STAR WARS

OUTLAWS

- RECENSIONE -

Dei jedi non mi importa nulla. Non mi va nemmeno più di andare a vedere se si debba usare la maiuscola o meno, per riferirsi a quella gente. Per accorgermene c’è voluto Star Wars Outlaws, che ai Jedi o alle spade laser non riserva nemmeno una mezza citazione. C’è un po’ di forza, a un certo punto, ma finisce lì e comunque non scorre affatto in Kay Vess, la protagonista del gioco (interpretata da Humberly González). A voler essere proprio onesto, non posso effettivamente escludere che ci siano dei riferimenti ai jedi in Star Wars Outlaws: potrebbero essere citati nel testo di un datapad lasciato incustodito o comparire all’improvviso in un dialogo tra due avventori di una taverna, uno di quelli cui Kay può “attingere” per rimpolpare il suo bagaglio di informazioni più o meno utili. Se quelli sono maestri della forza, Vess è tutto al più una luminare dell’origliare. Ma va così, quando devi mettere assieme il pranzo con la cena improvvisando nel quartiere operaio di Canto Blight, la Las Vegas dell’orlo esterno.

Con Star Wars Outlaws Ubisoft Massive (The Division) ha promesso un’avventura a mondo aperto alle prese con le tribolazioni di una canaglia. Il vocabolario adottato è quello della Principessa Leila, che così apostrofa Han Solo in L’impero colpisce ancora (1980), il secondo film della saga di George Lucas. Di ideali luminosi non ce ne sono, nelle giornate di Kay Vess. I grandi discorsi motivazionali si fanno attendere un bel po’ e poi, comunque, finiscono per essere tenuti a freno da una scrittura asciutta ed efficace (anche nella più che buona la traduzione in italiano). Questo è lo Star Wars degli altri, delle comparse, di quelli che riempivano la pluri-citata scena della taverna su Tatooine.

Quella promessa, Ubisoft, l’ha mantenuta. Star Wars Outlaws è una grande raccolta di avventure scritte per un cast azzeccato e in cui i tanti limiti di alcuni dei suoi sistemi di gioco non riescono a sabotare l’esperienza generale. Sotto la guida del Creative Director Julian Gerighty, Star Wars Outlaws si muove inizialmente a fatica e poi sempre più convinto dei suoi mezzi, a cui le ore di gioco che si accumulano regalano più varietà e profondità. Dentro il gioco c’è, a tutti gli effetti, un gran bel pezzo dell’universo di Star Wars: ci sono le razze, i pianeti e l’Impero. C’è tutta una gamma di volti e di lingue che trascina irrimediabilmente verso altre dimensioni e altre vite, in un eccellente performance di escapismo che risulta molto più godibile della parola stessa (escapismo, intendo). 

Le promesse del banco del casinò di Canto Blight sono solo il primo movimento che fa scattare l’intero meccanismo, ma poi le giornate vengono spese tra le praterie di Toshara, il pianeta creato per l’occasione da Ubisoft Massive e Lucasfilm Games, e la città di Mirogana, scavata all’interno di una delle sue montagne. Il vento spazza continuamente e con brutalità Toshara. Molti dei suoi segreti vanno indagati a bordo dello speeder che Kay può richiamare in qualsiasi momento, perlomeno fintanto che il gioco lo consente (a volte decide che non si può fare, in una dimostrazione di rigidità che non fa bene ad Outlaws). Lo speeder può essere potenziato attraverso “ingredienti” da raccogliere in giro per il mondo di gioco, inclusi elementi essenziali che vengono indicati da un personaggio specifico, uno “specialista” nel gergo del gioco, che una volta avvicinato spalanca un nuovo catalogo di abilità collegate anche, ma non solo, allo speeder. Molte di queste possibilità non sono essenziali per procedere nella missione principale di Kay, che da ladra si ritrova a dover reclutare una banda per il colpo della vita.

Siamo, insomma, di fronte a un’interpretazione per molti versi classica e conservatrice del videogioco a mondo aperto. Quella in cui la mappa si riempie di possibilità e chi ha il controller in mano decide in che modo vivere il suo racconto, spostando l’attenzione ora alla storia e ora alla chincaglieria che la circonda. È questa aderenza a uno schema tanto sfruttato e di cui sono evidenti i confini e le limitazioni, ad aver reso più freddo e diffidente il mio primo rapporto con Star Wars Outlaws. La maggioranza di ciò che si fa, può essere fatto in maniera più approfondita e soddisfacente altrove. Ma questo, come appena detto, è un prezzo che non paga per primo il gioco di Ubisoft Massive e che per tanti motivi è determinato dall’idea stessa di un gioco in cui si devono poter fare molte cose. La quantità tende a diluire la qualità ed è un rapporto che forse non ha senso alterare (perché sistemi di gioco troppo esigenti rischiano di togliere equilibrio al tutto), ma di sicuro Star Wars Outlaws nemmeno si dimostra interessato a farlo.  

Qualcosa da studiare, comunque, c’è. Quello che vale per lo speeder, vale anche per la Trailblazer, la nave di Vess con cui ci si muove liberamente tra i pianeti. E vale anche per gli strumenti con cui scassina le serrature di porte e casse piene di crediti o materiale da rivendere. Ma vale anche per il suo blaster e per i movimenti furtivi o le granate. C’è uno specialista per tutto ed è questo il modo scelto per stravolgere il classico sistema basato sui punti esperienza e l’albero delle abilità. Qui non ci sono i primi e non c’è neanche il secondo, le abilità si sbloccano raggiungendo degli obiettivi precisi. Così se si sfrutta al massimo la Scarica d’adrenalina di Vess (mirando in slo-mo ed eliminando con un solo colpo i nemici), si vedrà espanso il numero di obiettivi che si potranno mettere in sequenza nel mirino da lì in avanti.

Sparare non è comunque l’arte per cui è più portata la canaglia di Canto Blight, addestrata fin dalla più tenera età ad agire senza farsi vedere. Star Wars Outlaws è allora un gioco di infiltrazione? Sì, spesso lo è. Introdursi in una struttura imperiale senza che qualcuno dia l’allarme, pena il fallimento istantaneo della missione, è una richiesta che viene fatta con frequenza. Anche in questo caso l’infrastruttura che sorregge queste dinamiche non è ideale: l’intelligenza artificiale dei nemici è altalenante, per quanto sempre tarata verso il basso, e inizialmente si ha la sensazione di non avere sufficienti mezzi e possibilità di studio della situazione. Poi, come per il resto del gioco, Outlaws trova una sua quadra. C’entra forse l’esperienza che accumula chi sta giocando, che inizia a capire quali sono gli elementi cardine di ogni infiltrazione, a riconoscere i ruoli dei nemici e che, soprattutto, può vedere espandersi in maniera significativa le proprie abilità di infiltrazione, di combattimento con le armi e, anche, quelle di Nix

Nix è il perfetto sidekick di Kay Vess: se avete apprezzato Stitch del film Lilo & Stitch di Disney, partite con un certo vantaggio. Nix ha le dimensioni di un cane di piccola taglia, dei tentacoli sulla testa, due begli occhioni e una bocca piena di denti. Ma soprattutto, Nix e Kay si capiscono e il primo risponde a ogni richiesta della seconda. Solo affidandosi regolarmente e con la necessaria dose di strategia a Nix, si può ottenere il meglio dalle fasi di infiltrazione di Star Wars Outlaws. La creaturina non può eliminare nessun nemico di per sé, ma nemmeno essere abbattuta dal fuoco ostile (e sì che si può accarezzare, si può accarezzare quasi tutta la roba pelosa in Star Wars Outlaws). Quello che può fare è rubare, raccogliere e portare oggetti preziosi, interagire con pulsanti e leve o distrarre qualcuno giusto il tempo utile a Vess per passargli alle spalle e stordirlo con un colpo secco. Le animazioni e il feeling degli scontri corpo a corpo sono uno degli svariati elementi poco convincenti di Star Wars Outlaws. Il rapporto con Nix, invece, è tra gli aspetti più riusciti e apprezzabili.

Per ciascuno dei quattro pianeti visitabili, Kay può fermarsi a provare una delle prelibatezze del luogo, preparate invariabilmente da droni-chef. Il pasto viene consumato attraverso una prova basata sulla pressione a tempo dei giusti pulsanti che, nella mia esperienza, ha avuto un peso di molto superiore alla sua semplice idea di gameplay. Mentre scoprono e gustano piatti esotici, Kay e Nix sorridono e scherzano, rilassando ulteriormente il clima in un gioco che ha la capacità di essere divertente e rilassato, pur non disdegnando nelle sue missioni principali un’ovvia tensione di fondo (e, più avanti, nemmeno così di fondo). Quello che portano, questi pranzetti, sono anche nuove abilità uniche per Nix. 

Si arriva a un certo punto in cui le possibilità di gioco, durante le fasi stealth, si aprono in maniera più stimolante. Rimanendo nascosta, Kay può chiedere a Nix di andare a innescare la granata appesa alla cintura di una guardia, che ovviamente entra nel panico e si getta verso un compagno. Negli istanti che precedono la letale detonazione, Vess si è già lanciata dalla parte opposta della stanza di comando, neutralizzando l’ultima minaccia.

Diviso nelle sue parti, anche nelle migliori condizioni Star Wars Outlaws non diventa mai un grande gioco capace di rivaleggiare con i riferimenti di settore per i relativi gameplay. Quando ci si arrampica e si esplora, le animazioni vanno incontro a delle défaillance. Quando si spara l’IA non è mai particolarmente stimolante. Quando ci si infiltra, le situazioni sono tutto sommato ripetitive. Eppure, il valore complessivo del gioco, o almeno della mia esperienza con il gioco, si muove su un livello superiore. 

Intanto va apprezzata la lucidità con cui Ubisoft Massive ha ridotto la quantità di indicazioni a schermo, che possono piagare i giochi open world. Complice anche l’assenza di una minimappa durante l’azione, non si viene costantemente bombardati da decine di bandiere, icone lampeggianti o effetti sonori che pietiscono un po’ di attenzione. C’è moltissimo da fare e da vedere sui quattro pianeti, ma la scoperta è tutto sommato organica, logica e meno “imboccata” di quanto non succeda in altri giochi a mondo aperto (soprattutto della stessa Ubisoft). Ci sono delle categorie di missioni ultra-secondarie che descrivono il punto del pianeta da raggiungere, senza mai far apparire un indicatore preciso sulla mappa.

Star Wars Outlaws sta tutto nei suoi mondi, fatti di pianeti, persone e creature. Non è facile trovare altri giochi che offrano le stesse suggestioni garantite dal muoversi per le praterie di Toshara, dal perdersi nel dedalo di viuzze di una Kijimi-City perennemente sotto una tormenta di neve, dal farsi bruciare dai due soli di Tatooine mentre ci si fa accerchiare dai suoi canyon e dal “navigare” tra le foreste di Akiva. Tolto il pianeta di Kijimi, gli altri tre mettono assieme una quantità sensata e non soverchiante di spazi aperti e insediamenti o punti di interesse, oltre ad almeno una città la cui toponomastica è intrigante e complessa. Tutti i dei pianeti di Star Wars Outlaws offrono scorci esteticamente meravigliosi: tra questi e qualche bug tecnico che interviene qua e là, come da tradizione, vincono decisamente i primi. Il livello di dettaglio degli interni delle stanze e delle strutture si muove sullo stesso piano. E se non è tutto al livello di un gioco “chiuso” basato sull’ultima versione dell’Unreal Engine, ha sufficiente carattere per risultare comunque interessante e stimolante (e il caratteristico brutalismo dell’Impero costituisce un apprezzabile variante sui temi planetari). In questo senso una larga parte del merito va al materiale di partenza fornito da decenni di creatività al servizio della saga di Lucasfilm, in primis, ma poi anche a una gestione delle luci che, finalmente, mette da parte il vangelo di Duccio Patanè e abbandona quel “apri tutto” che è imperante nei videogiochi.

In Star Wars Outlaws ci sono innumerevoli situazioni di gioco in cui ci si muove davvero tra le ombre e in cui l’illuminazione è credibile, reale, avvolgente, misteriosa. Non succede solo per esigenze di gameplay, quindi nelle fasi di infiltrazione. È proprio una scelta stilistica che sta alla base di come si è deciso di trasportare in un videogioco questi mondi. Peccato solo che il discorso valga fino a un certo punto per Mirogana, la città di Toshara che è anche quella attraverso cui si prende contatto con il gioco. Le cose migliorano sensibilmente procedendo, tocca dare un po’ di fiducia. 

Ciascun pianeta ha una presenza variabile di una rappresentanza dei cartelli della malavita che sono, fin dal titolo, alla radice dell’idea narrativa di Star Wars Outlaws. Quattro clan si spartiscono i favori di Kay Vess. Tradotto in situazioni di gioco: rubare quella merce a qualcuno per conto di qualcun altro, sottrarre informazioni, sabotare le tratte di commercio. Tutto questo, che può essere inserito nel tessuto delle missioni della storia, in quelle secondarie e in molte altre di categorie inferiori, influisce sul rapporto che Vess ha con i clan. C’è tutta un’intelaiatura di gioco basata su questi rapporti, che a volte stupisce (i negozianti affiliati a questo a quel clan riservano prezzi migliori o peggiori a seconda della reputazione di Kay), ma che alla lunga non influenza e caratterizza poi Star Wars Outlaws tanto quanto mi ero immaginato. In sostanza finisce sempre che qualcuno ha un buon motivo per cercare di farti fuori, cosa che, di nuovo, succede un po’ in tutti i giochi a mondo aperto.

Quello che funziona, della presenza di questi sindacati, è che a sua volta arricchisce un panorama già multietnico e curioso come è quello dei migliori momenti di Star Wars. Un “blip” di un droide di qua, lo sbuffo di un bantha di là, la lamentela di un poveraccio che vede l’Impero strozzare la sua vita a destra, i rumori del visualizzatore olografico di corse dei Fathier a sinistra, la gioia di chi ha appena ripulito un tavolo di Sabac nell’angolo laggiù. E la banda che suona al centro. Perché Star Wars Outlaws è una scena dentro a una delle tante taverne dei suoi pianeti: sporco, disordinato, prevedibile, ma anche divertente, colorato, evocativo e inimitabile.

Pubblicato il: 10/09/2024

Provato su: PlayStation 5

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6 commenti

è vero, la formula Ubisoft a mondo aperto ha stancato; è vero, le meccaniche di Outlaws non superano mai il "carino, ma c'è di meglio"; eppure finalmente una recensione che rende giustizia alla ricostruzione digitale di un universo che, volente o …Altro... è vero, la formula Ubisoft a mondo aperto ha stancato; è vero, le meccaniche di Outlaws non superano mai il "carino, ma c'è di meglio"; eppure finalmente una recensione che rende giustizia alla ricostruzione digitale di un universo che, volente o nolente, ha un fascino indescrivibile! E penso che proprio in questo il titolo Massive abbia trovato la sua cifra... peccato per tutto il resto...

Il gioco è ricco di luci ed ombre e dopo hogwarts legacy da una parte, da appassionato di queste iconiche IP, mi verrebbe voglia di provare questo gioco, dall’altra no. Anche dopo questa recensione rimango attratto dal atmosfera che si respira e d …Altro... Il gioco è ricco di luci ed ombre e dopo hogwarts legacy da una parte, da appassionato di queste iconiche IP, mi verrebbe voglia di provare questo gioco, dall’altra no. Anche dopo questa recensione rimango attratto dal atmosfera che si respira e di cui non ho mai abbastanza, ma dannatamente spaventato per l’ennesima volta open world e ubisoft accostati si rivelino la solita polpetta di noia

Ho giocato appena una decina di ore nel mondo di Outlaws e da vecchio fan di Star Wars mi ritrovo moltissimo nella recensione ed è quella magia che descrivi nelle ultime righe che mi fanno dimenticare i difetti tecnici chiaramente evidenti nel gioco …Altro... Ho giocato appena una decina di ore nel mondo di Outlaws e da vecchio fan di Star Wars mi ritrovo moltissimo nella recensione ed è quella magia che descrivi nelle ultime righe che mi fanno dimenticare i difetti tecnici chiaramente evidenti nel gioco oscurati dall'ispirazione artistica e di lore. Credo che il giudizio sul titolo, come era per esempio per Hogwarts Legacy, cambi radicalmente se siete nati e cresciuti in una galassia lontana lontana oppure no.

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