THE LEGEND OF ZELDA
ECHOES OF WISDOM
ZELDA È LA CONTENT CREATOR CHE SFIDA I LIMITI DI UN EPISODIO SOLO APPARENTEMENTE SECONDARIO
Questa cosa che c’è Zelda al posto di Link, nel nuovo episodio di una delle saghe più rispettate e venerate del settore, non conta poi molto. Dopo qualche ora alle prese con le idee e i sistemi di gioco di The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom, mi sono accorto che qualsiasi grado di separazione con la serie principale, quella che ha sempre visto Link quale protagonista ed eroe, era scivolato via senza lasciare residui. Quello che arriva su Switch nell’ultimo autunno della sua folgorante carriera, non è uno spin-off ma un vero The Legend of Zelda. Uno più contenuto nei valori produttivi, se messo di fronte ai due colossi Breath of the Wild (2017) e Tears of the Kingdom (2023), ma non nell’ambizione e nel respiro.
Mettere assieme le idee lasciate dalle sensazioni innescate giocando a The Legend of Zelda: Echoes of Wisdom non è elementare. È un progetto di cui è complicato definire i confini, perché riesce a estenderli verso ogni direzione. Il ritorno all’inquadratura dall’alto e al motore tecnologico già sfruttato per il remake di The Legend of Zelda: Link’s Awakening (1993-2019), costringono a pensare a un tributo al passato, ma è un paravento che viene spazzato via subito. Succede quando si capisce che Echoes of Wisdom è più vicino a realizzare la missione impossibile di comprimere dentro questa interpretazione tecnica ed estetica svariate delle suggestioni di Breath of the Wild e Tears of the Kingdom, piuttosto che glorificare i giochi dell’epoca a 8 e 16 bit.
Il passare delle ore spese a cavalcare (già) in questa Hyrule mi ha portato a rendermi conto che dentro Echoes of Wisdom sono riusciti a metterci tutto. Grezzo e Nintendo hanno compresso l’azione (che è molto più di quella che avevo messo in preventivo), l’analisi degli enigmi (che è meno preponderante di quanto mi aspettavo), una grande storia principale, un rispettabile quantitativo di racconti secondari, la varietà e soprattutto la vastità del mondo, i suoi miti, i suoi segreti, la sua epica.
L’eco di Breath of the Wild e Tears of the Kingdom risuona trasportata dall’interfaccia che esteticamente rimanda a quelle, tanto per cominciare, ma poi trionfa quando ci si accorge che sono rimaste le avverse condizioni metereologiche e tutti i giochi sugli elementi. Non si cucinano pranzetti, ma c’è comunque modo di elaborare dei frullati mettendo assieme ingredienti trovati durante le esplorazioni. Una bevanda ti aiuta a nuotare più velocemente e una spinge in su le capacità difensive, una ti riscalda nella tormenta di neve e l’altra ti protegge dagli attacchi elettrici.
In Echoes of Wisdom c’è praticamente tutto ciò che vuol dire essere The Legend of Zelda, dagli anni Ottanta del secolo scorso ai giorni nostri. I passaggi a scorrimento laterale sono un saluto al passato che aggiunge poco, ma ben altra soddisfazione garantiscono i cari, vecchi dungeon/templi, tornati infine a una forma più tradizionale. Non meritano tutti di sedersi al tavolo di quelli visti in Ocarina of Time, anzi, ma si inseriscono bene nell’amalgama di un gioco che, comunque, riesce a tenere assieme tante cose mentre si preoccupa pure di non perdere l’equilibrio. Ed è un equilibrio che, per molti versi, guarda anche ai giocatori che cercano una sfida generalmente morbida.
Che però tutto riesca a stare assieme senza rompersi molto male è un merito enorme da tributare a Grezzo, lo studio che assieme a Nintendo si è occupato dello sviluppo della prima, vera, avventura della Principessa Zelda. Se ci pensate bene, è la stessa sorpresa ammissione che si faceva di fronte a Breath of the Wild e Tears of the Kingdom. Come è possibile che, con tutta la libertà interpretativa di cui si gode, il gioco non crolli sotto il peso del “do it yourself”? Ecco, il discorso può essere trascinato fino al 2024 di Echoes of Wisdom, che a modo suo si prende altrettante libertà.
L’idea principale del gioco è quella di poter copiare e riprodurre i nemici eliminati o alcuni elementi più o meno interattivi dello scenario. Mai addestrata all’arte della spada, Zelda si limita a brandire una bacchetta magica con cui memorizza e poi replica un octorok o una roccia, un lizalfos o un tavolo, un grublin o una piattaforma a movimento automatizzato. Le creature vengono lanciate contro quelle ancora avverse alla nostra, in un teatrino che ricorda per certi versi le battaglie tra pokémon. Come avere la meglio su quel tizio con scudo e armatura? Forse con una corvacchia che attacca dall’alto!
Tra creature ed elementi strutturali, ce n’è abbastanza per scassare tutto il gioco. E qualche volta, nella mia esperienza con Echoes of Wisdom, ho avuto la sensazione di averlo fatto. Cioè di aver trovato un modo troppo furbo per oltrepassare l’ostacolo del momento. Siamo di nuovo dalle parti di Breath of the Wild e Tears of the Kingdom, ed è comunque un evento che Nintendo ha messo in conto e, anzi, contro cui non ha mosso un dito. Come specificato da Eiji Aonuma (producer della serie di Zelda), Tomomi Sano (director per Nintendo del progetto) e Satoshi Terada (director per Grezzo), sono state tolte quante più restrizioni possibili nell’uso delle repliche, proprio per premiare ogni possibile interpretazione dei giocatori. In effetti la duttilità del sistema è impressionante: qualsiasi creatura o elemento può essere utilizzato ovunque, a patto che ci sia spazio a sufficienza per evocarlo. In ogni ambiente, con ogni condizione, sia nella fasi in 2D a scorrimento laterale che in quelle con inquadratura dall’alto. Tutto funziona sempre e comunque, pur con una percentuale di interazioni non propriamente eleganti e la possibilità di qualche minimo inciampo qua e là. Nulla che non si risolva autonomamente eliminando la creazione o subendone per qualche istante le conseguenze.
Da degno erede di una storia millennaria (OK, decennale), Echoes of Wisdom è tenuto assieme da innumerevoli scelte di progettazione che ne puntellano la spinta rivoluzionaria. Le creature attaccano con efficacia ma fino a un certo punto, così da non paralizzare Zelda nel ruolo della spettatrice annoiata. Per le situazioni più complesse si può fare affidamento all’imitazione delle movenze e degli attacchi di Link (arco e bombe incluse), ma solo per qualche secondo. Probabilmente allo scopo di limitare le peregrinazioni tra i nemici, tutta la mappa è piena di punti di teletrasporto. Ogni replica implica l’utilizzo di una parte di energia che, soprattutto all’inizio, è molto limitata e che comunque, anche procedendo nell’esplorazione della giungla di Firone o del deserto Gerudo (per dirne due), rimane sempre limitata. Non è prevista la replicazione in decine di esemplari di zol o pipistrelli, insomma.
Quello che c’è è sufficiente per farti galleggiare in un lago di possibilità, senza che si sbrodoli in un oceano paralizzante di troppe scelte e occasioni perse. Qui però va capito cosa si richiedeva a Echoes of Wisdom: chi aveva immaginato un puzzle game cervellotico e impegnativo, in cui ogni stanza esigesse uno studio meticoloso degli strumenti a disposizione per poter elaborare una soluzione, con combattimenti e azione ridotti all’osso, sarà spiazzato. Ci sono situazioni da studiare e affrontare solo dopo una buona programmazione dei movimenti e un saggio sfruttamento delle repliche, ma non sono la maggioranza. Anche per questo i gradi di separazione tra questa Zelda (l’eroina) e quegli altri Zelda (i giochi), sono meno di quanti ci si sarebbe potuti aspettare.
Vivono poi di molti alti e qualche basso le scelte fatte per popolare questa Hyrule, che è, di nuovo, simile a quella degli open world. Dentro alla fine ci sono di nuovo popoli e regioni del tutto simili a quelli già incrociati nelle ultime due uscite della serie, il che appesantisce un po’ l’esperienza agli occhi degli avventurieri ricorrenti. D’altra parte consolida il rapporto con Breath of the Wild e Tears of the Kingdom, rendendo più convincente l’illusione di essere dentro quegli stessi mondi, anche se in formato portatile. Ecco, con Echoes of Wisdom Nintendo è riuscita a mantenere viva l’illusione di avere ancora due linee di console da tenere in equilibrio: quella da salotto con il mega open world e quella portatile con la prima missione ufficiale di Zelda. Anche perché, e questo farà piacere a qualcuno, Echoes of Wisdom ha una misura molto differente da quella di chi l’ha preceduto: non sono richieste decine e decine di ore solo per svelare ogni angolo della mappa e di occasioni per distrarsi e perdere di vista l’obiettivo principale ce ne sono molte di meno.
La resa del mondo di gioco, però, non è esente da limiti tecnici. L’interpretazione stilistica già vista nel remake di Link’s Awakening è ancora godibile, ma a volte si adagia su un minimalismo pigro (la parte iniziale nel deserto). Altre volte la resa, per fortuna, è molto più convincente e ho trovato il gioco generalmente più godibile sul televisore, piuttosto che sullo schermo dello Switch, pur potendo fare affidamento sul modello Oled. Quello che rimane costante è il singhiozzio del frame rate, che per lunghe ore risulta sconfortante. Solo una volta constatata la portata di tutto ciò che vuole fare Echoes of Wisdom, tra cui la generosissima metratura della mappa di gioco, sono finalmente riuscito a smettere dipensare a quei continui microscatti nei movimenti. Che però ci sono e non è giusto accettare silenziosamente.
Di silenzio, comunque, non si soffre in Echoes of Wisdom: la colonna sonora è tra gli elementi più riusciti del gioco, con una semplicità e una pulizia negli arrangiamenti orchestrali che funzionano in maniera ammirevole. Meno esaltante la scrittura, perennemente impigrita sul tono fin troppo innocuo ed elementare della serie. Nonostante alcuni rari momenti in cui si sfiora qualcosa di vagamente emozionante, di norma Echoesof Wisdom si accontenta di continuare a fare quello che faceva A Link to the Past nel 1991. E poi quasi tutti gli altri dopo di lui (scusa Majora’s Mask, tu non c’entri). Sono in effetti molti i retaggi del passato che appesantiscono Echoes of Wisdom nelle piccole cose: le sequenze narrative o le interazioni con altri personaggi non giocabili messe in scena con cicli di animazioni al minimo sindacale, tanto per dirne una. O, per dire un’altra assai più difficile da digerire, la vigliacca sostituzione di quello che era evidentemente il titolare della stazione timbri, Tingle, con un egregio sconosciuto.
Anche questa volta, però, The Legend of Zelda riesce a nascondere i suoi limiti dietro a una visione d’insieme che li surclassa e all’imprevedibile capacità di trasformare i capitoli moderni in una sorta di demake d’autore. Echoes of Wisdom non è un episodio secondario, ma un gioco alternativo e comunque consanguineo della grande rilettura open world che Zelda ha compiuto in questa sua lunghissima generazione.
Pubblicato il: 25/09/2024
Provato su: Nintendo Switch
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