PAPER MARIO: IL PORTALE MILLENARIO
Se vi hanno detto che basta crederci, che mettendocela tutta ogni risultato è possibile, vi hanno mentito. Forse è stato un film scritto con il pilota automatico, o un manuale motivazionale assemblato da un’IA sprovveduta o ancora un video su TikTok di un tizio dall’altra parte del mondo, ma vi hanno comunque mentito. Il GameCube ci credeva e ha fatto davvero tutto quello che poteva e anche qualcosa di più (nonostante l’E3 del 2003, va bene), eppure il risultato è stato inappellabile: è stata la console da salotto quella con la percentuale di mercato più risicata della storia di Nintendo ed è servito l’esperimento in laboratorio di Wii U per fare peggio.
Ci furono un paio di anni in cui il GameCube si trasformò in un rompicapo irrisolvibile per Nintendo. Tra il 2003 e il 2005 vennero pubblicati videogiochi di livello estremamente elevato, spesso da Nintendo stessa ma con alcune sorprendenti eccezioni, senza che questo spostasse di un millimetro i pesi sulla bilancia del mercato mondiale dei videogiochi. Stava succedendo di nuovo: anche PlayStation 2 frustrava i tentativi della concorrenza di tenere la testa fuori dall’acqua, molto prima di ambire a prendere il controllo del settore, come già aveva fatto PlayStation.
Delle annate d’oro del GameCube fece parte anche Paper Mario: Il Portale Millennario (2004), seguito più o meno diretto di Paper Mario per Nintendo 64 (2000), a sua volta il laborioso (ma infine riuscito) tentativo di riprendere il filo di Super Mario RPG (1996), abbandonato dal Gran Divorzio tra Squaresoft e Nintendo.
Paper Mario: Il Portale Millennario, meglio noto come Paper Mario RPG in Giappone, mantenne intatta la struttura di gioco e l’idea estetica del titolo per il Nintendo 64, caricando più che poté sul peso del party e quindi mettendo Mario al centro di un cast di comprimari che non solo non ne diluirono il luccicante nero dei baffi, ma anzi rafforzarono l’idea giocosa di super eroe che Nintendo aveva iniziato da qualche tempo a cucire addosso all’ex idraulico. Paper Mario: Il Portale Millennario venne salutato dalla critica di settore come un degno seguito di un gran bel gioco e uno tra i tanti motivi per mettersi in casa il GameCube.
Tra il gamedisc che nel 2004 venne infilato in centinaia di migliaia di GameCube e la scheda che va a incastrarsi nello slot dello Switch oggi, ci si sono messi di mezzo vent’anni passati molto velocemente. Lo stacco è quasi lo stesso che c’era, nel 2004, con Super Mario Bros. (1985), ma l’accelerazione dei videogiochi di questi due ultimi decenni non è stata tanto brutale quanto quella dei vent’anni prima, anzi. Anche per questo il “nuovo” gioco di Nintendo può essere confuso per un debuttante, senza che sia servito poi troppo trucco per coprire i segni del tempo.
Questa riedizione di Paper Mario: Il Portale Millennario fa quello che tenta di fare una larga parte delle riedizioni, indipendentemente dal fatto che venga bollata come remake o remaster: illudere che nulla sia cambiato e che questo sia esattamente il gioco che ci si ricorda. Invece no, ovviamente no. Il gioco è un GdR con le sue regole, più caratteristiche che complicate, e al di là di un paio di interventi è rimasto inalterato nella struttura (cartonata). E anche il vestito che gli viene calato addosso pare proprio quello di un tempo, ma ha guadagnato l’alta definizione e una tirata a lucido che rende tutto più brillante. In senso letterale: molte delle superfici su cui cammina la banda di Gonzalez Mario luccicano come se venissero lavate a ogni cambio scena. Alla fine il Paper Mario: Il Portale Millennario del 2024 realizza i sogni della sua versione originale e così facendo diventa uno dei giochi più appaganti alla vista dell’intera libreria dello Switch. Con buona pace di quei vent’anni.
Che Paper Mario: Il Portale Millennario sia uno spettacolo per gli occhi è importante, controller alla mano, perché è anche questo che dà corpo all’idea di un grande viaggio (da alcune decine di ore). Il gioco è suddiviso in sette capitoli e in ciascuno capita di fare all’incirca le stesse cose ma non nello stesso modo, in ambienti completamente differenti e con nuove spalle che vanno costantemente ad allungare il codone di fan dell’eroe. L’immancabile villaggio in mezzo alle verdi colline abitato da Toad e Koopa non manca, è praticamente un omaggio dovuto in tutto ciò che porta il marchio di Mario, ma il primo ambiente di gioco, che è poi quello in cui si torna più spesso, non ha nulla di tradizionale.
È Fannullopoli, una cittadina portuale malmessa, piena di gente poco raccomandabile, cartacce e mattoni. Ma anche di tubi, una ferrovia, un bel molo e un’area da cui prende il volo un dirigibile. Sono i mezzi che Mario, Goombella, Madama Spirù e tutti gli altri della cumpa utilizzano per arrivare ben oltre il classico livello nel deserto e quello nella neve.
Ho salvato circa 200 immagini di Paper Mario: Il Portale Millennario nella scheda di memoria dentro il mio Switch Oled e alcune dovreste trovarle anche qua attorno. Le ho scattate dentro un’immensa quercia dai riflessi cyberpunk, negli spogliatoi di un palazzetto dello sport che puzzava di Goomba sudato, tra le ombre di un villaggio maledetto, su una carrozza ristorante rimasta senza stufato o tra la neve e il fango di una cittadina dalla vaga ispirazione sovietica (la peraltro amabile Bomburgo). L’ho fatto mentre gestivo la coppia di combattenti, perché in battaglia non si può mai essere più di due e uno è sempre e comunque Mario, un limite che c’è, ma di cui ci si scorda velocemente. Il compagno può essere sostituito in qualsiasi momento e fuori dagli scontri diventa un modo per assegnare nuove abilità.
Koopaldo viene spremuto dentro il suo carapace e lanciato a raccogliere oggetti o ad attivare interruttori a distanza, l’ampia capacità polmonare di Madame Spirù può soffiare via strati di carta che coprono dei passaggi, Ombretta lo nasconde tra le ombre salvandolo da ostacoli e nemici, in groppa a Badoglio ci si avvantaggia del suo classico salto fluttuante per… ah, sì, c’è un piccolo Yoshi a cui si può affibbiare il nome che si preferisce.
Paper Mario: Il Portale Millennario, comunque, non risplende solo nelle ambientazioni, ma anche nelle inquadrature, nell’espressività esagerata di tutti i suoi protagonisti e co-protagonisti, così come nelle trovate con cui sorregge l’illusione che, lì dentro, sia davvero tutto fatto di carta. È un giochetto che non prende in contropiede come venti o più anni fa, perché intanto la serie è andata avanti e sono stati a dozzine i giochi (anche di altri editori e sviluppatori) a riproporre l’idea. Ma l’eleganza con cui Nintendo l’ha sfruttata nel Portale Millennario è rara e ancora oggi godibilissima, ancor più se non si ha dimestichezza con la serie o anche solo con il gioco originale.
Rispettoso del suo ruolo da capsula del tempo, questo Paper Mario propone un impianto di gioco efficiente ma per ovvi motivi limitato. La parola chiave, in questo caso, è “equilibrio”, che è poi quello che riesce a trovare il gioco. Se messo a diretto confronto con Paper Mario: The Origami King (2020), poi, esce addirittura vincitore e con distacco. Il sistema di combattimento punta ancora molto sulla reattività di chi sta giocando, con tanti comandi da premere a tempo sia in fase di attacco che di difesa durante le battaglie a turni, ma può contare su una ricca dimensione strategica. Sono soprattutto le tessere ad aggiungere qualcosa in più a un gioco orgogliosamente (e fintamente) piatto come un foglio di carta colorata. Le tessere sono in sostanza dei modificatori che aggiungono o cambiano regole e attacchi, risorse e mezzi per destreggiarsi tra le ondate di nemici (sempre visibili su schermo, come andava forte dire nel 2004).
Giostrando le tessere si elabora il proprio equipaggiamento ideale, quello che da qualche parti oggi potrebbe addirittura essere chiamato “loadout”. Nella mia partita (la prima con il gioco, che nel 2004 avevo solo sorvolato) ho dato la priorità alle tessere: a ogni passaggio di livello di esperienza, quando mi è stato chiesto se avere più punti vita, più punti fiore (sono i punti magici di Paper Mario) o punti tessera (per attivarne altre), ho scelto spesso questi ultimi. È un vero peccato che in linea generale i boss del gioco non offrano grande resistenza e che sia più facile trovarsi in difficoltà con alcune sequenze di maledetti tizi generici, io odio quelli con gli spuntoni. Ma quando succede che le cose si mettano male, ha sempre senso fermarsi e riguardare per bene quali tessere siano attive e se siano quelle più adatte alla situazione.
Il ritmo delle battaglie è piacevole e il ventaglio di opzioni a disposizione non diventa mai opprimente. Oltre ai classici attacchi diretti di Mario (attraverso il martello dell’epoca di Donkey Kong o un salto in testa più tradizionale) ci sono quelli dei compagni, che sono più specializzati e adatti a situazioni più specifiche. Va curata anche ciò che ci si porta nella borsa, sotto forma di oggetti ricostituenti, di offesa o difesa, essenziali nell’ultimo terzo di gioco. Capire quando passare la mano per difendersi o caricare un colpo che richiede più di un turno è essenziale tanto quanto conoscere e anticipare le mosse del bestiario nemico.
Qualche volta il gioco diretto in origine da Ryota Kawade (segnalo che Nintendo ha escluso dai riconoscimenti gli autori originali, di nuovo) si ingolfa. I punti esperienza distribuiti non sono sempre coerenti con le situazioni affrontate, il passaggio di livello dei compagni è limitato a uno solo e il gioco mette a disposizione una grande quantità di punti per assicurarsi che succeda (anche troppi), tra i poteri speciali da usare in battaglia alcuni sono fin troppo simili tra di loro e quelli offensivi si concentrano esageratamente sul gruppo dei nemici invece che sul singolo, mentre la natura degli attacchi e delle difese di alcuni nemici è un po’ confusa.
Per essere una riedizione, questa versione non include purtroppo nessun bonus e approfondimento degno di nota. Gli interventi sul gioco si fermano a un accesso più veloce alle aree già visitate e a una “ruota” dei compagni per passare velocemente da uno all’altro. Si può scegliere in qualsiasi momento se passare alla colonna sonora originale grazie a una tessera, ma non ne ho trovata una che faccia lo stesso con la grafica. Esiste una nuova raccolta di illustrazioni, che però si barrica dietro l’insopportabile abitudine a chiedere che si sia completato al 100% questo o quello. Come da pessima tradizione di Nintendo, insomma, gli extra sono pochi e in ultimo piano.
Ma ad aiutare a tenere insieme tutto quanto, anche quello che funziona meno bene (e non è molto), c’è un’intelaiatura narrativa che pur fermandosi a una certa distanza da I fratelli Karamazov, ha una sua dignità perfettamente adeguata al contesto. Ci sono momenti ironici, tanti, ma anche qualche passaggio che ammorbidisce il cuore, ci sono sentimenti forti, alcuni addii, molte citazioni dal coscritto Super Mario Sunshine (2002, a proposito di capsula del tempo) e anche le promesse di un triplo piano narrativo lanciate da alcune sezioni in cui si prende il controllo di Peach o di Bowser. Che però, poi, rimangono più degli intermezzi che altro. La storia va comunque avanti e tutti trovano un loro posto, fino all’esaltante (o irritante, se mal preparato) scontro che chiude il gioco. Anche quello è allestito sul palco di un teatro, come tutti gli altri di Paper Mario: Il portale millennario, perché ci sono svariate sovrastrutture che tirano in ballo il pubblico e il loro gradimento che contribuisce, tra le altre cose, ad attivare gli attacchi e le difese più efficaci in assoluto. E che ci ricorda che è tutto un gioco. Non che servisse, perché in pochi sanno esaltare il videogioco classico (nell’accezione estetica e del tono, perlomeno) come sa fare Nintendo e questo graditissimo ritorno del miglior Paper Mario di sempre lo certifica una volta di più. Un bel modo per accompagnare lo Switch sul viale del tramonto (che non si percorre a piedi nudi, ma con degli stivali potenziati di terzo livello).
Pubblicato il: 21/05/2024
Provato su: Nintendo Switch
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