PRINCE OF PERSIA
THE LOST CROWN
UN METROIDVANIA DA MILLE E UNA NOTTE
Come raccontavo nell’anteprima di qualche settimana fa, non ho mai fatto mistero di quanto Prince of Persia: The Lost Crown mi abbia istintivamente ispirato vibrazioni molto, molto positive. A maggior ragione dopo le prime tre ore di contatto diretto con il nuovo corso del Principe ideato nel 1989 da Jordan Mechner (a proposito, recuperatevi l’approfondimento su The Making of Karateka a cura di Francesco) mi ero fatto tutta una serie di aspettative piuttosto concrete su un progetto che vorrebbe evidentemente fungere da reboot in perfetto equilibrio fra tradizione e modernità di una saga sì storica ma al tempo stesso un po’ alla ricerca di una nuova identità. Ebbene, sappiate sin da subito che quelle stime – in realtà tutt’altro che timide o conservative – sono comunque state ampiamente scardinate da un videogioco alla prova dei fatti davvero eccellente, capace nelle sue venticinque ore di avventura di lasciare a più riprese a bocca aperta.
Partiamo ad ogni modo da una considerazione generale, che esprimo non senza un certo rimpianto: The Lost Crown è una produzione molto più spinta, corposa e ambiziosa di quanto Ubisoft non sia stata in grado di raccontare e soprattutto di far percepire al pubblico nel corso degli ultimi mesi. Non fatevi ingannare in questo senso né dalla prospettiva 2.5D – inspiegabilmente associata da un certo tipo di utenza a opere un po’ in tono minore o strettamente legate all’ambito indie, come se l'etichetta avesse un che di diminutivo – né dall'allettante prezzo budget di 49.99€: la sostanza nell’ultima fatica dello studio di Montpellier non solo non manca mai dall’inizio alla fine, in un pregevolissimo connubio fra quantità e qualità, ma è pure sostenuta da una presentazione di finissima fattura contraddistinta da strabilianti animazioni, da efficaci scelte registiche e addirittura da una trama assai meno banale del previsto. Il tutto alimentato da un ritmo martellante e da una progressione a dir poco coinvolgente, per un’esperienza che nella migliore tradizione del metroidvania si apre sempre di più offrendo via via abilità diverse, nuove soluzioni e stimoli continui. Insomma, un gran bel paradosso per una compagnia vittima di una comprovata crisi creativa, incapace di veicolare adeguatamente il valore di un prodotto coraggioso e ispirato, che testimonia ancora una volta il cristallino talento del team già responsabile di gemme quali Valiant Hearts o Rayman Legends.
Il ritorno sulle scene di Prince of Persia (serie rimasta per la cronaca in pausa da The Forgotten Sands, episodio pubblicato nel 2010 a due anni di distanza da un reboot controverso e poco incisivo...) coincide come anticipato con alcuni cambiamenti piuttosto significativi per il franchise, frutto di scelte di rottura che avvicinano questa incarnazione alle radici bidimensionali delle origini – e non è in effetti un caso che il progetto abbia ricevuto esplicite lodi da parte dello stesso Mechner. Una riguarda un elemento forse più di forma che di sostanza, ovvero il fatto che per la prima volta il protagonista non sia il canonico Principe bensì Sargon, un giovane guerriero dalle fattezze esotiche parte di un'inedita èlite di sette combattenti noti come gli Immortali. Il cambio di prospettiva è inconsueto, ma al tempo stesso curioso e appagante (se non addirittura un po' provocatorio, se si considera che il Principe formalmente ci sarebbe pure ma finisce per essere rapito come una Peach qualsiasi durante le primissime battute dell'avventura...). Un escamotage utile per ripartire da zero con una narrazione che da una parte si apre a un world building sfizioso, sorretto da un buon numero di documenti da leggere e approfondire, e dall'altra strizza compiaciutamente l'occhio verso il mondo degli anime e un certo tipo di esagerazioni ultra cinetiche, pensate per introdurre un'identità meno ingessata a un pubblico magari diverso dal solito.
Decisamente più impattante è invece l'idea di strutturare il gioco come un metroidvania, sottogenere di lungo corso esploso negli ultimi tempi grazie a reinterpretazioni moderne come Hollow Knight e Ori: l'impianto labirintico e non lineare nella progressione dimostra sin da subito di sposarsi a meraviglia con l'essenza stessa della saga, e grazie alla bravura fuori dal comune di Ubisoft Montpellier – al suo esordio con una formula simile – l'effetto è estasiante. In modo non dissimile da quanto avviene in Marvel's Spider-Man 2, spostarsi tra una stanza e l'altra dei molteplici biomi che compongono la colossale mappa rasenta l'autentico piacere, soprattutto dopo aver sbloccato abilità di movimento come il doppio salto o lo scatto aereo: la felina reattività di Sargon è pura goduria digitale, peraltro stimolata da un brillante level design che oltre a mettere in difficoltà quando serve puntualmente premia l'esplorazione di ogni anfratto con il giusto riconoscimento. Complicato stabilire cosa funzioni meglio in un connubio che si dimostra una sinfonia meravigliosa: le già menzionate sublimi animazioni danno un carattere e un gusto impagabili, così come eccellenti sono i controlli – e non potrebbe essere altrimenti visti certi passaggi di pura cattiveria alla Celeste, relegati per la maggior parte a qualche attività extra.
Impossibile non menzionare in quest'ottica anche due soluzioni di pura quality of life che mi auguro diventino lo standard nei futuri metroidvania. La prima è la facoltà di scegliere se optare per un'esplorazione più libera oppure una più guidata (feature selezionabile sia dall'inizio che attivabile a piacere in corso d'opera): un compromesso vincente, che permette di prendersi il meglio tanto per chi adora perdersi nei dedali tipici del genere quanto per chi invece preferisce essere condotto per mano. La seconda è invece un letterale colpo di genio a metà strada tra il “mai più senza” e il “ma perché nessuno non ci ha mai pensato prima?”, vale a dire la possibilità, con la pressione del tasto in basso sul d-pad, di scattare un'istantanea di una specifica schermata. Facendolo si genera un apposito segnalino a forma di occhio sulla mappa, creando così un promemoria visivo consultabile in qualsiasi istante per ricordarsi che ad esempio in una data stanza è ancora da recuperare un power-up accessibile solo dopo aver sbloccato il doppio salto, oppure un collezionabile al momento fuori portata: un trionfo di usabilità encomiabile, che migliora l'esperienza utente senza compromettere la natura comunque hardcore del prodotto.
Una consistente porzione dei poderosi meriti di The Lost Crown va comunque attribuita alla qualità tutt’altro che ordinaria del suo sistema di combattimento: anche in questo caso il paradigma del formidabile Ori and the Will of the Wisps sembra essere stato studiato da vicino dallo studio transalpino, detto che il bello del nuovo Prince of Persia sta proprio nel suo distinguersi senza assomigliare troppo pedissequamente ad altri. Forte dei suoi incrollabili 60fps, la nervosa fluidità fatta di scatti brucianti e parate da interiorizzare al meglio semplicemente funziona alla grandissima, regalando soddisfazioni istintive enfatizzate da effetti audiovisivi sempre sul pezzo. È tuttavia nelle sontuose boss fight (a proposito, fatevi un favore e giocatelo a difficile per massimizzare la vostra soddisfazione, anche se è da segnalare la possibilità di optare per una difficoltà custom settando tutta una serie di specifici parametri ad hoc...) che questo reboot dà il meglio di sé, lasciando in estasi di fronte a scontri incredibilmente spettacolari e sfaccettati contro nemici spesso e volentieri di taglia XL.
Il gameplay riprende con gusto elementi dagli action e addirittura da alcuni picchiaduro – su tutti certe sfumature “direzionali” degli attacchi tipiche di Smash Bros – ma è davvero lodevole anche il margine di libertà lasciato nelle mani dell'utente, visto l'incentivo a sperimentare fino a trovare il proprio stile di combattimento preferito grazie alla quantità di abilità speciali attive e passive associate ai tantissimi medaglioni da trovare ed equipaggiare, creandosi una piccola build personale. Un approccio creativo legato a doppio filo con la progressione del protagonista che vince e convince, denotando una profondità francamente inattesa.
Come insomma avrete capito arrivati a questo punto, c'è in definitiva ben poco da girarci attorno: The Lost Crown non è solo un Prince of Persia straordinario, capace di affermare all'istante un nuovo ed entusiasmante corso per la serie, ma anche uno dei migliori videogame pubblicati da Ubisoft da diversi anni a questa parte. Un gioiello cesellato in maniera minuziosa, in cui si salta e si combatte divinamente all'interno di un contesto affascinante e ben più rifinito di quel che ci si immagina. Anche se il 2024 è appena iniziato, ci troviamo già al cospetto di un credibilissimo candidato al titolo di possibile sorpresa dell'anno: lasciarselo sfuggire sarebbe un errore imperdonabile.
Pubblicato il: 11/01/2024
Provato su: Nintendo Switch
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