Di tutte le recensioni fatte nel corso del mio lavoro su internet, questa è stata di gran lunga la più spaventosa. Quando mi approccio a un titolo che fa parte delle mie verticalità, come le iterazioni di Pokémon o in generale i videogiochi a turni, affronto il dissezionamento dell'opera in analisi con la malizia di chi è navigato sugli stilemi di riferimento, venendo trasportato dalla curiosità di testarne le meccaniche, la struttura ludica e di comprenderne i punti di forza e quelli di cedimento. Chirurgico, persino asettico per certi versi.
Con questo lavoro, invece, il turbinio emotivo nel quale mi getta Silent Hill 2 mi rende meno un medico all'opera e più un fan sfegatato che torna a un concerto della sua boy band preferita, dopo anni e anni di pausa e una reunion annunciata a sorpresa. Il secondo horror di Team Silent è il mio gioco preferito, non ne ho mai fatto segreto. E il modo di gestire le mie sensazioni nei confronti del remake di Bloober team, quindi, è stato il primo scoglio da superare.
Inizialmente ho pensato che avrei dovuto lasciare da parte tutto quel bagaglio di ricordi ed emozioni che il titolo originale mi ha lasciato nell'anima ancora oggi, poiché altrimenti avrei avuto il rischio che la sola nostalgia canaglia potesse influenzare il mio giudizio. Poi però mi sono detto che Silent Hill 2 (e la serie in generale) è un'opera che utilizza fattori emotivi, veicolati attraverso allegorie e simbolismi, come perno identitario e cavallo di battaglia rispetto al resto dell'offerta ludica horror; far tacere quelle voci per intero, di conseguenza, avrebbe potuto impedirmi di aprire la mente e il cuore al ritorno della mia amata saga.
Come James Sunderland, quindi, mi sono dato una lavata di faccia, mi sono guardato allo specchio e ho dato una parvenza d'ordine ai miei pensieri, scandendo con ordine gli elementi per i quali questo titolo potrebbe giovare di un rifacimento nel 2024, e separandoli al contempo da quelli che percepisco come intoccabili.
Figlio del 2001 e dell'era PS2, il titolo originale aveva delle boss fight dalla qualità non proprio eccelsa, un uso dei menù e delle mappe molto frequente che interrompeva azione ed esplorazione di continuo, dei dialoghi adattati non proprio in maniera cristallina e doppiati alla benemeglio, infine un "Otherworld/Nightmare" world che aveva un immaginario ben preciso, ma che si piegava alle limitazioni tecniche dei tempi che furono. Ognuno di questi elementi, oggi, potrebbe risplendere di luce nuova grazie agli sforzi di Bloober Team.
D'altra parte, percepisco diversi elementi del titolo originale come intoccabili, pena lo smarrimento della filosofia identitaria di Team Silent: la sua narrativa sottile e mai davvero esplicita, il suo level design spiraleggiante e claustrofobico, il retrogusto punitivo di un combat system che costringe sempre alla fuga, suoni e immagini che giocano con le paure sia di James Sunderland che del giocatore. Non toccare queste cose, Bloober Team, o come avrebbe detto il mio professore di lettere, "vai fuori traccia".
Con questa lista di regole ben stampate nel cervello, ho avviato per la prima volta Silent Hill 2 Remake, che mi avrebbe accompagnato di lì a circa una ventina di ore di gioco. E quel che ho compreso in questo ennesimo viaggio nella città della nebbia è che l'opera in analisi è dannatamente complessa: racconta il coraggio di convertire un software a vent'anni di distanza dalla sua uscita senza limitarsi a copiarlo, ma anche che il lavoro di aggiornamento e svecchiamento, in maniera fisiologica, porta con sé il rischio di non mettere sempre a fuoco le fondamenta di un'idea che è stata partorita da altre persone e in un altro tempo.
Ce la puoi fare, Francesco. Hai ricevuto una lettera.
La struttura di base di Silent Hill 2, per chi non dovesse conoscere l'opera, è rimasta pressoché invariata. Veniamo gettati nei panni di James Sunderland, un uomo che ha dovuto affrontare la perdita della propria moglie qualche anno prima, a causa di una malattia mortale e incurabile; eppure, per qualche strana ragione, James riceve una lettera proprio dalla defunta Mary, che chiede di essere raggiunta nel loro "posto speciale".
Inizia dunque la discesa nella follia di questo marito in lutto, che visiterà la città di Silent Hill alla ricerca del luogo in cui potrebbe attenderlo la moglie e alla scoperta dei veri motivi per i quali è stato attirato in questo purgatorio in terra. E mentre narrativamente si districano i misteri di un viaggio surreale, ludicamente il giocatore viene sfidato da una serie di enigmi che bloccano il progresso delle varie aree di interesse, pullulanti di mostruosità deformi che devono essere combattute o evitate con astuzia.
La formula è invariata quindi, ma è il modo in cui è veicolata a essere il fulcro del rifacimento a opera di Bloober Team. Qualcosa di cui possiamo facilmente renderci conto già dopo i primi minuti nella nebbia.
La città di Silent Hill, come visto in diversi trailer promozionali del remake, è stata ampiamente espansa in termini di attività possibili. Nell'originale era poco più di un hub desolato, in cui raccogliere oggetti utili per la propria sopravvivenza e scovare le porte d'accesso agli edifici nevralgici per l'avventura di James, vero teatro degli eventi. Nel 2024 invece questo luogo si trasforma e si ingrandisce acquisendo numerosi interni esplorabili e inediti, che aumentano il numero di attività intraprendibili; il senso di desolazione però rimane, anzi, si amplifica e viene raccontato attraverso negozi e appartamenti lasciati all'incuria, tangibili eppur sospesi in un limbo tra la vita e la morte.
Lo scopo di queste inedite location, però, è ben diverso dall'idea preliminare che mi ero fatto durante la campagna marketing: non si tratta di escursioni opzionali, bensì di tappe spesso necessarie per mandare avanti il progresso del gioco e del racconto, motivo per il quale si passa dalle otto ore originali per completare Silent Hill 2 alla bellezza di circa venti.
La trasformazione della città annebbiata, peraltro, è la chiave di lettura dell'intero lavoro di rivisitazione di Bloober Team. Fra gli enigmi e gli snodi narrativi "classici" sono stati infatti inserite attività aggiuntive nell'intero corso del playthrough, novità assolute anche per i veterani che hanno collezionato tutti i finali dell'epopea di James: se raccogliere una chiave necessaria a entrare in appartamenti fatiscenti prima richiedeva il solo localizzarla in una via desolata di Silent Hill, ora potrebbe comportare l'esplorazione di un paio di location aggiuntive, con enigmi e nemici annessi. E dato che appunto questa formula è stata spalmata su tutta l'esperienza di gioco, le mie sensazioni al riguardo sono molteplici e diverse, talvolta persino contrastanti.
Parto raccontandovi che il lavoro fatto sugli enigmi di Silent Hill 2 Remake è uno dei fiori all'occhiello del titolo. Non solo quelli inediti sono pensati intelligentemente, mantenendo il classico scaling di struttura basato sulla difficoltà di gioco, ma sono costruiti in tutto e per tutto con la filosofia e lo stile degli originali e fanno dunque perno sulle capacità logiche e d'osservazione del giocatore, ora sfidato a decifrare un messaggio criptico, ora allo stato dell'ambiente circostante che potrebbe nascondere un indizio segreto. Come giocatore navigato della serie distinguo il vecchio dal nuovo perché il contenuto originale lo conosco a memoria, ma per coloro che si addentreranno in Silent Hill 2 per la prima volta sarà impossibile distinguere il contenuto "legacy" da quello aggiunto in seconda battuta.
E a proposito di ciò che c'è sempre stato... con mia grande sorpresa, persino gli enigmi di Team Silent sono stati reinterpretati.
La loro essenza rimane la stessa, coinvolgendo bene o male gli stessi oggetti o metodi di risoluzione simili al 2001, ma il loro design effettivo è stato variato a sufficienza da farli vivere ai veterani come dei bizzarri what-if: si trovano in luoghi diversi, magari leggermente anticipati o posticipati nella loro comparsa, e la loro risoluzione richiede ragionamenti sì analoghi ma dalla risposta ultima divergente, parificando vecchi e nuovi giocatori nello sforzo richiesto per progredire.
Si tratta ovviamente di un aspetto recepibile solo da chi è di ritorno nei panni di James, ma è anche a mio avviso uno dei più potenti. Tornare sul titolo dopo così tanti anni fa sentire disorientati, genera una sensazione di deja-vu per la quale ci si sente di essere già stati in quel luogo e al tempo stesso di non ricordarlo nitidamente; una perfetta coincidenza meta-narrativa con i pensieri del protagonista, che ha già visitato SIlent Hill in un momento diverso della sua vita, eppure nel presente gli risulta mutata e irriconoscibile. Come già detto, le aggiunte inedite hanno generato sensazioni uguali e contrarie. E se questo giocare con la familiarità del luogo è un'inedita allegoria figlia del pensiero di Team Silent, il volume davvero ingente delle novità, che triplica quantitativamente l'offerta ludica, trasporta inevitabilmente l'opera alla saturazione.
Prima di fare il content creator sono stato musicista, e una delle massime del mio maestro di chitarra mi è sempre rimasta in mente: "Se quando scrivi un brano tutte le sue parti sono a cazzo duro, nessuna è mai davvero a cazzo duro".
Metafore falliche a parte, quest'idea è applicabile a qualsiasi forma d'arte. Le opere si dividono in atti e segmenti che alternano fasi di picco - emotivo o contenutistico - a fasi distensive, affinché il fruitore possa provare piacere non tanto nei soli climax ma anche e soprattutto nel percorso per raggiungerli. Silent Hill 2 conosceva molto bene la metafora del cazzo duro, ed è sempre stato uno dei suoi punti vincenti: a volte ti ritrovi chiuso in un inferno in terra fatto di spazi angusti e indovinelli cervellotici, braccato da nemici che sembrano imbattibili, e in altri casi quella tensione si smorza, con sezioni dal sapore disteso, nei quali ci si limita a camminare e dialogare con gli strambi personaggi che vagano per la città. Un'alternanza consapevole, tant'è vero che anche il sublime lavoro di Akira Yamaoka la sottolineava, inserendo nei Woodside Apartment brani martellanti, dissonanti e aritmici, mentre in altre sezioni, come quella del Bowling, si veniva travolti da insolite melodie placide e orecchiabili.
Tali momenti, purtroppo, in Silent Hill 2 Remake devono essere cercati con il lanternino, poiché l'opera è costellata di obiettivi da risolvere uno dopo l'altro. E al di fuori del paragone con l'originale, che in questo caso lascia il tempo che trova, temo che il difetto sia percepibile da qualsiasi videogiocatore poiché si parla di una prerogativa dell'horror, se non dell'arte in generale: questo remake è un fiume di attività ludiche che prese singolarmente stanno benissimo in piedi, ma che tracciano coralmente un percorso di costante azione che lascia indietro pause e riflessioni.
Horror Vacui, forse. O l'industria che cambia faccia e parla sempre di più a chi urla al "walking simulator" quando preme un tasto direzionale per più di quindici secondi.
Questo binomio di luci e ombre sulla reinterpretazione di Silent Hill 2 vale, per motivi affini, anche passando all'altro mastodontico e coraggioso lavoro fatto da Bloober, ovvero la costruzione degli ambienti e il loro level design.
Da un mero punto di vista estetico, gli ambienti precedentemente bloccati su una telecamera fissa ora sono in reali tre dimensioni, in uno sforzo di ricostruzione quasi sempre avvento con successo: al netto di un Heaven's Night forse un po' troppo pettinato, tutte le altre location di gioco si mostrano fedeli all'originale visione autoriale e anzi ne sono loro potenziamento. La nebbia di Silent Hill ora abbraccia edifici ricchi di particolari, capaci di raccontare i resti di un negozio di fiori che ora contiene solo piante appassite, o un saloon di bellezza che lascia ai posteri i meri attrezzi di lavoro arrugginiti. Si riesce davvero a percepire che la vita a Silent Hill si sia fermata da un momento all'altro, divenendo un enorme cimitero le cui lapidi sono ciò che tracce decadenti delle attività quotidiane dei suoi cittadini. Ogni area esplorabile peraltro porta con sé numerose interazioni inedite, come vetri di autovetture e armadi che possono essere rotti per racimolare oggetti utili alla sopravvivenza, finestre che danno accesso a location altrimenti irraggiungibili e le consuete cassettiere contenenti munizioni per le proprie armi.
L'accesso alle vere tre dimensioni, chiaramente, cambia il controllo che il giocatore ha sul circostante, il che aveva destato qualche perplessità già ai tempi dei trailer del remake. La paura che James potesse essere troppo consapevole dei nemici che gli strisciano attorno era concreta e giustificata, eppure oggi, a gioco completato, mi sento di dire che è stata un eccesso di apprensività.
Grazie a un punto di vista ancorato a pochissima distanza dal corpo del personaggio giocante, un difetto per diversi autori che hanno approcciato il titolo in fase di hands-on e per me invece una delle trovate più intelligenti di Bloober Team, è possibile sentirsi ancora smarriti e insicuri in qualsiasi stanza si visiti: il colpo d'occhio è limitato e rilevare i nemici nelle immediate prossimità risulta - giustamente - tutt'altro che semplice. Una soluzione di compromesso per disancorare il remake dalla telecamera fissa, che a mio avviso riesce con successo a svecchiare uno degli elementi più delicati dell'opera originale, a cavallo fra feature e l'essere figlia dell'hardware del tempo.
Ciò che funziona un po' meno efficacemente, sempre rimanendo sul solo fronte estetico, è l'illuminazione degli ambienti. La torcia portatile di James, nel lento e inesorabile rabbuiarsi dei luoghi esplorabili, non sempre fa il suo lavoro in maniera corretta, con un'intensità che aumenta scarsamente quando il giocatore si trova a poca distanza dagli oggetti illuminati e una resa a schermo generalmente poco elegante. Se in Alan Wake II abbiamo avuto a che fare con fasci di luce la cui struttura mimava realmente il funzionamento delle torce nella vita reale, qui siamo davanti a un tradizionale cerchio che si sposta con il personaggio e sbianca in maniera artificiale ciò su cui viene proiettato; un peccato, se è vero come è vero che è soprattutto nell'illuminazione e nell'ambient occlusion che la next-gen si sta raccontando (...o tenta di farlo).
Lo stesso discorso, purtroppo, vale anche per le poche luci presenti in alcune location di Silent Hill, per le quali spesso ho avuto la sensazione che funzionassero meno di quanto lo stessero facendo nella testa di Bloober.
Mi riferisco in particolare al segmento dedicato alla Prigione di Toluca: in una delle varie addizioni raccontante in questa recensione, James ha la possibilità di azionare delle leve che per qualche secondo forniscono luci aggiuntive nelle carceri infernali che si ritrova a esplorare, ma il loro effetto è talmente scarso che dopo pochi utilizzi ho proceduto a ignorare la meccanica senza che la qualità o l'efficacia del mio giocato variasse. E per quanto l'horror voglia l'oscurità, è forse nel bilanciamento tra luce e buio che si annida la paura.
Accingendoci a discutere il level design invece, proprio come per gli enigmi, le location sono rimaste le stesse nella loro filosofia, ma nel contenuto sono variate più o meno intensamente divenendo disorientanti what-if delle originali. Talvolta troviamo stanze inedite, come i già citati negozi della città, e in altri casi vengono presentate variazioni sul tema di aree già note, come un riassettamento dell'ordine nel quale le si esplora, un contenuto alterato o metodi di accesso originali. Spesso c'è persino un'intelligente anticipazione o postposizione di alcuni eventi chiave del titolo originale, che il giocatore veterano associa a uno specifico corridoio o luogo, e che invece vengono riposizionati quanto basta per rinvigorire il fattore di spavento e sorpresa: non penso di esagerare dicendo che Silent Hill 2 Remake sia uno dei titoli nei quali percepisco un perfetto equilibrio di sensazioni sia per chi vive l'esperienza per la prima volta, sia per chi rivive la giostra dell'incubo per l'ennesima volta.
Per ringiovanire ulteriormente la formula originale, poi, Bloober Team inserisce anche le meccaniche della rottura dei muri di alcune mappe, della scalata di alcune finestre o della sacra arte metalgeariana dello strisciare nei pertugi, tutte location segnalate da crepe e drappi bianchi che le rendono facilmente rilevabili. Grazie a loro le sessioni esplorative risultano ancora più profonde: una porta chiusa non equivale sempre a una chiave da scovare, e talvolta sarà necessario un po' di pensiero trasversale, trascendendo la normale struttura delle piantine delle aree, per comprendere come procedere in un luogo apparentemente inaccessibile. Un pregio del quale beneficiano particolarmente le fasi di gioco in "Otherworld", nelle quali il level design si destruttura e piega le normali leggi dell'architettura; se siete a Silent Hill per la prima volta e non sapete di cosa sto parlando, fidatevi di me, non volete saperlo in fase di lettura di una recensione. Scopritelo.
Come avrete intuito quindi il level design di Silent Hill 2 Remake è stratificato e complesso, ma ogni suo elemento vecchio e nuovo è in grado di sinergizzare con gli altri, in un risultato positivo apprezzabile anche evitando paragoni con l'originale esperienza del 2001. Senza mezzi termini: il level design di quest'opera è ingegnoso, ancorato ancora una volta alla continua necessità di consultare la mappa e capace di intersecare luoghi apparentemente scollegati attraverso trovate inedite, che rendono la decadenza di questo purgatorio un elemento ludico oltre che estetico; il tutto, peraltro, senza rinunciare alle classiche e numerose porte che sono e saranno bloccate vita natural durante, restituendo una sensazione di claustrofobia che pochi altri horror sono capaci di donare.
A costo di sembrare un disco rotto, però, i difetti di quest'opera si percepiscono nella visione d'insieme del software, piuttosto che nell'analisi dei singoli elementi che lo compongono. Rendendo ogni area nevralgica più grande e ricca di stanze ed enigmi ci si ritrova a passare al loro interno molto più tempo, diluendo il loro impatto emotivo e livellando ogni segmento del titolo alla stessa durata: in Silent Hill 2 originale ci sono certe sezioni che richiedono meno ore di gioco di altre, e che riescono a brillare proprio in virtù del loro essere piccole pillole di terrore alternate alle altre macro location, come le prigioni o gli appartamenti, che invece si assomigliano nell'approccio e stesura. In questo remake ho invece avvertito lo sforzo, forse inutile e talvolta persino dannoso, di allungare e arricchire le suddette sezioni più minute, aggiungendo alcune attività dal gusto "filler" e persino fuori fuoco rispetto al resto dell'esperienza. In una specifica parte del playthrough, per esempio, ci sarà persino un frangente nel quale James si ritrova obbligato ad affrontare delle orde di nemici per accedere all'area successiva: analizzata singolarmente può avere anche senso, ma se inserita nel contesto di un gioco che non invita mai a combattere se non quando si è costretti... un po' meno.
C'è poi da dire che se le varie stanze dei piani delle strutture infernali esplorate riescono a comunicare fra loro, con interconnessioni talvolta lineari e in altri casi più criptiche, nel lavoro di conversione si è persa un po' di verticalità dell'opera. Più si procede nel titolo e meno si dovrà fare zig-zag tra i diversi piani di una struttura per uscire vivi dal labirinto di turno, divenendo sufficiente affrontarli uno per volta, raccogliere gli oggetti chiave utili per il successivo e lasciarsi alle spalle per sempre quello appena visitato. Anche in questo caso, forse, la scelta di Bloober Team è quella di venire incontro a un'utenza che ha spesso bisogno che il proprio obiettivo sia chiaro da subito, senza dover consumare ore di gioco a salire e scendere le scale per capire quale possa essere la prossima stanza con la risposta ai propri problemi; qualcosa che percepisco però come pregio monolitico dell'opera originale, poiché il senso di disperazione del non sapere bene come progredire, mentre i nemici ci inseguono, è e rimane catalizzatore del terrore.
Un'altra delle grandi paure per questo remake di Silent Hill 2 si annidava nella possibile centralità dei suoi combattimenti, di fatto protagonisti dei primi trailer dell'opera. Davvero in questo rifacimento bisogna menare sempre le mani? È possibile che Bloober Team non abbia colto che nell'originale si dovesse sopravvivere, piuttosto che eliminare?
Potete tirare un sospiro di sollievo. Silent Hill 2 Remake, al netto di una comunicazione che andava in senso opposto, presenta lo stesso equilibrio che ha reso celebre la saga: gli scontri sono e rimangono opzionali, e soprattutto sbilanciati a favore delle amenità incontrate da James. Anche se la telecamera di gioco libera e la visuale in terza persona rendono sicuramente gli spazi e le distanze più intelligibili dell'esperienza del 2001, quasi tutti i mostri di Silent Hill sono stati dotati di attacchi aggiuntivi che rendono ancora più complesso affrontarli: le Lying Figure hanno diversi pattern con i quali sparano acido che variano in gittata e tempo di "casting", i Mannequin alternano attacchi rapidi a quelli rallentati e alle prese, e altri nemici tirano fuori assi dalla manica che possono essere memorizzati ed evitati solo dopo un percorso di trial and error.
Beninteso, a fine avventura il giocatore potrà interiorizzare la maggior parte dei ritmi dei colpi nemici, ma per farlo sarà necessario decidere volontariamente di dedicarsi al combattimento al prezzo di preziosissime risorse in termini di munizioni e cure, per le quali governa un principio di scarsità persino più grande dell'opera originale; il percorso preferibile, se non volete finire come me e beccarvi il finale "In Water", è tirare dritto ogniqualvolta uno scontro non sia necessario.
A coadiuvare il dogma della fuga che ferisce più della spada troviamo poi un superlativo lavoro fatto sui comportamenti e caratteristiche speciali dei nemici, che rimangono gli stessi dell'opera originale ma con qualche guizzo d'originalità che rinvigorisce la loro capacità di spaventare. I Mannequin ad esempio possono fermarsi in posa plastica in una stanza, non permettendo al segnale radio di James di captare la presenza di un nemico, e il numero di "stance" a loro disposizione è ora vertiginosamente salito: possono correre davanti agli occhi del giocatore per poi stare in piedi in un angolo buio, magari essere nascosti sotto a un tavolo completamente rannicchiati, o persino...
...no. Non ve lo dico. Come diceva una vecchia conoscenza dell'internet, "vi dovete spaventare".
In generale, ogni nemico del remake risulta più vivo e intelligente rispetto alla propria controparte dell'originale, dà l'impressione di saper attaccare e anche comprendere quando nascondersi alternando assalti a vere e proprie fughe - cosa che solo le Lying Figure facevano un tempo. E non c'è neanche più il buon vecchio caricamento a proteggerci, poiché i nemici aprono porte, rompono e scavalcano finestre, potendo di fatto essere seminati solo una volta superato il loro limite di "aggro"; talvolta poi hanno varianti uniche partorite solo in "otherworld", le cui peculiarità possono venir indagate solo con il suddetto trial and error e con qualche ferita in più da leccare mentre si è in fuga. Ottimo anche l'operato per svezzare il giocatore dal continuo uso del menù, in particolare su PS5 grazie alle integrazioni con Dualsense: lo stato di salute è ora segnalato dal colore della luce del D-Pad, e la ricarica delle proprie munizioni, che su PS2 avveniva comodamente nel menù, ora può essere operata solo in tempo reale mentre si hanno i nemici alle calcagna.
Lo stesso clima di positività, con grande sollievo dato che si trattava di un grande difetto di Silent Hill 2, abbraccia la quasi totalità delle boss fight del remake. Non più stanze microscopiche nelle quali sparare colpi a raffica ma sequenze realmente strutturate, nelle quali le creature più coriacee alternano fasi diverse di pattern di attacchi e stati, interazioni con ambienti più complessi eppur sempre intelligentemente angusti e coreografie che raccontano in maniera più puntuale la natura di queste mostruosità. L'unico neo, forse, riguarda ironicamente le sequenze di Pyramid Head, sulle quali ho percepito una vera e propria paura di toccare il mostro sacro di Masahiro Ito, forse oggi mascotte della saga e uno degli antagonisti dell'horror videoludico più famosi di tutto il mondo; un peccato, perché nella loro fedeltà a una delle sezioni più deboli del figlio di Team Silent risultano anche le meno ispirate e piacevoli.
Come avrete cominciato a intuire, Silent Hill 2 Remake è un'opera che riesce a portarsi il pane a casa seppur con qualche inciampo in ogni singola sezione sinora presa in analisi. Dove invece purtroppo fallisce nell'essere efficace, ed è un grande contro dato che per me sarebbe dovuto essere uno dei più importanti processi di svecchiamento dell'opera, è sul versante tecnico.
L'inesperienza di Bloober Team in tal senso è evidente, in primis in ottica di ottimizzazione. Le cutscene di gioco mostrano il fianco a inspiegabili cali di framerate che impattano negativamente il senso di immersione del giocatore. Ci si può augurare che con qualche patch day one la situazione migliori, certo, del resto anche durante la fase di review ho avuto occasione di aggiornare il gioco e percepire qualche lieve miglioramento, ma ahimé il framerate non è neanche l'unico problema: le animazioni dei movimenti e delle espressioni facciali in Silent Hill 2 Remake non sono ottenute tramite motion capture ma disegnate a mano, e il risultato ottenuto è spesso incapace di comunicare le emozioni dei personaggi protagonisti del racconto, paradossalmente spesso meno veri e reali della loro controparte agée.
Il difetto è acuito dal fatto che i dialoghi siano stati effettivamente rivisitati e migliorati rispetto al 2001, attraverso una scrittura più oculata e un lavoro di doppiaggio degno di questo nome, e se da una parte alcune tematiche sono più facilmente percepibili, prima fra tutte la forte tensione sessuale tra James e Maria e la tentazione costante di concedersi a lei, dall'altra abbiamo una struttura di mimiche facciali che non sta al passo con il cambiamento - generando un senso di "uncanny valley" non esattamente intenzionale e per questo tutt'altro che spaventoso. Quantomeno, non nel modo in cui vorrei essere spaventato da un gioco horror di questo calibro.
Se a questo ci aggiungiamo il discorso già intrapreso sull'illuminazione, una presentazione generale di tutti i liquidi a schermo tutt'altro che convincente, la solita modalità prestazioni che su PS5 è una scelta obbligata se non si desidera giocare a 20 FPS e alcune inspiegabili outline che appaiono talvolta sui nemici quando vengono sconfitti, si realizza che il giudizio sul versante tecnico non possa essere positivo. Non si tratta certo di qualcosa che mi ha impedito di avvertire il prurito di progredire nel gioco, né tantomeno ha rovinato i pregi finora descritti, tra ambienti, level design e combat system genericamente convincenti; è innegabile però che una delle più cruciali caratteristiche di un remake che avviene a oltre vent'anni di distanza, l'evoluzione tecnica del materiale di base, sia stata messa a fuoco solo a metà.
No, non siamo davanti al nuovo "Resident Evil 2 Remake", ma neanche al cospetto del disastro anticipato che percepivo qualche mese fa, e per il quale ero già pronto con il "de profundis". Silent Hill 2 Remake di Bloober Team, grazie a un poderosissimo e coraggioso lavoro di reinterpretazione del titolo di consacrazione di Team Silent, ricorda che è possibile rievocare emozioni e filosofie di un gioco distante due decadi attraverso percorsi inediti e originali, senza doversi necessariamente genuflettere al diktat del "se è troppo autoriale, devi copiare". Gioca sul senso di deja-vu mostrando di aver compreso la cifra allegorica della saga, aggiunge e reinterpreta peccando forse di un po' di paura di non essere un videogioco in ogni suo secondo, e al netto di una componente tecnica a dir poco traballante presenta un combat system che corregge il tiro su una moltitudine di difetti del passato senza però mai smarrire la strada maestra.
Silent Hill 2 Remake convince? Sì, mea culpa per averne dubitato.
Silent Hill 2 Remake è godibile anche se si è giocato l'originale? Mi sbilancio. È persino a lui complementare.
Silent Hill 2 Remake è sostitutivo dell'opera del 2001? Mai, purtroppo.
Al netto dei suoi difetti, Silent Hill 2 è e rimane un capolavoro che consiglio a chiunque di recuperare, magari proprio facendo il percorso inverso rispetto al mio e tornando indietro nel tempo. Cosicché potrete capire i motivi per i quali quella gemma del videogioco, per me, rimane sempre in cima al podio.
In my restless dreams.
Pubblicato il: 04/10/2024
Provato su: PlayStation 5
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