Connected Universe. Molti, nello studio, si chiedevano come sarebbe stato possibile.
Attese che la macchinetta riempisse la tazza e tornò verso la postazione. Era così immerso nei suoi pensieri che proprio non si accorse di Thomas Phua, che stava uscendo a passo veloce dal suo cubicolo, e gli finì contro. Lo urtò con forza. Vide la tazza scivolargli dalle mani, volare in aria tra mille schizzi di caffè, cadere con una parabola che sembrava interminabile, rimbalzare sulle dita di Thomas che provava ad afferrarla al volo e infrangersi in mille pezzi sul parquet. 

E allora capì: di fronte alla distesa disorganica di tutti quei frammenti, capì come sarebbe stato possibile infilare ore e ore di contenuti live action, per un minutaggio capace di superare abbondantemente quello di un film, in Alan Wake II. Sarebbe bastato spaccarli, renderli puntiformi, spalmarli più o meno uniformemente lungo tutta l’avventura. Ora dei buffi spot pubblicitari di una bislacca impresa locale, ora le inquietanti puntate di un reality show che insegue le suggestioni di Re per una Notte. Ora i monologhi hard-boiled di un poliziotto in crisi, manifestati come profetiche visioni in doppia esposizione, visualizzati a schermo mentre il giocatore conserva il controllo. L’idea gli sarebbe di sicuro valsa un aumento. 

E mentre Thomas correva a infilare le mani ustionate dal caffè sotto un getto d’acqua fredda, lui vedeva tutto questo ancora di più. Vedeva un musical scomposto – anzi, decostruito – da vivere giocando: come Il Labirinto del Posacenere, oltre Il Labirinto del Posacenere. Vedeva le suggestioni seminate dallo studio nel corso degli anni germogliare finalmente, per trasformarsi in qualcosa di più: un’espressione di stile, un linguaggio, che potesse essere il fondamento su cui edificare il futuro del team. 

In quel momento, improvvisamente, si spense la luce.

Chi ha spento la luce? Scratch? SCRATCH!

FEDERAL BUREAU OF CONTROL

--RISERVATO--

RICERCHE SULL'EVENTO ALTERATO "SECONDO ROUND"
(AWE-59)

RESOCONTO:

Interpretato erroneamente come una manifestazione di Soglia, l’evento è riconducibile ad un’increspatura tardiva del caso di Bright Falls (AWE-35). 

Nel tentativo di sfuggire al Luogo Oscuro, il parautilitario Alan Wake ha esteso fuori misura i confini di quella che egli stesso definisce “la Storia”. Persone, luoghi, oggetti ed edifici citati all’interno del racconto vengono irrimediabilmente alterati dimostrando la tendenza ad adattarsi alle contorte fantasie del parautilitario.

Le entità coinvolte nell’evento Secondo Round comprendono – ma non si limitano a: un duo di content creator generalmente impegnati nell’ambito dell’intrattenimento digitale; diverse migliaia di spettatori inconsapevoli; una casa di sviluppo finlandese. Nei locali di quest’ultima si sono registrati strani fenomeni di chiaroveggenza in alcuni dipendenti, oltre ad un numero record di tazze infrante e caffè rovesciati (54 in 6 settimane). Per qualche motivo non ancora delineato l’autore della Storia sembra avere una morbosa attenzione per il caffè (soprattutto se preparato tramite percolazione).

Nel caso dei due content creator, l’Evento Alterato ha agito sulle competenze critiche, analitiche e produttive della coppia, con particolare effetto sulla capacità di intercettare le richieste del pubblico, ridotta ai minimi termini dopo l’inclusione nella Storia. La produzione scritta del duo ha cominciato a farsi disorganica, frammentata, concentrata esclusivamente su aspetti formali e/o estetici.

Il pubblico lamenta la mancata trattazione di aspetti focali delle produzioni analizzate. Le richieste dei lettori sembrano apparentemente tutte legittime e lucide; in particolare è stato chiesto: 

  • Un approfondimento sulle meccaniche di gioco dell’ultimo prodotto analizzato, all’apparenza non del tutto brillanti
  • Una disamina (sic!) tecnica centrata sull’ottimizzazione del software
  • Un’analisi minuziosa sul carattere delle attività secondarie e opzionali, apparentemente caratterizzanti ma forse ripetitive, in associazione ad un commento sul backtracking (sic!
  • Un esame oggettivo (sic!), imparziale, equanime sul bilanciamento a tutto tondo del prodotto, sul perché gli si perdonano certe oscillazioni qualitative, sull’efficacia dello stile, sull’importanza dell’originalità 
  • Una valutazione numerica riassuntiva, possibilmente declinata in vari ambiti (“longevità, gameplay, grafica, sonoro”), o perlomeno “uno specchietto riepilogativo che elenchi pro e contro” (sic!)

Un’analisi attenta delle suddette richieste testimonia alterazioni percettive nell’utenza coinvolta, apparentemente intrappolata in una bolla fatta di articoli identici, sovrapponibili, spersonalizzati, e incline all’utilizzo di un gergo tecnico completamente scorrelato dalla realtà e probabilmente forgiato all’interno della stessa Storia.

Tutte le anomalie dovrebbero risolversi una volta confinato il parautilitario e l’Oggetto del Potere che brandisce (Clicker: OOP35-KE). 

Fare riferimento al fascicolo 5-41-7533 e alla registrazione annessa per il rapporto completo.

FEDERAL BUREAU OF CONTROL

–AVVISO ALL’UTENZA–

A seguito di ripetuti esami strumentali da parte del dipartimento delle comunicazioni è stata riscontrata una forte anomalia negli utenti che hanno eseguito l’accesso tramite smartphone. Come evidenziato dai fascicoli 5-28/6-334899 e 7-28-2906/5, l’utilizzo degli smartphone è risultato lesivo nei confronti dell’incoscio collettivo. Pertanto l’accesso al file qui archiviato è stato vietato categoricamente a chiunque tenti di consultarlo lontano da un desktop.

Si consiglia un’attenta lettura del dossier solamente da un computer per evitare che l’anomalia possa contagiare l’utenza penetrando dal canale oculare.

Fare riferimento al fascicolo ROUND FINALE//2820-12 per il rapporto completo.

Pubblicato il: 26/10/2023

Provato su: PlayStation 5

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38 commenti

Ho scoperto RoundTwo da relativamente poco e questa è la prima recensione che leggo su FinalRound. Ho adorato Alan Wake 2, pur comprendendone i diversi difetti, e leggere questa recensione è stato quasi come percepire nuovamente quelle emozioni e q …Altro... Ho scoperto RoundTwo da relativamente poco e questa è la prima recensione che leggo su FinalRound. Ho adorato Alan Wake 2, pur comprendendone i diversi difetti, e leggere questa recensione è stato quasi come percepire nuovamente quelle emozioni e quel giudizio (positivo e negativo) che il gioco mi ha trasmesso in entrambe le partite. Penso che la recensione meta-narrativa su più piani possa "semplificare" completamente la genialità e la bellezza dell'opera.

Questa recensione è tra le mie preferite, geniale.

Sono venuto a leggere subito dopo avere finito il gioco! Un grande ringraziamento per il divertimento e l'interesse comunicati!

Articolo particolare, apprezzo l’inventiva anche se personalmente forse un po’ too much 👀
Mi ha fatto sorridere però tornandoci da mobile, dove non si può leggere, non so se per motivi di impaginazione o solo per sorprendere, comunque una c …Altro...
Articolo particolare, apprezzo l’inventiva anche se personalmente forse un po’ too much 👀
Mi ha fatto sorridere però tornandoci da mobile, dove non si può leggere, non so se per motivi di impaginazione o solo per sorprendere, comunque una cosa simpatica

Avrei una domanda: oramai il temine deconstruire sembra essere un po’ abusato, e nel cercare di comprenderlo vorrei chiederti cosa intendi quando lo usi parlando della sequenza musical del gioco

Modus molto aderente all'esperienza che vuol raccontare. Un pezzo attento, accessibile, curioso e fuckin' piacevole!

Questo articolo è veramente incredibile, mi ha appassionato e non poco. Grande Fossa

Recensione memorabile! Grande! Adesso però voglio "Fossa: il musical".

bel gioco pur non essendo u5

Una recensione ai confini della realtà e un originalità di valore. Grazie Fossa.

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