SONOKUNI
Tutti i rischi di essere indipendenti. E rapper.
Se dovessi riassumere in una sola parola il mio amore per i videogiochi indipendenti non ho dubbi sul termine a cui mi affiderei: rischio. Fu Hotline Miami, scoperto completamente a caso durante gli anni dell’università, a farmi scoprire il concetto di indie ormai dieci anni fa, e da quel giorno sono rimasto stregato da una quantità incalcolabile di piccole produzioni orgogliosamente alternative che rivendicavano il loro essere differenti dall’industria dei grandi blockbuster Tripla A. A farmi sbarellare era la voglia di tentare approcci innovativi, di sperimentare e, soprattutto, di prendersi dei rischi. Perché è facile (che poi non è vero e sto semplificando enormemente, ma spero capiate il discorso generale) sviluppare l’ennesimo action open world gigantesco, mentre inventarsi qualcosa di nuovo è tremendamente più rischioso. Ed eccitante. A distanza da quasi dieci anni (sigh) dal mio primo incontro con Hotline Miami mi è passato sotto il naso il trailer d’annuncio di un videogioco che mi ha ricordato tantissimo l’esordio folgorante di Dennaton Games. Sonokuni è anch’esso un esordio, in questo caso di Don Yasa Crew. E sì, come fa ben intendere il nome, Don Yasa Crew è una crew di rapper, DJ e graffitari giapponese che si è riscoperta appassionata di videogiochi.
Il mio interesse nasce proprio da qui, perché leggendo delle interviste a Don Yasa Crew sono rimasto terribilmente affascinato dal fatto che gli sviluppatori di Sonokuni vengono da un mondo molto diverso da quello che tradizionalmente è associato ai videogiochi. È gente che ha fatto musica, ha imbrattato muri e ha masticato cultura hip-hop fino all’altro ieri e che nel 2019 ha deciso di lanciarsi in una nuova avventura. Hanno deciso di rischiare.
Se da un lato era ovvio aspettarsi che la colonna sonora sarebbe stata composta interamente dal gruppo, dall’altro il setting e l’estetica di Sonokuni sono stati una sorpresa notevole. Parliamo di un videogioco in pixel art di ambientazione folkloristica al cui interno si sversano quantità notevoli di suggestioni “bio-punk” che raccontano il conflitto che fa da motore alla trama del gioco. Parliamo infatti di un videogioco che affonda le sue radici nel folklore mistico del Giappone per raccontare una storia di conflitto ideologico, mescolando quindi tra loro tradizione rurale e innovazione biomeccanica, il tutto accompagnato da una colonna sonora hip-hop che stride piacevolmente con ambientazioni e presentazione generale. Un rischio, per dirla in breve, che almeno in parte paga grazie ad una resa tutto sommato molto personale.
La storia è quella di Takeru, assassina della tribù di Sonokuni, e della sua guerra con la tribù di Wanokuni. Quella di Sonokuni è infatti una civiltà rurale e tradizionalista, legata ai miti e alle tradizioni della sua storia millenaria, che si è trovata ad un certo punto in conflitto con il popolo di Wanokuni, che ha invece abbracciato il progresso abbandonandosi ad una serie di mutazioni biomeccaniche che li ha visti fondersi alle piante per creare una nuova tipologia di vita. Il gioco si muove ai margini di un conflitto che viene descritto come lungo e sanguinoso, conclusosi con l’avvicinamento delle tribù voluto dalal popolazione di Wanokuni che si offre di aiutare la tribù di Sonokuni a trascendere la propria umanità proprio come hanno fatto loro in passato. Takeru, però, tutto questo non lo vuole accettare in nessun modo perché quelli di Wanokuni, rinunciando alla loro umanità, hanno rinunciato anche al loro essere individui, fondendosi in quella che viene raccontata quasi come una gigantesca mente alveare in cui il singolo non ha più alcuna importanza. Quello del progresso è un prezzo che la protagonista non vuole assolutamente pagare, al punto che la notte si reca di nascosto nelle terre confinanti a quelle della sua tribù per massacrare più wanokuniani che può.
Si tratta, a dirla tutta, di un incipit che sa essere anche parecchio affascinante, però a mancare è, purtroppo, proprio tutto il resto. Sonokuni è un action isometrico molto vicino all’idea che sorregge il gemplay di Hotline Miami: Takeru si muove rapidamente tra stanze e ambienti di Wanokuni e deve sopravvivere agli assalti degli autocotoni, che le si scagliano addosso con violenza. È possibile attaccarli normalmente, rallentare il tempo per parare i loro colpi, deviare i proiettili che le vengono sparati addosso o addirittura defletterli per rispedirli al mittente. Oltre a questo, però, ci sono anche dei nemici i cui colpi sono impossibili da evitare e che vanno quindi uccisi prima che possano attaccare mortalmente la protagonista: vale, dopotutto, la regola per cui Takeru non può sostenere nemmeno un colpo nemico senza venire uccisa, quindi sono richieste rapidità e grande precisione. Tutto questo si rivela in realtà piuttosto confusionario (per quanto comunque gestibile grazie alla natura trial and error del gioco) e poco intrigante, colpa da un lato dalla sporcizia generale dell’immagine che spesso non rende immediatamente comprensibile il layout degli ambienti e dall’altra del fatto che Sonokuni non trasmette nessun tipo di senso di progressione con il proprio gameplay.
Si arriva in fondo con le stesse identiche abilità di combattimento con cui si inizia, limitandosi a provare e riprovare ogni istanza di combattimento fino a che per bravura o per fortuna non si riesce a pulire il quadro e a proseguire nelle imboscate alla tribù nemica. Alla fine degli sbudellamenti ultraviolenti si può poi accedere a delle fasi narrative estremamente semplici sia nella scrittura che nello svolgimento che permettono di fare un po’ di chiarezza sulle motivazioni che spingono Takeru a uccidere e sul suo rapporto con la propria tribù.
Esiste purtroppo una separazione estremamente netta tra fasi di gameplay e fasi narrative, sintomo di poca dimestichezza con il game design e di una certa ingenuità di fondo che vanno a minare l’esperienza. Sonokuni è, di fatto, un gioco ripetitivo e confuso, in cui gameplay e narrativa non riescono a parlarsi e procedono su due rette parallele che non si incontrano mai. Oltretutto le bossfight non riescono a sfruttare il combat system del gioco, e a mio parere sono uno degli elementi più deboli di tutta l’esperienza, che per quanto breve avrebbe potuto beneficiare di una struttura un pelino più profonda.
Insomma, evviva i rischi ed evviva le cose strane che cercano di trovare la propria strada per brillare, ma Sonokuni non è un videogioco che ricorderò come uno di quelli più interessanti di questo 2025. Un po’ mi spiace, perché l’idea di una crew di rapper che si reinventa developer e che considera questo come uno dei passaggi cruciali della propria carriera mi fa quantomeno tanta simpatia, però il risultato finale mi ha lasciato freddo. Si vede eccome che le intenzioni erano le migliori, ma siamo di fronte ad uno delle più evidenti applicazioni reali del detto secondo cui tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
Solo che in questo caso il mare è un mare di noia.
Pubblicato il: 15/04/2025
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