PHOENIX SPRINGS

DOMANDE SENZA FINE

La voce di Alex Anderson Crow è monocorde, sempre. È lei l’anima di Iris Dormer, protagonista di Phoenix Springs: una donna che vive in uno Stato evidentemente preda di un regime dittatoriale – elemento appena accennato, mai approfondito nel gioco – ma soprattutto una reporter decisa a scoprire che fine ha fatto suo fratello Leo. È lui il primo pensiero di Iris mentre siede sul treno, all’inizio dell’avventura. E i pensieri sono il cuore pulsante di Phoenix Springs, un punta e clicca che lasciava intuire di essere più innovativo, a livello di meccaniche, rispetto a ciò che è davvero – non che questo sia un difetto di per sé, sia chiaro.

I pensieri e gli indizi raccolti da Iris funzionano come degli oggetti: vanno combinati con il giusto elemento dello scenario, o la giusta persona con cui parlare, per poter proseguire nel tortuoso percorso che porterà Iris a scoprire il destino del fratello. Ci si muove all’interno di un mondo neo-noir assolutamente spettacolare da vedere. Sembra di vivere in un fumetto animato, con tinte fortissime e contrasti di luce e ombra opprimenti, in cui il nero è catramoso, appiccicoso e viscido come una colata di petrolio sulla pelle. Iris si trova invischiata in una trama più grande e più forte di lei, con soltanto flebili conoscenze e connessioni a guidare i suoi passi. Gli effetti sonori sono quasi totalmente diegetici: il rumore dei passi della protagonista; il ronzio dell’elettricità statica proveniente da una vecchia radio; la musica che romba nelle alte sale di un’università in rovina.

Il primo indizio a disposizione su Leo è una fotografia di Iris e del fratello minore da bambini; tramite un computer fornito dal governo – su cui è possibile trovare soltanto una limitata, e controllata, quantità di informazioni – riusciamo a trovare un indirizzo: il numero 17 di Taibao Street. Leo abita ogni angolo del mondo, anche questo, in cui aveva vissuto in passato. “È un uomo che la polvere chiama per nome”, dice Iris, la cui voce è il filtro necessario di ogni evento, di ogni conversazione che avviene all’interno del gioco. Calligram Studio è un piccolo team composto da tre persone che per otto anni hanno lavorato a Phoenix Springs, loro opera prima: è indubbio che la scelta di avere una sola doppiatrice sia anche (forse soprattutto) frutto di limitazioni legate al budget del gioco, ma raramente come in questo caso si tratta di un limite dagli esiti felici, poiché la narrazione si sviluppa in maniera peculiare, come se Iris fosse la cruna di un ago attraverso cui tutto deve passare. E, necessariamente, da cui qualcosa resta fuori.

Non è, invece, del tutto riuscita la scelta di aprire radicalmente l’ambientazione nella seconda parte del percorso della protagonista. Eviterò a tutti i costi gli spoiler, data la natura spiccatamente narrativa del titolo: vi basti sapere che, a un certo punto, si giunge in un luogo con tante strade e stradine, e una miriade di personaggi con cui parlare. Ogni interazione in Phoenix Springs è straniante e surreale: non aspettatevi le tradizionali conversazioni triviali con personaggi non giocanti con poco o nulla da dire. “Grazie di nulla”, dice Iris, piccata, all’ennesima persona che non le dà indicazioni utili su dove andare. “Non sono una carta dei tarocchi. Ho dignità e bisogni”, le risponde il PNG in questione.

Phoenix Springs merita di essere giocato già solo per questo rovesciamento del tradizionale luogo comune dell’ambiente di gioco (animato o inanimato) come elemento puramente al servizio delle esigenze del protagonista, in quanto luogo virtuale capace di metterci costantemente a disagio. In questo senso, la scelta di inserire un luogo decisamente aperto (se non confusionario) risulta funzionale alla costruzione di questa risposta estetica nella mente del giocatore, ma non ho potuto fare a meno di sentirsi insoddisfatta alla conclusione del percorso di Iris, fatto di mille domande, ma di pochissime risposte.

Alla fine del viaggio in questo mondo pulsante e velenoso, pieno di anime perse, mi sono sentita perduta anch’io. Ho incontrato una giardiniera che affermava di aver piantato ogni ciuffo d’erba nel suo orto, ma riconosceva di riuscire comunque a comprendere quelle forme di vita che lei avrebbe dovuto conoscere tanto bene. “Chiedo di Leo. Incessantemente”, pensa Iris, tra sé e sé. Nonostante le tante domande, la conoscenza del fratello continua a sfuggirle. Ed elude anche noi, così come non riusciamo a metterci mai pienamente nei panni della protagonista, filtro del mondo che lascia sempre fuori sé stessa. Se Leo è “la forma più tagliente” di questo mondo, Iris ne è il setaccio. Non ho potuto fare a meno di domandarmi se mi sarei sentita più soddisfatta ottenendo da Phoenix Springs delle risposte ai miei interrogativi. A prescindere, si tratta di un’esperienza di raro fascino, una di quelle che consiglierei a chiunque, perché perdersi, talvolta, può essere un gesto prezioso. Del viaggio di Iris mi resteranno impresse nel cuore, più di tutto, delle istantanee: un corpo dal volto parzialmente scarnificato; il giallo abbacinante delle sabbie del deserto; un rave disperato che dura da cinquantasei ore; e poi gli occhi grandissimi di Iris, il cui coraggio è tutto guardare, guardare, guardare.

Pubblicato il: 10/10/2024

Provato su: PC Windows

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3 commenti

Gioco scoperto per puro caso grazie al mai elogiato abbastanza elenco scoperte di Steam e mi ha stupito da subito. Mi dispiace leggere di qualche mancanza ma con uno stile così unico non me lo lascerò sfuggire, sono prodotti che vanno sostenuti.

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