MOUTHWASHING
SPERO FACCIA MALE
Parlare di Mouthwashing senza fare spoiler è complicatissimo e, soprattutto, renderebbe questa recensione infinitamente più debole. Per raccontare adeguatamente il gioco ho bisogno di trattare anche solo superficialmente alcuni avvenimenti sottili ma importantissimi che ne puntellano la trama, quindi siete avvisati.
Sul freddo schermo della cabina di pilotaggio appare un avviso di pericolo. La Tulpar sta per schiantarsi contro un meteorite, e per evitarlo è richiesto al pilota di virare di qualche grado verso sinistra. Il pilota siamo noi, ma una volta che si prende il controllo dei comandi della nave a schermo appare solamente un prompt: “vira verso sinistra”. Il computer di bordo reagisce quasi deluso all’input, annunciando di aver trattenuto dei crediti dallo stipendio dell’equipaggio a causa della sua negligenza e facendo intervenire il pilota automatico. La persona di cui siamo ai comandi, però, è determinata a fare in modo di centrare il meteorite, quindi disattiva il pilota automatico. Poco dopo arriva lo schianto. La Tulip non va in mille pezzi, anzi sopravvive allo schianto e si riempie di schiuma protettiva, una sorta di air bag siderale pensato per tamponare le falle del suo scafo in caso di collisione in maniera tale da garantirle di arrivare a destinazione. A venire polverizzata, però, è l’apparente pace che regnava sulla nave fino a quel momento tra i membri dell’equipaggio.
Mouthwashing si apre con una schermata che contestualizza nel tempo e nello spazio il viaggio che il giocatore sta per intraprendere. Siamo su una nave cargo spaziale, lanciata chissà dove in un viaggio della durata approssimativa di poco più di un anno per effettuare una consegna. Non è dato sapere cosa sia stivato all’interno della Tulpar date le ferree regole aziendali volte a proteggere il carico. Un incipit molto simile a quello di Alien (1979) e a quello di mille altre opere ambientate fra le stelle. In fondo alla pagina, però, c’è qualcosa di diverso e… inquietante. È una scritta, che nello stesso innocuo font che poco sopra illustra i dati di navigazione recita una singola, terribile frase.
I HOPE THIS HURTS
Il giorno dello schianto i cinque membri della Tulpar (Curly, Jimmy, Anya, Swansea e Daisuke) stanno convivendo sulla nave da 147 giorni. Cinque mesi di clausura all’interno di un ammasso di ferraglia sparato a tutta velocità fra le stelle, cinque mesi obbligati a condividere tutto tra gli angusti corridoi tappezzati di poster decorati di slogan aziendali che impongono a tutti rigore e professionalità sul posto di lavoro. Dopo lo schianto cambia tutto. Curly, il capitano della nave, viene estratto dalle lamiere della cabina di comando in condizioni disperate. Ha perso braccia e gambe, il suo corpo è maciullato in un patchwork di ferite profonde e sanguinanti, e il suo volto sfigurato viene coperto di bende da cui spunta un grande e rotondo occhio azzurro che osserva impotente tutto ciò che gli accade attorno.
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La struttura narrativa di Mouthwashing è volutamente confusionaria, perché non si limita solamente a saltare avanti e indietro nel tempo per raccontare il groviglio dei suoi avvenimenti (tendenzialmente si passa da qualche giorno prima dello schianto a qualche mese dopo), ma mette il giocatore nei panni di due personaggi. si passa dall’interpretare Curly nelle scene antecedenti all’incidente all’assumere il punto di vista di Jimmy in quelle ambientate nei mesi successivi.
TAKE CARE OF IT TAKE CARE OF IT TAKE CARE OF
Questo crea una continua confusione (intesa in senso strettamente positivo, s’intende) che obbliga ad impegnarsi per sbrogliare la timeline degli eventi. anche perché Curly e Jimmy sono due personaggi profondamente diversi, e il fatto che il primo sia ridotto a vivere come una larva muta e dolorante non fa che ingigantire la sensazione che ci sia qualcosa che non torna dietro alla facciata di bravo secondo in comando messa su da Jimmy dopo l’incidente.
Immaginate per un attimo di trovarvi ad anni luce da casa, su una bagnarola semidistrutta i cui sistemi anticollisione hanno precluso l’accesso a gran parte delle cabine e degli spazi comuni. Immaginate di sapere in cuor vostro di essere destinati a morire nel vuoto dello spazio, e che, nella remota possibilità che possiate salvarvi, una volta tornati a casa non avreste più nulla per sostenervi economicamente. Come reagireste? Come passereste quegli angoscianti mesi in attesa della fine? Ecco, ora immaginate di scoprire che la cruciale missione aziendale per cui state per sacrificare le vostre vite sull’altare del profitto di qualcun altro sia consegnare migliaia di casse di… colluttorio.
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Questa scoperta da parte della crew della Tulpar manda tutti in crisi, soprattutto dopo che i membri dell’equipaggio scoprono che il colluttorio contiene alcool e cominciano a distruggere il proprio fisico ingurgitandone quantità insane per ricercare un’ubriachezza che renda in qualche modo tollerabile la loro situazione. Questa, però, è solamente la superficie di Mouthwashing, perché il cuore dell’esperienza sta proprio nella discesa all’inferno di Jimmy, che una volta ritrovatosi nella posizione di capitano promette a tutti che salverà la situazione e riporterà i propri compagni sani e salvi a casa. Jimmy non è Curly, e questo costante confronto, enfatizzato da tutti quei momenti in cui Jimmy si ritrova faccia a faccia con ciò che rimane del corpo del vero capitano della Tulpar, lo manda completamente fuori di testa.
È in questi momenti che Mouthwashing dimostra tutta la potenza della sua scrittura. In un videogioco in cui si è costretti ad avere a che fare con un torso umano appeso alla vita da un filo, con le visioni angoscianti partorite dalla mente distorta di Jimmy e, soprattutto, con la discesa nella follia di un gruppo di colleghi costretti ad attendere l’esecuzione di una condanna immeritata, i momenti più disturbanti sono incredibilmente quelli puramente introspettivi. Ci ritroviamo nei panni di un essere umano disgustoso, colpevole e soprattutto vigliacco, così inetto e incapace di affrontare il peso delle proprie azioni da arrivare a distorcere la realtà pur di non ammettere di essere nel torTAKE RESPONSIBILITY TAKE RESPONSIBILITY TAKE RESPONSIBILITY
Mouthwashing parla dell’apocalisse in miniatura della Tulpar, di abusi, di responsabilità. La verità, però, è che Mouthwashing è soprattutto una gelida analisi di ciò in cui il sistema in cui viviamo ci ha trasformati. Jimmy è il figlio perfetto di una società che ci mette gli uni contro gli altri, che ci impone di utilizzare la carriera come unico metTAKE CARE OF ITro di paragone per misurare il nostro valore come esseri umani. La scalata alla cosiddetta corporate ladder genera invidia e insoddisfazione, gli stessi sentimenti che hanno portato Jimmy ad essere ciò che è: un verme che passa i mesi antecedenti alla sua dipartita a fingersi il capitano di una nave che – fuor di metafora – sta colando a picco mentre lui si racconta di essere in grado di sistemare tutto. Tanto, nella sua testa, basta nascondere la polvere sotto al tappeto.
Il momento che mi ha ferito più nel profondo, però, è stato in assoluto quello in cui mi sono ritrovato inaspettatamente nei panni del complice di un abuso. Non voglio approfondire troppo il discorso perché è giusto che chiunque voglia mettere mano a MouTAKE RESPONSIBILITYthwashing possa esperire quel momento in totale autonomia e possa trarre le proprie conclusioni in maniera del tutto autonoma, però vi posso assicurare che ho trovato la scrittura di quella porzione di gioco di una finezza sinceramente spiazzante. Ho visto svolgersi di fronte ai miI TOLD YOUei occhi una cosa atroce, ma ad avermi fatto male non è stato tanto il fatto che non potessi in alcun modo fare qualcosa per evitarlo, quanto più il fatto che sono stato costretto a confrontarmi con la realtà, chiedendomi come mi sarei comportato io nella vita verTAKE RESPONISIBILITY TAKE RESPONISIBILITY TAKE RESPONISIBILITY TAKE RESPONISIBILITY TAKE RESPONISIBILITY TAKE RESPONISIBILITY
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Mouthwashing è un videogioco crudele, uno di quelli che ti si infilano sottopelle e che rimangono lì ad osservarti a lungo. Mouthwashing mi ha scavato dentro e mi ha fatto male perché mi ha obbligato a fare i conti con chi sono e chi mi racconto di essere ogni volta che mi guardo allo specchio. Perché è facile raccontarsi di essere un Daisuke o una Anya, ma la verità è che è molto più probabile che siamo tutti dei Jimmy. Cristo se mi ha fatto paura questa realizzazione. L’eccellenza dell’opera di Wrong Organ sta tutta qui, nel fatto che sia stato capace di comunicarmi tutto questo in sole due ore emmezza di gameplay filtrate da un’estetica low poly apparentemente senza pretese. Questa è l’ennesima riconferma del fatto che il videogioco non ha necessariamente bisogno di essere bulimico e di sbrodolarsi addosso per decine di ore per essere considerato rilevante.
Odio quando mi ritrovo a pensare o a scrivere che un determinato videogioco non sia “per tutti”. Nulla lo è, ogni singolo prodotto che consumiamo è pensato e plasmato con un target ben preciso in mente. E, di fatto, anche quello di Wrong Organ è esattamente così; per la sua estetica, la sua struttura da walking simulator, la sua violenza psicologica e il suo immaginario disturbato e disturbante. Il fatto però è che Mouthwashing è un videogioco che chiunque dovrebbe incontrare almeno una volta sul proprio cammino e che chiunque dovrebbe accettare di ascoltare, perché quello che ha da dire ha il potenziale per cambiare anche solo in maniera infinitesimale il modo in cui vediamo il mondo. È necessario che faccia male. Anzi, in cuor mio spero che faccia male.
Perché è solo così che si può capire davvero ciò che vuole comunicare.
Pubblicato il: 28/11/2024
Provato su: PC Windows
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