BLUE PRINCE
RECENSIONE
“Se non puoi liberarti dello scheletro di famiglia, tanto vale farlo ballare”
Da Immaturità, di George Bernard Shaw
Tante grandi storie si concludono – e perdurano nei secoli – con un testamento. Giuseppe Garibaldi di testamenti ne lasciò due: uno relativo ai suoi affari terreni, e uno di carattere politico. Nel primo, tra le altre cose, dettò disposizioni dettagliatissime circa la sua salma: “Il mio cadavere sarà cremato con legna di Caprera nel sito da me indicato con asta di ferro ed un pizzigo di cenere”, scriveva nel 1881. “Sarà chiuso in urna di granito e collocata nella tomba delle mie bambine sotto l’agaccio ivi esistente. La mia salma vestirà camicia rossa – La testa, nel feretro, o lettino di ferro – appoggiato al muro, verso tramontana – con volto scoperto – i piedi all’asta”. E precisava che a un eventuale, futuro marito di sua figlia Clelia nessun diritto sarebbe dovuto spettare sui beni a lei lasciati dall’illustre papà. Paradossalmente, Giuseppe Verdi, la cui vita fu fatta di musica, chiese di essere ricordato nel massimo silenzio: “Ordino che i miei funerali siano modestissimi e siano fatti allo spuntar del giorno o all’Ave Maria di sera senza canti e suoni”. Tra i testamenti più concisi della Storia possiamo di certo annoverare quello del poeta Giovanni Pascoli, che dinanzi al notaio bolognese Gaetano Angeletti, alle ore sedici del pomeriggio di mercoledì 3 aprile 1912, dispose quanto segue: “Nomino mia erede universale mia sorella Maria detta ‘Mariù’”. Punto. Tra i più suggestivi vi è quello di Luigi Pirandello: “Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta”.
Ma il mio preferito è da sempre quello di Giorgio Ambrosoli, un onesto avvocato milanese esperto di quello che una volta si chiamava “diritto fallimentare”. Nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e delle attività del banchiere Michele Sindona, uno dei personaggi più foschi della Storia italiana, Ambrosoli scrisse quello che ora è noto come suo “testamento spirituale” alla vigilia del deposito dello stato passivo della BPI (“atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica”). “È indubbio che – in ogni caso – pagherò a molto caro prezzo l’incarico”, scrisse l’avvocato. “Lo sapevo prima di accettare e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese”. Parla quindi dei tre figli: “Francesca dovrà essere più forte, più dura, più pronta”. “Filippo [...] dovrà essere più morbido, meno freddo ma sono certo che diventerà un ottimo ragazzo e andrà benone nella scuola e nella vita”. “Umberto non darà problemi: ha un carattere tale ed è così sveglio che non potrà che crescere bene”. Le ultime righe sono per la moglie Anna: “Sarà per te una vita dura ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere, costi quel che costi”. Ad Ambrosoli, il dovere costò molto caro: quattro colpi di 357 Magnum dal malavitoso italo-americano William Joseph Aricò, soprannominato “Billy lo sterminatore”, che prima di sparare all’avvocato gli chiese scusa, spiegandogli che non si trattava di nulla di personale. Il costo della vita di Giorgio Ambrosoli fu pari a 115.000 dollari, di cui 25.000 in contanti e 90.000 accreditati con bonifico su un conto bancario svizzero. A pagare fu Michele Sindona. Nessuna autorità pubblica partecipò ai funerali di Ambrosoli. Di lui, Giulio Andreotti disse: “È una persona che, in termini romaneschi, se l’andava cercando”.
In Blue Prince, un testamento è invece il punto di partenza dell’avventura. Nella cinematica iniziale, ascoltiamo la voce del defunto Barone Sinclair mentre legge le sue ultime volontà: la sua villa a Mt. Holly andrà al suo giovanissimo pronipote, Simon P. Jones, appena quattordicenne, a condizione che riesca a trovare la misteriosa stanza quarantasei. Quella che segue è un’avventura che resterà negli annali della Storia dei videogiochi. Al momento in cui scrivo, ancora emozionata per aver finalmente visto i titoli di coda, l’opera prima di Dogubomb meritatamente siede sul trono di Metacritic di quest’anno con un incredibile 93, seguito a ruota da Split Fiction (91), The Talos Principle: Reawakened (91), Monster Hunter Wilds (88) e Kingdom Come Deliverance II (88). In una recente intervista rilasciata a Jason Schreier per Bloomberg, Tonda Ros, Game Director di Blue Prince, ha raccontato il lungo viaggio che ha portato all’uscita del suo primo videogioco: otto anni in tutto, di cui due trascorsi a strutturare e disegnare le stanze di cui è composta la villa del Barone Sinclair.
“Non andare dove ti porta la strada. Abbandona la strada e vai dove vuoi che ti porti”, recita la lettera lasciata dal barone a suo nipote all’ingresso del maniero. Inizialmente mi è parsa una frase da Baci Perugina; dopo qualche ora di gioco, ho capito che si trattava dell’unico approccio sensato a un videogioco a enigmi dotato di elementi roguelite che è rapidamente riuscito a strappare dal mio cervello ogni parvenza di sanità mentale. Pensavo al percorso giusto da compiere per arrivare alla stanza quarantasei mentre facevo la doccia, mi asciugavo i capelli, quando andavo a dormire, durante le mie sessioni di sollevamento pesi, addirittura durante la scrittura degli atti notarili in compagnia dei quali trascorro la gran parte delle mie giornate. Credevo fosse una villa, invece era un labirinto mentale, un’ossessione come non ne provavo da anni. E la trappola più bella in cui sono caduta nel 2025.
Blue Prince è strutturato in giornate. Partendo dall’ingresso, dobbiamo tracciare il nostro percorso all’interno della villa pescando tra tante possibili stanze ogni volta che ci avviciniamo a una porta. Ci sono stanze con tante uscite, vicoli ciechi, sotterranei e osservatori; e poi cucine, corridoi, uffici, laboratori; tombe, ascensori, piscine, miniere. E (quasi) tutto si resetta al finire della giornata, ossia quando il giovane Simon ha esaurito il numero di passi a sua disposizione: salvo casi particolari, l’ingresso in ogni stanza costa un passo. Nel “quasi” risiede l’elemento roguelite di Blue Prince, perché alcune stanze e luoghi della villa diventando accessibili in maniera permanente, senza variazioni giornaliere, all’avvenire di eventi specifici. E mettere alcuni punti fermi è fondamentale per rendere più agevole il difficile percorso che condurrà il giovane erede del barone alla stanza quarantasei. Altro elemento che non cambia è la piantina generale della villa, articolata in nove file formate da cinque stanze ciascuna.
Non sono rimasta stupita nel leggere nell’intervista sopra citata che Tonda Ros ha impiegato due anni per completare la fase di concepting delle stanze. Dalla descrizione che ho fatto sopra, Blue Prince potrebbe sembrare tutto sommato piuttosto semplice: una sorta di serpentina nei meandri della villa, una partita a scacchi con il destino giocata piazzando saggiamente corridoi, cucine e camere da letto per articolare il cammino verso l’obiettivo finale. Non è così. Percorrendo la casa – in cui sembra non essere presente nessuno, a parte Simon, di cui vestiamo i panni con un’azzeccatissima visuale in prima persona – ci rendiamo presto conto che osservare a lungo le stanze è fondamentale per proseguire. Ed è essenziale anche gettare uno sguardo fresco sugli stessi spazi a distanza di tempo. Perché ciò che accumuliamo con il passare dei giorni è la conoscenza dei singoli elementi, delle stanze, appunto, e degli enigmi che contengono, puntualmente correlati ad altri spazi.
È per questo che uno dei tanti foglietti presenti nella villa consiglia di utilizzare un quadernino. Diventerà il vostro amico più fidato, nonché il depositario di una miriade di segreti e di molliche di pane, tracce di misteri che possono richiedere settimane di tempo in-game per la loro risoluzione. Si spazia dagli enigmi logico-matematici alle informazioni contenute in sequenze di lettere, passando per le parole di strani giocattoli animati dal tintinnio di una moneta. Scoperte e sorprese godono di un impeccabile contrappunto per mano di una colonna sonora curata da un duo jazz olandese con un piede nell’elettronica, Trigg & Gusset, che riesce ad animare la villa persino nei suoi lunghi silenzi.
Ecco perché anche soltanto una nota di clarinetto può scuotere in profondità l’animo del giocatore che entra per la prima volta in una stanza mai vista prima.
Lo spunto che ha portato alla nascita di Blue Prince è venuto da Gone Home (2013), avventura grafica ospitata da una magione nell’Oregon. Anche in questo caso si trattava di una casa silenziosa, segnata dall’indagine della protagonista sulla sorte della sorella, e da una fitta trama di non detti che aveva segnato il percorso di un’intera famiglia. Quattro anni dopo uscì What Remains of Edith Finch, altra memorabile esplorazione di una casa e di una famiglia, animata da un utilizzo riuscitissimo del realismo magico.
Nel 2021, in Unpacking abbia compreso una volta in più quanto si possa dire in un videogioco grazie al suo stesso gameplay, senza bisogno di parole: la storia di una vita è raccontata attraverso la sistemazione degli oggetti che la protagonista porta con sé di trasloco in trasloco.
Sono giusto alcuni esempi che fanno intravedere le mille sfumature di uno dei luoghi più ambigui e potenti della vita di ciascuno di noi: la casa. Basti pensare a quanto sono state drammaticamente differenti le esperienze di ognuno quando siamo stati costretti per legge, qualche anno fa, a restare chiusi in casa per mesi.
Nella sua raccolta di saggi dal titolo Vers une Architecture, pubblicata per la prima volta nel 1923, l’architetto franco-svizzero Le Corbusier scriveva che la casa è una macchina dentro cui vivere. Per alcuni è una comoda Ferrari, per altri è una trappola mortale. Altri ancora non possono neanche lontanamente permettersi di pensare di possedere una casa propria. E se si ha la fortuna di ereditarne una, bisognerà imparare a convivere con gli scheletri di famiglia. Che spesso non ne vogliono sapere di restare nell’armadio. Blue Prince è un’esplorazione profonda e convincente delle viscere più oscure dell’organismo che chiamiamo famiglia; è un gigantesco puzzle dalla superficie liscia e patinata, ma che nasconde una miriade di misteri, intrighi e non detti nel retro delle sue tessere; ed è, senza ombra di dubbio, una delle opere più memorabili di questo 2025.
Pubblicato il: 16/04/2025
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