LORETTA
Il pendolo rivelatore
LORETTA
Il pendolo rivelatore
Viene da quelle maledette assi di legno. Lo sente, è fortissimo, e di certo devono udirlo anche quei poliziotti. Lo stanno prendendo in giro… è così evidente. Batte, batte, batte. È il cuore rivelatore, quello dell’omonimo racconto di Edgar Allan Poe: il protagonista (o la protagonista: non ci sono pronomi a svelarne il genere) è certo che il cuore del vecchio che ha ucciso stia continuando a palpitare rumorosamente, facendo un chiasso bestiale – tanto da convincerlo che anche i poliziotti venuti a investigare possano sentirlo.
Il potere del suono è spesso sottovalutato nell’arte. Siamo abituati a dare una preminenza assoluta alla visione, a ciò che i nostri occhi possono catturare e comunicarci. Ma i suoni sono ovunque, e possono darci indizi su ciò che si trova al di fuori del nostro campo visivo. Succede in Inside, quando le pulsazioni di un macchinario lontanissimo e misterioso si fanno sentire ben prima che il gioco ci ponga davanti un complesso dilemma: la necessità di passare su un ponte senza venire travolti dalla tremenda onda d’urto prodotta dalla macchina.
Gli sviluppatori di Loretta, però, sanno benissimo che musiche ed effetti sonori possono comunicare in maniera sottile, infilandosi sotto le unghie dei giocatori come un ago perverso, crudele.
Toc, toc, toc, toc. Loretta Lou Harris non sopporta quello stupido orologio a pendolo all’ingresso di casa. Se si può chiamare “casa”: è ormai poco più di una catapecchia abbandonata. Apparteneva ai genitori di suo marito, Walter, scrittore di romanzi gialli di successo. Si sono trasferiti lì da poco, in mezzo alle odiose campagne del Sud degli Stati Uniti d’America. A Loretta manca tanto il loro splendido appartamento a New York, la sua vita di città, le comodità, e quel bel tostapane per rendere deliziosa la colazione.
Poi arriva un tizio. Dice di essere un detective privato. Cerca Walter. Ma Walter non c’è, risponde Loretta, è scomparso da qualche settimana. Non si è più fatto vivo. L’investigatore ha caldo: è stato un lungo viaggio in auto, quello da New York fino a questo posto dimenticato da Dio. Loretta gli porge un bicchier d’acqua e gli mostra l’appezzamento di terreno che circonda la casa, coltivato a grano.
Poi gli sfonda il cranio con un colpo di vanga.
La mia Loretta è stata spietata per tutte e tre le ore che sono state necessarie per completare la sua truculenta parabola di furia e di vendetta. Avrebbe potuto non essere così: il videogioco di Yakov Butuzoff ha ben cinque finali diversi e offre numerose variazioni nel percorso di questa casalinga che si trasforma in un'assassina priva di scrupoli. Non mancano alcuni cliché legati alla costruzione della protagonista femminile attraverso storie di trauma, è vero, ma la storia di Loretta resta in testa grazie alla sua integrazione con le meccaniche di scoperta e recupero di oggetti come lettere, manoscritti e armi, tutti parte di una trama noir che tocca vite diverse, contaminate dagli orrori di alcool, solitudine, sessismo, classismo. Sullo sfondo c’è l’America del secondo dopoguerra. Siamo nel 1947.
Ho interpretato il personaggio di Loretta prendendo puntualmente la strada più atroce. Dopo una vita da casalinga oppressa, ho voluto offrire a Loretta Lou Harris la possibilità di essere completamente sbagliata secondo ogni paradigma morale comunemente accettato. La mia Loretta è affamata di sangue, vendetta e sesso; ricattatrice spietata e cinica calcolatrice, non si getta mai in una discussione senza un’arma da taglio a portata di mano; tenta in ogni modo di ricavarsi un destino migliore rispetto a quello che la sorte le aveva riservato: un destino che la possa allontanare dal focolare domestico, da Walter, da quella stupida campagna dove tutti bevono come disperati per dimenticare il senso d’oppressione e di solitudine.
Non ho problemi particolari nel giocare esperienze horror, ma ho dovuto interrompere in fretta e furia la mia seconda sessione di gioco. Era sera, ero sola in casa, e il sound design di Loretta mi metteva i brividi. Fino a quando non è diventato troppo da sopportare: ho dovuto spegnere la Nintendo Switch e mi sono girata verso i miei gattini per trovare conforto. Erano morbidi e affettuosi, come sempre. Mi sentivo piena di orrore al pensiero delle violenze che avevano portato la mia Loretta a diventare una portatrice di morte e distruzione.
La componente di scrittura è centrale in Loretta, che si rivela ben presto un’avventura grafica in cui le scelte d’azione (e di dialogo) dei giocatori rivestono un ruolo del tutto preminente. Decisamente miseri, invece, i puzzle, poco più di schermate di caricamento interattive che solo in alcuni casi riescono ad aggiungere qualcosa alla costruzione del personaggio di Loretta. Sono le conversazioni a permetterci di entrare in risonanza emotiva con la protagonista: i suoi scambi col marito sono emblematici per mettere a nudo quell’odio che – paradossalmente – trova spazio per svilupparsi solo quando la distanza si annulla, quando i rapporti umani diventano non una liberazione, ma una prigione, quando il pezzo d’insalata incastrato tra i denti del proprio compagno non genera una risata, ma un senso di repulsione mista a disagio.
Il pendolo e il suo suono tormentano Loretta fin nella camera da letto, parte di un’ambientazione che manifesta forse in maniera fin troppo chiara e palmare il legame sfilacciato e malato dei coniugi Harris. Accanto agli spazi reali ci sono quelli dei sogni di Loretta, variabili a seconda delle scelte che compiremo per lei, tutti accomunati da un senso di incubo, di oppressione, di ineluttabile sciagura. Lo scrittore statunitense Philip K. Dick aveva creato una parola, “kipple”, per descrivere quelle metastasi di oggetti, polvere e sporcizia che avevano preso possesso degli appartamenti abbandonati della San Francisco distopica di Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, il romanzo da cui fu tratto Blade Runner. Ecco, Loretta attraversa in continuazione ambienti fatti di “kipple” (termine reso come “palta” dai traduttori italiani di Dick): luoghi in cui si sono accumulati ricordi e rimpianti, fino a quando sono diventati cancrene dell’anima.
Yakov Butuzoff mette in bocca a uno dei personaggi una citazione de Il terzo uomo, film del 1949. Nella pellicola, la frase è pronunciata da Orson Welles: “Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent'anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù”. Loretta non ama affatto gli orologi. E ora, se non vi spiace, vado a zittire quel maledetto pendolo.
Lo sentite anche voi, vero?
Pubblicato il: 11/04/2024
Provato su: Nintendo Switch
Il tuo supporto serve per fare in modo che il sito resti senza pubblicità e garantisca un compenso etico ai collaboratori
FinalRound.it © 2022
RoundTwo S.r.l. Partita Iva: 03905980128