GOLDEN LAP

DUNE CASU E L'ARTE DI SUBLIMARE IL MOTORSPORT NELLA SUA FORMA PIÙ PURA

Il 1970 fu un anno strano per la Formula 1. Sulla griglia si schierano campioni leggendari come sir Jackie Stewart e Bruce McLaren; esordiscono giovani promesse come Francois Cevert e Clay Regazzoni; mentre Colin Chapman progetta la leggendaria Lotus 72 che cambia per sempre la concezione dell’auto da corsa a ruote scoperte. A sorpresa i due contendenti al titolo sono Jacky Ickx e Jochen Rindt, rispettivamente su Ferrari e Lotus: è una stagione combattuta, dura e folle come solo la Formula 1 di quegli anni sapeva essere, ma Rindt si prende la testa del campionato vincendo cinque delle prime otto gare. L’austriaco vola e assapora la sensazione magica di poter diventare campione del mondo in un momento storico in cui fare il pilota di Formula 1 è contemporaneamente un atto eroico e la dimostrazione di essere un pazzo senza rispetto per la propria vita.

Poi, però, arriva il gran premio di Monza.

Durante le qualifiche del sabato la Lotus 72 di Rindt scarta improvvisamente verso sinistra appena prima di arrivare alla parabolica, si schianta violentemente contro il guard rail e comincia a piroettare nella sabbia per qualche decina di metri. Quando il polverone sollevato dall’incidente si dirada Jochen Rindt è immobile nell’abitacolo. Il piantone dello sterzo gli ha sfondato lo sterno. I medici si rendono subito conto che non c’è nulla da fare: Jochen Rindt viene dichiarato ufficialmente morto pochi minuti dopo. È l’ennesimo tributo ai capricciosi dei della velocità, che solo quell’anno avevano già reclamato la vita di Piers Courage prima e di Bruce McLaren dopo.  

Jochen Rindt però fu, soprattutto, il primo e unico pilota nella storia della Formula 1 ad essere incoronato campione del mondo dopo la morte: a nulla servì la rimonta finale di Jackie Ickx, che non riuscì a colmare il gap dall’austriaco senza mai riuscire ad agguantare l’alloro mondiale fino alla fine della sua carriera. E forse è stato giusto così.

Forse non è un caso che Dune Casu abbia deciso di far iniziare Golden Lap proprio dal campionato del 1970. Quello di Funselektor e Strelka Games è infatti un gestionale sulla Formula 1 che si ambienta esattamente in quel periodo storico che fece da ponte tra l’epoca dei pionieri delle ruote scoperte e la golden age del motorsport degli anni ‘80. Era un mondo profondamente diverso da come lo conosciamo oggi, un mondo fatto di eccessi e sregolatezze, ma soprattutto di pericolo. 

Correre in macchina significava flirtare costantemente con la morte, e forse parte del fascino del motorsport è sempre stata la consapevolezza dell’estrema caducità degli eroi che si tifavano da casa. 

Se in Art of Rally Funselektor aveva deciso di riportare in auge la meraviglia delle battaglie infuocate contro il cronometro su percorsi accidentati spogliandole del rapporto che la disciplina ha sempre avuto con la morte, in Golden Lap ci si confronta con una filosofia profondamente diversa. Si è chiamati a scegliere una scuderia e assumere il ruolo di team manager, bisogna scegliere con cura una coppia di piloti titolari, un ingegnere e un capomeccanico e si deve guidare la squadra verso il successo tenendo sempre sott’occhio il budget a disposizione.

Durante la stagione bisogna affrontare qualifiche e gare impartendo ordini ai piloti sul ritmo da tenere in pista, pianificare i pit stop anticipando l’evolversi dei circuiti e studiare i distacchi in tempo reale per tenere a bada la concorrenza. Alla fine di ogni weekend arriva poi il momento di intavolare trattative con gli sponsor e dosare le risorse per sviluppare la vettura, collaborando magari con il capo ingegnere per costruire un nuovo componente nella speranza che possa migliorare le prestazioni della macchina. Il tutto è trattato con estremo rispetto non tanto per la storia di quella Formula 1 quanto più della filosofia che animava il circus. È infatti possibile, per esempio, che prima di una sessione di prove o di una gara venga notificato che uno dei piloti del team ha fatto le ore piccole ad una festa la notte prima e che quindi le sue prestazioni subiranno un peggioramento. È normale: quando ti guadagni da vivere calandoti nell'abitacolo di un tubo di alluminio con un V8 avvitato un po' come capita sul retro devi pur trovare il modo di scaricare lo stress.

Il tutto è inquadrato dall’alto in un’interfaccia minimale che mostra semplicemente il layout del circuito e dei semplici pannelli con cui interagire per influenzare l’andamento della gara. Una prospettiva che si inserisce perfettamente nel percorso di sublimazione del motorsport di Dune Casu iniziato con Absolute Drift e approfondito in Art of Rally, che qui raggiunge la sua forma più pura e per certi versi estrema. Golden Lap è un gioco di corse senza macchine: ci sono solo le silhouette dei circuiti e una lunga lista di nomi di piloti, meccanici e ingegneri da tenere sempre sotto controllo in un gestionale che, va detto, non è mai soffocante ma non è nemmeno particolarmente profondo nelle sue meccaniche.

C’è però, come dicevo, un’importantissima differenza con Absolute Drift e Art of Rally. Dune Casu ha sempre giocato ad estromettere la morte dall’equazione dei suoi videogiochi di corse, al punto che Art of Rally era ambientato in una timeline alternativa in cui non c’è stato nessun incidente mortale durante il rally di portogallo del 1986 e quindi nessuno ha mai bandito le auto del gruppo B “uccidendo” sul nascere il neonato gruppo S. Ecco, Golden Lap fa il percorso inverso: si allontana dall’asfalto sintetizzando la frenesia del motorsport in una serie di pallini numerati che si rincorrono su un circuito stilizzato ma senza rifuggire le tragedie. In Golden Lap gli incidenti sono reali, e la pericolosità del motorsport rimane sempre al centro del discorso.

In Golden Lap i piloti muoiono.

Può succedere in qualsiasi momento, basta un errore. Quando i commissari espongono le bandiere rosse e bloccano la gara c’è sempre un brivido che si fa strada lungo la schiena, accompagnato dalla foga di andare a verificare che i propri piloti non siano stati coinvolti nell’incidente. Il peggio, però, è che bisogna di aspettare la fine della gara per scoprire l’entità del danno. Nel migliore dei casi ce la si cava con un infortunio che allontana il povero malcapitato dalle corse per qualche weekend di gara, ma può capitare – e capita – che la gravità dell’incidente sia tale da uccidere i piloti coinvolti. Il gioco lo comunica con una freddezza impressionante: “purtroppo pilota X è morto, ma il circus non può fermarsi quindi tocca andare avanti”.

Fu così per tante leggende, da Francois Cevert ad Ayrton Senna, passando per Jilles Villeneuve, Ronnie Petterson e tantissimi altri campioni che hanno infiammato il cuore degli appassionati. Fu così per Jochen Rindt, che venne beffato da nostra signora in nero prima di poter festeggiare la vittoria del campionato.

È successo anche a me, e nel peggiore dei modi possibili. Ho iniziato la mia carriera nel circus alla guida della Night (scuderia palesemente ispirata alla Shadow di Don Nichols), ultima poverissima forza del campionato, con l’intenzione di portarla al successo contro ogni aspettativa. Ho passato due campionati a costruire piano piano un team competitivo, cercando di limitare i danni all’inizio tenendo da parte dei fondi da investire in futuro sulla crescita della squadra. Ho fatto tanta fatica ma mi sono affezionato alla mia banda di scappati di casa. Il terzo anno era quello giusto. Ho ingaggiato una nuova prima guida di grande esperienza e un ingegnere intraprendente che ha sviluppato un’auto velocissima e super competitiva: è stato un lungo ed estenuante testa a testa con le Lotus di Colin Chapman, ma nella prima parte di campionato le mie Night hanno agguantato la testa del campionato senza mai mollarla.

Poi, però, è arrivato il gran premio del Giappone, sul circuito del Fuji, e si è consumata una tragedia umana e sportiva senza pari. Nel pieno della gara, sotto un diluvio spaventoso, entrambi i miei piloti si sono schiantati rimanendo uccisi nei rispettivi incidenti. Ho visto sfumare il sogno del primo storico mondiale piloti per la Night. Ancora in lizza per il campionato costruttori ho visto i miei sogni di gloria infrangersi a causa di un altro incidente occorso a uno dei piloti appena ingaggiati per arrivare alla fine della stagione che ha consegnato definitivamente alla Lotus la corona iridata.

La Formula 1, dopotutto, è stata anche questo, e Dune Casu l’ha saputa raccontare con grande onestà. Golden Lap non è di sicuro il miglior titolo di Funselektor (lo scrive una persona che si è innamorata perdutamente di Art of Rally e che ancora oggi ogni tanto ci torna più che volentieri per provare a limare qualche decimo di secondo qua e là), ma è un videogioco di grande valore soprattutto per il modo in cui si rapporta con quel mondo folle e dissennato. Un atto d’amore nei confronti di uno sport che ha perso parte del suo smalto ma da sempre capace di far innamorare gli appassionati di tutto il mondo, merito anche della sua costante sfida con il pericolo di farsi male o di lasciarci le penne. 

Non piacerà a tutti, me ne rendo conto, ma per me è stato impossibile non rimanere irretito dalla sua estetica e dal suo tono. È molto più limitato dei suoi predecessori e ha ambizioni decisamente diverse, ma non ho potuto non volergli bene. Prima o poi la mia Night riuscirà ad emergere vincitrice, perché quel campionato del 1973 grida vendetta.

Pubblicato il: 26/09/2024

Provato su: PC Windows

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2 commenti

L'estetica minimalista mi attira ma avendo giocato a lungo ai vari Motorsport Manager su mobile, temo di non trovare un titolo così differente.

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