UFO 50
GIOCARE PER SEMPRE
La storia dell’umanità può essere vista come una storia di limiti. Guardandoci indietro, ci sembra quasi di poter vedere il cacciatore-raccoglitore desideroso di scoprire cosa c’è al di là di quella verde collina; ecco che l’invenzione della ruota gli permette di avventurarsi rapidamente e con minore sforzo in nuovi luoghi da esplorare. C’è poi la sfida al cielo degli architetti gotici, che rivoluzionano la storia dell’architettura svuotando le pareti delle loro strutture dai carichi: via libera a immense vetrate che portano luce all’interno delle chiese, alti pinnacoli, archi a sesto acuto ed eleganti volte a crociera. E ci sono i limiti a ciò che l’essere umano può diventare all’interno delle strutture sociali che realizza a livello collettivo: diceva Ursula K. Le Guin che il potere del capitalismo sembra assoluto, ma attenzione – lo sembrava anche il diritto divino dei re.
Sì, anche la storia di UFO 50 è una storia di limiti, fatti di 384x216 pixel, 32 colori, e poi un controller con due pulsanti e quattro frecce direzionali. È abbastanza per LX Systems (poi UFO Soft), software house immaginaria attiva tra il 1982 e il 1989. Il loro primo gioco? Barbuta. L’ultimo? Cyber Owls. Nel mezzo, altre quarantotto cartucce impolverate e coperte di ragnatele che aspettano soltanto il giocatore per risplendere – perché senza un utente, sono soltanto oggetti inanimati. E c’è tutta l’impressione che il travagliato percorso di UFO Soft sia reale: come ci spiegano le schede di descrizione dei vari giochi, Barbuta, il gioco che ha dato inizio a tutto, è stato sviluppato in segreto durante l’orario aziendale, e per questo ha quasi fatto licenziare Thorson Petter, uno dei dev immaginari di UFO Soft.
Dietro questa operazione si cela una delle figure più amate e celebrate della scena videoludica indipendente: Derek Yu. Nel 2008, il suo Spelunky era diventato uno dei simboli più importanti della nascente rivoluzione indie, dimostrando che anche piccoli team potevano creare esperienze di gioco profonde, avvincenti, innovative. Non solo. Come ha dimostrato nel corso della sua carriera, Yu ha sempre promosso un approccio collaborativo tra gli sviluppatori, all’insegna della condivisione, del dialogo e del supporto ai nuovi arrivati nell’industria.
Una filosofia che si mostra appieno nell’opera di Mossmouth, team formato da Yu, Jon Perry, Eirik Suhrke, Paul Hubans, Ojiro Fumoto e Tyriq Plummer. Mi fa piacere scrivere i loro nomi per esteso, dato che siamo tristemente abituati a non vedere accreditati per il loro lavoro molti dei professionisti che lavorano ai nostri videogiochi preferiti. Ogni videogioco di UFO 50 è stato creato principalmente da uno dei membri di Mossmouth, ma al contempo tutti i dev hanno contribuito con idee, suggerimenti e playtesting ai titoli degli altri. A nove anni di distanza dalla nascita dell’idea che ha portato alla realizzazione di questo ambizioso progetto, viene da chiedersi come sia possibile avere il coraggio di puntare così in alto (cinquanta giochi!) e l’abilità per mantenere una visione coesa e coerente, con un gioco di rimandi tra i vari titoli che è quasi una versione alternativa di Immortality, per certi versi.
Nel corso della storia immaginaria di UFO Soft, furono diversi i giochi a diventare parte di una serie. Tra questi c’è Mortol, il cui primo capitolo uscì nel marzo 1984. È ben possibile approcciare le cinquanta cartucce impolverate di UFO 50 con il metodo del filologo, intento a scovare ricorrenze e differenze per tracciare un percorso, narrare una storia. Nel caso di UFO 50, si tratta di un lavoro incredibilmente complesso, anche perché non prendevo tanti schiaffi da un videogioco da quando, da bambina, venivo puntualmente schiacciata dal peso delle bolle di Puzzle Bobble in una sgangherata sala giochi di campagna. Altro che Dark Souls: fatevi un giro su Velgress, ché poi ne riparliamo.
UFO 50 è anche pazzo sperimentalismo, con un incrocio di generi videoludici spesso singolare. Si va dagli sportivi (Hyper Contender, Pingolf) ai giochi di ruolo d’avventura (Divers), passando per i titoli di corse arcade (Onion Delivery potrebbe diventare il prossimo gioco preferito di Sori!), i metroidvania (Vainger) fino ad arrivare ai puzzle (Block Koala, Camouflage). La lista potrebbe continuare a lungo. E attenti: non ci troviamo davanti a minigiochi à la WarioWare, perché tantissimi dei titoli di UFO 50 richiedono ore e ore per essere completati – e considerevole fatica per tingere le cartucce di rosso, il colore che rappresenta il completamento di tutti gli obiettivi, principali e secondari, del gioco di riferimento.
Ho faticato a staccarmi da Attractics, gioco arcade di strategia con tre modalità (campagna, classifica, survival) in cui bisogna sfondare lo schieramento di soldati avversari spostando le proprie unità in verticale sul terreno di gioco. Il passo veloce del confronto tra i due eserciti ha scatenato in me un vero e proprio istinto animale per il combattimento strategico. “L’uscita di Attractics fu rimandata perché il nostro team aveva passato troppo tempo a sfidarsi a vicenda!”, leggo nella descrizione del gioco. Ho riso di cuore: anche io ho trascurato altri impegni per prendere a mazzate i soldatini nemici. E poi ho pensato che la finzione di UFO 50 è paradossalmente più vera del vero, perché tutte le storie poste a corredo delle cinquanta cartucce potrebbero essere accadute – e anzi, certamente sono reali, semplicemente non sono capitate a un team immaginario – e costruiscono un discorso tonante sul videogioco. Strano per delle brevi descrizioni testuali, certo, ma basta accostare l’orecchio alle parole di Yu e soci per riflettere sul medium videoludico, sulla sua storia e, soprattutto, sulle storie delle persone che si celano dietro ai nostri videogiochi preferiti.
Navigare all’interno di questa singolarità gravitazionale che attrae ben cinquanta videogiochi può intimidire. Sono disponibili varie opzioni: di default, viene proposto un filtro cronologico, con le cinquanta cartucce mostrate in ordine dalla più “antica” alla più recente. È anche possibile scegliere di mostrare esclusivamente i titoli giocabili in multiplayer locale. Un consiglio da amica: non perdetevi Bushido Ball, una sorta di tennis tra samurai (!) che è possibile affrontare sia in co-op, sia in modalità competitiva. Nel mio caso, si è tradotto in un'intera serata spesa a sventolare la mia katana per spingere la palla nel campo dell’avversario. Se vi siete entusiasmati con Windjammers 2, beh, allora Bushido Ball da solo vale il prezzo del biglietto di UFO 50.
In un’intervista di ormai quasi dieci anni fa ad Artefact Magazine, Derek Yu descrisse il perché il settore dello sviluppo indipendente fosse il suo preferito. “I giochi indie vanno in ogni direzione”, rispose. “E questo è terribilmente stimolante”. Lo è anche UFO 50, un gioco che è in realtà sbagliato definire tale, perché si tratta, in realtà, di una libreria – anzi no, meglio ancora, di un portale magico aperto su un passato che non esiste, ma che, come scrivevo poco fa, è più vero del vero. Magia dell’onestissimo inganno di Derek Yu e del team di Mossmouth. Ora, però, voglio altri cinquanta Bushido Ball.
Pubblicato il: 23/09/2024
Provato su: PC Windows
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