Urban Myth Dissolution Center

Il Giappone delle leggende metropolitane

“Le persone curiose sono dotate di buona immaginazione, e invece di spaventarsi hanno cercato nei secoli di dare spiegazioni agli eventi misteriosi”
Shigeru Mizuki

Nutro un amore intenso per le persone ostinate: quelle che non si fanno fermare neanche da un fiume in piena. Perché sono loro, il vero fiume in piena. È anche per questo che, arrivata in Giappone un anno e mezzo fa, decido di recarmi in pellegrinaggio a Chōfu, cittadina parte della conurbazione di Tōkyō. Per prima cosa visito il Jindai-ji, il secondo tempio più antico della capitale del Giappone (dopo il celebre Sensoji di Asakusa), fondato nell’anno 733. È praticamente vuoto: trovo soltanto una signora anziana che sta visitando la parte dedicata agli animali domestici, con migliaia di piccoli altarini pieni di foto e piccoli giocattoli. Dopo il chiasso e la turistificazione sfrenata del Sensoji, visita che ancora oggi ricordo come particolarmente sgradevole, è come tirare una boccata di aria fresca in alta montagna. Mi godo il silenzio, i gesti compassati della signora davanti all’altarino del suo animaletto. Quando va via, scopro che si trattava di un micio bianco e nero con un’aria molto simpatica. Dopo aver comprato un paio di amuleti per la protezione dei gatti di casa, mi dirigo a piedi fino alla mia seconda – e, in realtà, principale – destinazione: la casa-museo del mangaka e grande studioso di folklore giapponese Shigeru Mizuki

Nato centotré anni fa, da giovanissimo lavorava in una locanda per mantenersi mentre disegnava storie di fantasmi. Nel 1942, le sue attività furono bruscamente interrotte dalla convocazione che gli cambiò la vita per sempre: quella che lo obbligava a servire nell’Esercito imperale giapponese durante la Seconda guerra mondiale. Spedito nell’opprimente giungla della Papua Nuova Guinea, finì per essere privato del bene più prezioso per un disegnatore. Mizuki era mancino, e a causa di un’esplosione dovuta a un bombardamento degli Alleati perse proprio ciò che non doveva perdere: il braccio sinistro.

Le scale per accedere alla parte museale della struttura sono strette e ripide, e naturalmente di legno. Il mangaka è morto nel 2015, ma al piano superiore – al piano terra ci sono un piccolo bar e un negozio che vende i fumetti del padrone di casa – è proprio lui ad accogliere i visitatori. O meglio, un suo cartonato ad altezza naturale. Qui Shigeru Mizuki è già molto anziano; indossa un pullover color crema, pantaloni neri, e saluta chi arriva sventolando la mano destra. La manica sinistra del maglione penzola di lato, vuota. Gli attrezzi che usava per disegnare sono conservati in una teca accanto a lui. Doveva amarli davvero tanto: dopo la guerra, imparò a fare tutto con il braccio destro. Perché Shigeru Mizuki non si faceva travolgere dai fiumi in piena. Il fiume in piena era lui. E divenne celebre con un manga horror basato sugli yōkai, i mostri del folklore giapponese che lui tanto amava. Forse lo avete sentito nominare: si chiama Kitaro dei cimiteri (in giapponese, Gegege no Kitarō). Caparezza gli ha dedicato la canzone Kitaro, che è molto bella e vi consiglio di ascoltare mentre leggete quanto resta di questo pezzo, se vi va.

Durante la sua lunga vita, Shigeru Mizuki girò il Giappone in lungo e in largo per raccogliere dalla viva voce dei suoi conterranei storie popolari che rischiavano di andare perdute. Queste formarono la base di tanti suoi fumetti, ma anche di vere e proprie raccolte di narrazioni folkloristiche dedicate a mostri e fantasmi dell’arcipelago. Dalla balena spettrale chiamata Bakekujira, passando per il dispettoso Betobeto-san, fino ad arrivare al muro invisibile chiamato Nurikabe – che Mizuki sosteneva di aver incontrato nella giungla, in Papua Nuova Guinea, in un momento di difficoltà in cui non riusciva più a camminare a causa della fame, della sete e della stanchezza – il mangaka ha raccontato le storie degli yōkai per salvarli dall’estinzione. L’avvento della luce elettrica, secondo Mizuki, era la condanna a morte per questi mostri, nati in un contesto in cui la sagome incerta di un gatto nella notte o un suono dalla provenienza non identificabile potevano scatenare la fervida immaginazione umana.

Man mano che invecchiava e il progresso tecnologico diventava sempre più palpabile in Giappone, animando i treni più veloci al mondo e creando reti della metro dalle maglie più fitte della tela di un ragno, Shigeru Mizuki scoprì che mostri e fantasmi non erano incompatibili con l’elettricità, Internet e altre diavolerie assortite. Semplicemente, gli yōkai cambiarono forma: si tramutarono in ciò che definiamo “toshi densetsu”, letteralmente “leggende metropolitane”. Fu così che il brivido della velocità dei treni diede vita alla leggenda di Teke-teke, riguardante una ragazza che venne tagliata a metà sui binari da un treno in arrivo. L’invenzione della toilette portò alla nascita di Toire no Hanako-san (traducibile come “Hanako del bagno”), la storia di una ragazza chiusa nella terza cabina del bagno al terzo piano delle scuole. Potremmo andare avanti all’infinito: esistono leggende metropolitane che coinvolgono taxi, convogli della metro, persone senza volto, venditori ambulanti di cibo da strada, pastelli rossi, parchi pubblici e chi più ne ha, più ne metta.

Ho ripensato intensamente all’ostinazione (chissà, forse anche lei di origine sovrannaturale) di Shigeru Mizuki e al suo intenso studio del folklore giapponese quando ho saputo dell’esistenza di un videogioco investigativo dedicato alle leggende metropolitane dell’arcipelago. Urban Myth Dissolution Center racconta la storia di Azami Fukurai, studentessa universitaria dotata di un potere fuori dal comune: quello della psicometria. Azami riesce a vedere brandelli del passato, e quando incontra Ayumi Meguriya, direttore del Centro Dissezione Leggende Metropolitane, scopre che la sua abilità può diventare fondamentale per risolvere casi legati al mondo del paranormale. Nel corso delle dodici-quindici ore di durata dell’avventura (tutto dipenderà, essenzialmente, dalla vostra velocità di lettura), Azami investigherà varie scene del crimine, interrogherà le persone coinvolte e analizzerà i social network per scovare indizi sul possibile coinvolgimento di spettri e mostri, così risolvendo i casi che le verranno affidati.

Esattamente come avviene nella celebre serie Ace Attorney, una parte considerevole dell’investigazione consiste nella lettura dei dialoghi tra i personaggi. C’è un’ottima notizia a riguardo: la traduzione di Urban Myth Dissolution Center in lingua italiana è davvero pregevole, sia dal punto di vista linguistico, sia nella puntuale restituzione delle dinamiche della società giapponese contemporanea. Strumento per la risoluzione dei casi sono le parole, più che gli oggetti. Azami è dotata di un taccuino in cui appunta le caratteristiche delle persone che incontra, i loro legami, i dati relativi alle leggende metropolitane coinvolte, più numerose leggende extra che faranno la gioia degli appassionati del paranormale giapponese. Il tutto avviene dopo aver risposto a delle semplici domande che Azami si pone tra sé e sé: il giocatore deve scegliere in una rosa di tre o quattro possibili risposte affinché le informazioni raccolte vengano trasfuse nel taccuino. È naturalmente fondamentale inforcare gli occhiali magici prestati ad Azami da Ayumi Meguriya, capaci di canalizzare e potenziare la psicometria di Azami. In questo modo, potremo intravedere le tracce lasciate da chi, in passato, si è mosso negli ambienti interessati dal fenomeno paranormale in questione. Anche se, solitamente, i casi si risolvono con spiegazioni decisamente più umane che sovrannaturali.

Dicevamo che le domande che si pone Azami sono semplici. Sì: e forse anche troppo. Per arrivare al finale di Urban Myth Dissolution Center non è necessario fermarsi a ragionare: è sufficiente ascoltare le parole dei personaggi, leggere le chiacchiere riportate sui social network, ed esplorare gli ambienti (tratteggiati in una pixel art tanto rozza, quanto pregevole nella resa stilistica complessiva). Nulla di complesso, perché di fatto basta cliccare su ogni punto e personaggio interagibile e su ogni post presente sui social per arrivare poi, naturalmente, alla soluzione del caso, anche grazie ai consigli e alle sezioni di individuazione e dissezione delle leggende metropolitane coinvolte che si svolgono con l’aiuto del direttore del Centro. Ho trovato mal sfruttata la pur ottima idea di direzionare le investigazioni anche sui social: di fatto, è sufficiente utilizzare gli occhiali per illuminare determinate parole presenti nei post, per poi combinarle tra di loro nel motore di ricerca e trovare altri post da cui trarre informazioni. Non c’è nulla più di questo, e il procedimento si traduce in una sequenza di azioni del tutto meccanica.

È un ottimo titolo investigativo entry level: questo è certo. Tuttavia, i temi coinvolti – tra cui la prostituzione, l’aborto, l’omicidio – lo rendono inadatto a un pubblico giovane, forse quello che più avrebbe beneficiato di una simile esperienza. La curva di apprendimento si esaurisce, di fatto, già nel primissimo caso: in seguito non vengono introdotte nuove meccaniche di gioco, e basta ripetere il procedimento imparato per risolvere tutti i misteri successivi, senza che sia necessario mettere alla prova le proprie capacità di ragionamento. In questo senso, i già citati Ace Attorney, ma anche The Case of the Golden Idol e Return of the Obra Dinn sono in grado di fornire delle esperienze decisamente più ingaggianti e appaganti. 

Va detto anche che le singole trame dei casi sono ben più convincenti del “mistero-quadro” più ampio che incornicia e unisce il tutto, e che viene risolto soltanto alla fine dell’avventura. La scrittura si perde talvolta in inutili ripetizioni, accompagnando fin troppo il giocatore. E spesso le leggende metropolitane restano fin troppo sullo sfondo, tradendo un po’ l’ispirazione principale del gioco e – questo credo – anche il motivo principale per cui la gran parte dei giocatori si avvicinerà a Urban Myth Dissolution Center.

Dal punto di vista delle prestazioni, il gioco è impeccabile sia su PC, sia su Steam Deck. Quest’ultima è, a mio avviso, una modalità di fruizione perfetta per il titolo sviluppato da Hakababunko, animato da una colonna sonora che strizza l’occhio all’elettronica giapponese contemporanea e che fa, nel complesso, un ottimo lavoro nell’accompagnare il percorso della protagonista. Ma, alla fin fine, quella di Azami si traduce in un’esperienza forse un po’ troppo guidata per regalare al giocatore il vero brivido dell’investigazione. Immagino sia stato lo stesso che provava Shigeru Mizuki quando si spostava da villaggio a villaggio nel Giappone rurale degli anni ’50 e ’60, per ascoltare storie di mostri e fantasmi dalla voce tremolante delle vecchiette. Se amate l’universo del paranormale, o se siete anche soltanto appassionati di cultura giapponese, Urban Myth Dissolution Center vi offrirà delle storie interessanti e tanto materiale per stimolare la vostra curiosità. L’avventura di Azami Fukurai resta un discreto titolo investigativo, ma dal punto di vista ludico Hakababunko avrebbe potuto osare di più. Perché va bene non essere dei fiumi in piena come Shigeru Mizuki, ma nella vita e nei videogiochi ci vuole carattere. 

Pubblicato il: 12/02/2025

Provato su: PC Windows

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10 commenti

per prima cosa grazie Giulia per avermi fatto scoprire un titolo che non credo sarei mai arrivato a comprare e invece complice delle recensione di Final Round e di uno sconto del PS plus mi son buttato su questo Urban Myth Dissolution center e devo d …Altro... per prima cosa grazie Giulia per avermi fatto scoprire un titolo che non credo sarei mai arrivato a comprare e invece complice delle recensione di Final Round e di uno sconto del PS plus mi son buttato su questo Urban Myth Dissolution center e devo dire che l'impatto è stato più che positivo. Sicuramente la componente investigativa è quasi un orpello ludico però questo mix di X Files, Ghostwire Tokyo e Signora Fletcher in pixel art a suo modo funziona se siete appassionati del genere. Perfetto da giocare tra un mega titolo da 100 ore ed un altro.

Gran pezzo, Giulia. Mi piace come entri nel cuore delle recensioni da ogni lato possibile: stavolta quello emotivo/personale era particolarmente ficcante. Sulla linearità del gioco, avevo già i miei dubbi che fosse la "solita" visual novel maschera …Altro... Gran pezzo, Giulia. Mi piace come entri nel cuore delle recensioni da ogni lato possibile: stavolta quello emotivo/personale era particolarmente ficcante. Sulla linearità del gioco, avevo già i miei dubbi che fosse la "solita" visual novel mascherata da investigativo, ma poco male: con quello stile, tocca esattamente le mie corde. Stasera lo inizio su Switch: ancora complimenti.

Mi chiedevo se esiste una spiegazione nella scelta degli articoli che scelgo di leggere e dai quali vengo coinvolto e quelli che decido di recuperare con calma in un secondo momento.
Certo, l'interesse specifico per alcuni giochi, un titolo intrigan …Altro...
Mi chiedevo se esiste una spiegazione nella scelta degli articoli che scelgo di leggere e dai quali vengo coinvolto e quelli che decido di recuperare con calma in un secondo momento.
Certo, l'interesse specifico per alcuni giochi, un titolo intrigante o una bella copertina possono influire sulla scelta ma poi arrivo in fondo e vedo che esiste una sola "soprannaturale" (per rimanere in tema) spiegazione, leggo: A cura di Giulia Martino

La recensione mi lascia dubbioso, ma essendo appassionato di folklore giapponese e giochi investigativi probabilmente procederò ad acquistare. Approfittando però della sezione commenti ti chiedo, cara Giulia, se hai libri sul folklore giapponese da …Altro... La recensione mi lascia dubbioso, ma essendo appassionato di folklore giapponese e giochi investigativi probabilmente procederò ad acquistare. Approfittando però della sezione commenti ti chiedo, cara Giulia, se hai libri sul folklore giapponese da consigliare. Ancora complimenti per la, come sempre, convincente scrittura

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