ARCANE 2

Recensione


Secondo un articolo pubblicato da Variety, testata specializzata in cinema e televisione, le due stagioni di Arcane sono costate circa 250 milioni di dollari. Parliamo di 18 episodi, quindi di una media per puntata di circa 13 milioni di dollari. Sono tanti? Sono pochi? Sono, anzi, abbastanza? Perché il punto, con una produzione come Arcane, è esattamente questo: non ci troviamo davanti a niente di già visto o di già tentato; e ogni cosa – ogni scelta artistica e ogni scelta tecnica – rappresenta una piccola, grande rivoluzione. Un primissimo passo in un mondo ignoto. 

Arcane è arrivata in un momento preciso. Quando, cioè, Hollywood e le piattaforme streaming hanno scoperto (pardon: riscoperto) il potenziale delle storie tratte dai videogiochi. League of Legends non aveva nessun bisogno di una serie tv per raggiungere un altro pubblico – è League of Legends: anche chi non gioca ai videogiochi ne ha sentito parlare almeno una volta. Probabilmente la spinta che ha dato il via a questa operazione è stata un’altra; probabilmente, Riot Games – che è la società che ha sviluppato League of Legends – cercava come i suoi competitor di allargare la propria riconoscibilità. 

Se Hollywood ha dimostrato di avere bisogno delle storie dei videogiochi per continuare a parlare a un pubblico ampio e attivo (e lo dimostrano sia il successo di The Last of Us che quello di Fallout, senza dimenticare – e in questo caso parliamo di cinema – i risultati al box office del film di Super Mario), le realtà videoludiche stanno cercando di trasformarsi e di spingersi altrove, su mercati differenti. E così nascono i giochi da tavolo, i film, le serie, i libri; il merchandising. E, talvolta, le carte da collezione. Un brand è buono finché, in un modo o nell’altro, può consolidare la propria base e la propria visibilità e continuare, parallelamente, a portare soldi e – semplificando al massimo – clienti. Quindi sì, la nascita di Arcane non deve coincidere per forza con le aspirazioni artistiche del team di sviluppo. Quando però Riot Games ha deciso di procedere con il progetto, è chiaro che le premesse iniziali, di pura visione industriale, sono state affiancate da altri spunti.

Christian Linke e Alex Yee, i due co-creatori di Arcane, sono riusciti a prendere una cosa che tutti, bene o male, già conoscevano e a darle una nuova vita e una nuova forma. Per questo, è difficile giudicare, con occhi completamente obiettivi, il budget che è stato utilizzato. A margine c’è anche un altro tema che merita di essere approfondito. Ed è quello che riguarda Netflix, la piattaforma streaming che distribuisce Arcane. Fin dalla prima stagione, è stata evidente una certa schizofrenia comunicativa: se per Netflix era importante parlare ai videogiocatori di LOL, proprio per allargare la sua base di abbonati (o almeno, per provarci), per Riot l’obiettivo è sempre stato quello di parlare a chi non si occupa unicamente di videogiochi ma pure di cinema, serie tv e, più in generale, di produzioni audiovisive. Nonostante gli incredibili guadagni che una fetta consistente di mercato videoludico riesce a ottenere, si sente ancora il bisogno di farsi accettare dalla stampa generalista e dal pubblico più ampio. E questo è sia naturale – siamo tutti, bene o male, portati a cercare l’approvazione degli altri –sia controproducente – non si può vendere un prodotto come Arcane senza prima aver inquadrato perfettamente il pubblico di riferimento, il cosiddetto “zoccolo duro”. 

Questa premessa è fondamentale perché ci permette di aggiungere un altro elemento al discorso: la seconda stagione di Arcane sarà l’ultima. Probabilmente ci saranno spin-off sui singoli personaggi, verranno sviluppati film (quindi ci si sposterà dalla dimensione dello streaming per tornare a una distribuzione più classica) e Riot Games continuerà a esplorare, in altri linguaggi, una delle sue proprietà intellettuali più conosciute. Allo stesso tempo, però, con una chiusura relativamente repentina, Arcane ha mostrato i suoi limiti: una serie del genere, di questa qualità, con queste aspettative e aspirazioni, non può andare avanti a lungo se non riceve una determinata risposta dal pubblico – una risposta che, intendiamoci, la rende indispensabile per l’offerta e per il palinsesto del suo distributore. Quante persone si sono abbonate a Netflix per Arcane? E quante, invece, l’hanno recuperata successivamente? Parlare di numeri e di streaming è sempre difficile, ma è anche un argomento di cui essere consapevoli. Perché non basta voler fare le cose, o avere le spalle coperte dal “fandom” di un particolare titolo, per riuscire. Ci sono molteplici varianti ed è di vitale importanza provare a tenerle in considerazioni – magari non tutte, ma per la maggior parte sì.

Arcane è, e non ci gireremo intorno, un capolavoro. E questa seconda stagione – la prima parte arriverà oggi, 9 novembre; le prossime, invece, verranno pubblicate su Netflix il 16 e il 23 novembre – ne è una riconferma. Capolavoro, in questo caso, non significa “perfezione”: significa che, per ciò che Arcane fa e che offre allo spettatore, rappresenta un punto di riferimento per l’intera industria. Usare l’animazione come linguaggio è contemporaneamente un vantaggio e uno svantaggio. È un vantaggio perché permette alla scrittura di essere più libera e alla regia di concentrarsi esattamente su ciò che vuole catturare, senza doversi prima porre troppe domande sui tempi di lavorazione. È uno svantaggio, invece, proprio per la qualità costante dei risultati e per il budget che, così, deve essere investito. 

La storia riprende più o meno dalla fine della prima stagione, e la cosa più importante, ancora una volta, è il modo in cui le trame verticali che riguardano i singoli personaggi – un esempio su tutte: quella che si focalizza sul rapporto tra Vi e Jinx – vengono intrecciate alla trama orizzontale, che ha lo scopo di tenere insieme le varie parti del racconto. Tornano sia la dicotomia tra bene e male sia la contrapposizione costante tra ricchi e poveri, tra città alta e città bassa. Rispetto alla prima stagione, però, la scrittura fa qualcosa di più: allarga il genere, si riappropria dell’azione e dello steampunk e li piega completamente alle sue necessità. Siamo in un mondo fantastico, è vero. Eppure la politica, la sua gestione e l’equilibrio stesso che regola la vita quotidiana hanno un senso e una concretezza realistici. 

C’è una compressione, almeno durante la prima parte, dei luoghi e degli spazi affollati, proprio per tenere sotto controllo l’andamento della narrazione. Ai personaggi, in questo modo, viene data la possibilità di venire avanti e di diventare, nella loro unicità, dei veri e propri archetipi. L’eroe, il buono, il ladro, il malvagio, lo scienziato, il mercenario. E così via. Ma oltre alla superficie c’è, ovviamente, l’approfondimento che deriva dalle interazioni e dalle battute che vengono pronunciate. Resistono la violenza, forse ancora più grafica ed esplicita, e il sesso, decisamente più elaborato e delicato.

Arcane ha sempre fatto fatica, anche durante la prima stagione, a limitare al massimo le scene fini a sé stesse – a evitare, cioè, una ricercatezza artistica e tecnica senza alcuno scopo effettivo all’interno del racconto. Le sequenze che aprono i vari episodi ne sono una prova. A volte, sono sequenze piene di musica e di coreografie. Altre volte, e succede di rado, sono dei prologhi che anticipano qualcosa della puntata che sta per iniziare. Insomma, per Arcane – e per chi ha lavorato ad Arcane trovare un bilanciamento tra necessità di scrittura e di regia e aspirazioni stilistiche non è solo importante: è indispensabile. La seconda stagione lavora efficacemente su questo, sul continuo raggiungimento di un’armonia visiva e contenutistica. 

Le animazioni e i colori sono l’essenza della serie. E la cura che c’è stata con l’espressività dei personaggi è, senza ombra di dubbio, eccellente. Basta concentrarsi su uno dei protagonisti per avere un quadro completo di ciò che sta succedendo all’interno della serie. E in alcuni momenti – tra i migliori di tutta Arcane le inquadrature indugiano sui visi, sugli occhi, sulle sopracciglia che si inarcano e su queste labbra così piene e vive per restituire allo spettatore emozioni e sentimenti che hanno una profondità precisa. Siamo partiti dal rapporto tra due sorelle e ci siamo spostati velocemente alla tenuta politica ed economica della città in cui vivono e alla traballante alleanza che sembra unire, per un periodo, i criminali. E poi? Poi c’è tutto il resto: c’è l’arcano, con i suoi misteri e i suoi effetti collaterali; c’è l’incontro tra Jinx e un’orfana (personaggio che non dice nemmeno una parola e che, ciò nonostante, grazie all’espressività di cui abbiamo parlato poco fa, riesce a essere di una complessità incredibile); c’è la sete di potere, e c’è la paura

Sono temi, e lo sappiamo, ampissimi. Che potrebbero adattarsi a qualunque serie. Dalla sua, però, Arcane ha anche un’altra cosa: lo stile. Visivamente, continua a essere una delle migliori serie animate degli ultimi anni – se non addirittura la migliore in assoluto. Suonerà banale, ma Arcane è bella da vedere e da studiare; è così piena e ricca di dettagli che può quasi rappresentare una sfida per lo spettatore, perché è davvero difficile tenere traccia di tutto ciò che accade sullo schermo. Insieme al linguaggio, a questa fitta trama di scorci, elementi, movimenti e sfumature, c’è la musica. E con la musica, la scrittura raggiunge picchi narrativi importanti, che coincidono esattamente con la tensione o con l’epica del racconto.

Arcane non è una serie solo per gli appassionati di League of Legends. Non serve, paradossalmente, conoscere la storia del videogioco per poterne apprezzare appieno ogni risvolto e passaggio. Arcane è una serie per tutti. Ed è con quest’idea che è stata progettata, immaginata e sviluppata. Al di là delle varie considerazioni, dei costi, dell’approccio che Riot e Netflix hanno avuto, del modo in cui la serie è stata raccontata e venduta al pubblico, resiste il suo valore. E sono il suo valore e la sua qualità a farne uno dei titoli più importanti del piccolo schermo: sia per chi vede i videogiochi come un possibile futuro per l’intrattenimento cinematografico e televisivo sia, poi, per chi vuole semplicemente godersi delle belle storie. Arcane dovrebbe rappresentare un punto di partenza per tutti quei titoli – animati e live action – che vogliono raggiungere questo livello di ricchezza visiva e di scrittura. Perché non è solo di una cosa che parla. Usa il genere e i suoi personaggi per occuparsi del tema più importante che ci sia: la vita. E lo fa senza dimenticarsi di nulla: né delle sue contraddizioni né delle sue brutture né della sua straordinaria capacità di stupire.

Pubblicato il: 09/11/2024

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2 commenti

Bellissimo articolo Gianmaria, la tua scrittura mi tiene sempre incollato.

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