KARMA
THE DARK WORLD
O dell'orrore dell'ossessione per il controllo
Karma: the Dark World è uno di quei videogiochi che da anni combatte con le unghie e con i denti per emergere dalla massa informe di titoli indipendenti presentati all’interno delle migliaia di conferenze digitali che si tengono con ostinata costanza dalla pandemia in poi. A guardarlo da lontano sarebbe facilissimo etichettarlo come il solito horror indie da Future Games Show che viene dimenticato a circa dieci secondi di distanza dalla fine del suo trailer, a meno che non siate me e che non vi rimanga impresso per l’enorme quantità di tubi catodici presenti a schermo che vi stuzzicano l’interesse. Esiste, a dirla tutta, una certa fascinazione dura a morire per l’horror analogico all’interno del mercato indie, basti pensare ai vari Mundaun, Signalis, Crow Country e Fear the Spotlight e alla buonissima ricezione di cui hanno goduto da parte del pubblico più appassionato, ma si tratta di una nicchia estremamente affollata in cui trovare spazio diventa progressivamente più difficile. Il titolo d’esordio di Pollard Studio, team cinese basato a Shanghai, ha però sempre avuto dalla sua un immaginario estremamente affascinante e decisamente peculiare.
La verità, però, è che Karma è un’opera estremamente più complessa e stratificata di quanto non sia emerso da trailer e demo.
Gioca nel campionato dei walking simulator in prima persona, anch’essa una nicchia nella nicchia che negli anni è stata capace di partorire videogiochi di tutto rispetto, ma è caratterizzato da un gusto tutto suo e da una direzione artistica di altissimo livello. La storia è quella di Daniel McGovern, agente della psicopolizia di una Germania Est ucronica controllata dalla Leviathan, una compagnia monopolistica che è diretta emanazione di uno stato ossessionato dal controllo dei suoi cittadini. Inviato ad investigare quello che in apparenza sembra un semplice caso di furto nei confronti dell’istituto di ricerca Winston, Daniel si imbatte in una cospirazione inquietante e dai toni paranormali che sembra annidarsi all’ombra dell’occhio vigile di Madre, IA statale che controlla il paese in ogni suo aspetto. L’investigazione lo porta ad immergersi nella mente di Sean e Rachel, due impiegati del centro di ricerca, scavando nella loro psiche alla scoperta del loro passato e del loro ruolo cruciale nella vicenda che vede Daniel come protagonista.
Quello di Pollard studio è un horror diverso, che rifugge con forza i jumpscare faciloni e che pone grandissima importanza sulle atmosfere e sul suo immaginario inquieto e inquietante. Ci sono, al suo interno, delle suggestioni orrorifiche più tradizionali, che però si innestano all’interno di una cornice onirica che rappresenta in assoluto l’elemento più riuscito del gioco. Siamo, per intenderci, più dalle parti di Silent Hill che da quelle di Resident Evil, nonostante Karma: The Dark World peschi a piene mani da titoli più moderni e sfaccettati come P.T., Bioshock e, soprattutto, Alan Wake e Control. Da un lato c’è l’inquietante distopia post sovietica di una Germania Est decisamente più potente e avanzata di quella crollata assieme al muro di Berlino, dall’altro c’è il mondo metafisico della mente tormentata dei suoi abitanti, costretti a vivere sotto il giogo di uno stato tiranno ossessionato dal controllo i cui cittadini sono divisi in classi gerarchiche ben definite che ne limitano le libertà personali. Non è un caso che Daniel faccia parte del Thought Bureau e che si occupi di scandagliare la mente di chi viene ritenuto colpevole di non essere perfettamente allineato ai dettami di Madre e della Leviathan, anche perché questo permette di sondare i sentimenti di un popolo altrimenti muto e costretto ad annullarsi per il bene del paese.
È proprio dalla mente dei suoi protagonisti che emergono i mostri più inquietanti e spaventosi di Karma, al punto che gran parte del gioco la si passa esplorando le terrificanti e dolorose storie personali di Sean e Rachel alla ricerca della verità sul loro coinvolgimento negli strani avvenimenti dell’istituto di ricerca Winston. A dire il vero Karma sembra essere molto più interessato a loro che alla vicenda che li vede protagonisti, lasciando ampio spazio alla storia familiare di Sean e all’infanzia tormentata di Rachel. Si tratta di quello che per me rappresenta contemporaneamente il più grande pregio del gioco e anche il suo difetto più problematico, perché se da un lato emerge una scrittura evocativa e potente, perfettamente capace di rappresentare gli effetti devastanti del sistema sulla psiche dei cittadini costretti dentro un recinto di regole soffocanti, dall’altra fa trasparire una certa confusione nella stesura dell’intreccio. Ho avuto la netta sensazione che Karma volesse fare troppe cose in troppo poco tempo, incastrando frammenti di storie estremamente differenti tra loro una sopra all’altra senza lasciargli lo spazio necessario per districarsi del tutto.
Come usano dire quelli più bravi di me, quindi, la narrazione di Karma: The Dark World vale leggermente meno della somma delle parti da cui è composta, ed è davvero un peccato se si pensa alla qualità enorme di certe sezioni del gioco, soprattutto dal punto di vista delle atmosfere che è capace di generare.
C’è qualcosa di realmente speciale nel mondo post sovietico paranormale creato da Pollard Studio, un mix di architetture brutaliste, fenomeni paranormali a la Control e tecnologie analogiche retrofuturistiche dal funzionamento astruso. Il tutto è peraltro tenuto assieme da una direzione di altissimo livello, che non si inventa mai nulla di particolarmente innovativo dal punto di vista del gameplay (per quanto ci siano almeno un paio di puzzle molto ben pensati) ma che devia sapientemente il gioco dai suoi binari ogni tre per due. Non c’è quasi mai un capitolo simile al precedente, e il merito è di una direzione artistica notevolissima che cambia costantemente faccia al gioco ogni volta che ne ha l’occasione.
Karma: The Dark World è un videogioco camaleontico a cui piace cambiare pelle in continuazione, sovrapponendo prima delle riprese dal vero all’immagine di gioco, poi trasformandosi in un placido acquerello, poi in un horror tradizionalmente disgustoso e dopo ancora in un incubo burocratico brutalista. Certo, come già detto c’è un evidente problema di gestione dei ritmi che finisce per inficiare la leggibilità generale del titolo (problema che si è fatto sentire in special modo nella parte finale), ma che non annebbia la sensazione di trovarsi di fronte ad un team di talento da tenere attenzionato nel futuro prossimo.
Prima di terminare questa recensione vorrei, però, lasciarmi andare ad una piccola riflessione che mi ha tenuto occupato il cervello per tutto il tempo che ho passato immerso nel mondo del gioco. Pollard Studio ha sede in Cina, come già detto, e da un lato non posso che sottolineare quanto trovi affascinante il fatto che un team della repubblica popolare guidata da Xi Jinping abbia voluto creare un mondo così cupamente soggiogato dall’ossessione per il controllo. È evidente che ci siano dei parallelismi molto stretti tra la realtà del gioco e la situazione attuale della Cina, ormai trasformata in una distopia a circuito chiuso in cui ogni cittadino è seguito quasi ovunque dai mille occhi delle telecamere sparse ovunque sul suolo del paese. Madre e la Leviathan sono Xi e la Cina comunista del 2025, con le sue regole e le sue limitazioni spersonalizzanti. Il peso opprimente di uno stato che ha sacrificato privacy e libertà sull’altare del controllo e della sicurezza.
Fa strano vedere come Pollard si sia spinto, forse anche esponendosi a un rischio concreto, fino a raccontare indirettamente una critica feroce al paese in cui opera, soprattutto alla luce di quanto poco sia tollerato il dissenso nel paese che ancora oggi si racconta che in piazza Tienammen non sia successo assolutamente nulla. Allo stesso tempo mi chiedo come sia possibile che un team cinese sia stato in grado di creare un videogioco così tanto europeo nelle dinamiche del racconto e, soprattutto, nell’immaginario. Non mi ha stupito che Rose-Engine (che è un team tedesco) abbia ambientato Signalis in un universo narrativo strettamente collegato alla Germania Est, ma quando a farlo è un team basato nel cuore della Cina il tutto assume sfumature quantomeno più intriganti.
Da un lato va infatti sottolineata la questione per cui le console sono state bandite per anni nel paese, rendendo di fatto inaccessibile una sensibile porzione di cultura videoludica al pubblico cinese. Così come fu per Eastward e le sue palesi ispirazioni a videogiochi come Mother e Dragon Quest, Karma mi ha stupito nel modo in cui cita con grande consapevolezza certe dinamiche “classiche” degli horror psicologici, figlie di un’evidente conoscenza approfondita della materia in esame. Dall’altro non si può che ammirare la forza e il coraggio di chi da dentro un regime opprimente e ossessionato dal controllo ha deciso di lanciare un’accusa feroce alle sue dinamiche sociali e governative, citando apertamente 1984 e schierandosi in maniera plateale contro certe dinamiche del mondo post comunista.
Karma: The Dark World è un videogioco inusuale e pieno di sorprese, capace come pochi di sovvertire le aspettative iniziali del pubblico e dotato del coraggio necessario di andare per la propria strada infrangendo delle convenzioni spesso viste come intoccabili. È anche un’opera prima acerba e piena di difetti spesso anche molto evidenti, ma che lascia trasparire un gusto estetico e un talento che meritano di essere coltivati nel tempo, magari anche all’esterno dell’affollatissimo panorama horror. Non fermatevi alle primissime impressioni, perché quello di Pollard Studio è un videogioco ricchissimo di suggestioni e idee variegate e stimolanti, seppur sorrette da una narrativa che a volte sembra avere troppa fretta di arrivare ai titoli di coda senza concedersi il tempo di far decantare per bene i segmenti di trama più complessi. Il prezzo di questa fretta lo si paga verso la fine, quando Karma tenta di inanellare una serie lunghissima di rivelazioni sconvolgenti una in fila all’altra in un periodo di tempo troppo breve perché il risultato finale risulti comprensibile fino in fondo. Nonostante questo, però, io mi sono innamorato della voglia di Pollard Studio di creare esperienze non convenzionali, e mi auguro con tutto il cuore di vederli presto all’opera su un nuovo videogioco forti dell’esperienza accumulata durante lo sviluppo di Karma: The Dark World.
Cosa resta, quindi? Forse la sola consapevolezza che al di sotto di quel mare magnum di progetti ambiziosi e spacca-industria come Phantom Blade 0, Wuchang: Fallen Feathers o Tides of Annihilation in Cina esiste un intero sottobosco ancora poco esplorato di studi indipendenti che stanno sgomitando ferocemente per trovare un palcoscenico su cui esibirsi in cerca di un pubblico pronto ad ascoltare cosa hanno da dire. Pollard Studio ha sfruttato il piccolo spiraglio di luce che è riuscito a guadagnarsi per raccontare una storia tanto confusa quanto profonda, che lascia trasparire il bisogno di parlare del presente distopico di un paese diventato in brevissimo tempo una superpotenza mondiale a scapito della salute dei propri cittadini. Anche a fronte dei tanti errori presenti in questo debutto, quindi, credo che siamo di fronte ad un’opera estremamente ambiziosa e preziosa, che meriterebbe anche solo un briciolo di considerazione da parte del pubblico troppo spesso ammaliato dai progetti che imitano i tripla A convenzionali. Ne abbiamo tutti da guadagnare.
Pubblicato il: 27/03/2025
Provato su: PlayStation 5
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