ENTIMENT
PENTIMENT
Scholta o figliolo i Comandamēti del Maistro: e iclina le orechie del tuo Chuore: e volentieri recevi le Amoniocion del tuo piatoso Padre.
Pentiment è un prodotto complesso. O forse farei meglio a dire: faticoso.
Non tanto perché sia difficile da giocare o da incasellare in una specifica categoria. Anzi, per “catalogare” Pentiment secondo gli schemi classici del videogame ci si mette un attimo: l’ultima opera di Obsidian è un’avventura testuale di stampo investigativo, una sorta di libro interattivo incentrato su un mistero da risolvere, con scelte multiple che alterano (marginalmente) lo svolgimento della storia e le interazioni fra i personaggi.
Eppure, per entrare in sintonia con Pentiment serve una certa predisposizione all’approfondimento, alla ricerca e all’interpretazione: proprio come se fossimo di fronte a un massiccio tomo medievale, da esplorare con i mezzi e i precetti della storiografia. Se questo tipo di curiosità accademica non vi manca, e soprattutto se avete qualche nozione di storia medievale, umanistica e moderna, Pentiment vi farà innamorare fin dal suo incipit.
Pochi minuti dopo i titoli di testa, infatti, il gioco mette in scena un dialogo immaginario con vari personaggi leggendari della tradizione medievale: la Beatrice della Commedia, il patrono dei villici San Grobiano, Socrate - in quanto depositario della conoscenza classica - e il Prete Gianni, mitologico sovrano di una nazione cristiana nelle terre d’oriente.
Credo che basti questo paragrafo per darvi un’idea dell’approccio di Pentiment e del suo rapporto con la cultura del XIV e XV secolo: tra i personaggi che ho citato ci sono riferimenti colti, non certo nozioni d’uso comune, e il gioco non si prende neppure la briga di spiegarli. Presuppone anzi che il giocatore li conosca... o spera che almeno decida di andarseli a cercare, nel tentativo di orientarsi con maggiore agilità nella fitta rete di citazioni che il team di Josh Sawyer ha messo in piedi.
Per quanto oggi sia facile accedere ad una mole sconfinata di informazioni sugli elementi che fanno da cornice a Pentiment, credo che chi non ha una formazione di stampo umanistico finirà comunque per perdersi qualche sfumatura.
Sull’inizio che ho appena citato – o meglio sulla sua funzione – si potrebbe ad esempio dilungarsi molto, spiegando che l’obiettivo è quello di delineare un microscopico “canone medievale”, un elenco di opere che rappresentino i valori e le spinte culturali (signorile e popolare, laica e religiosa) che convivono e si intrecciano alla fine del basso medioevo. Perdonatemi se rimando un altro po’ la discussione sulle caratteristiche del gioco e sulla storia, ma la materia di Pentiment mi appassiona personalmente e vorrei farvi capire perché ritengo così prezioso il prodotto di Obsidian al di là dei meriti (o demeriti) del racconto e delle meccaniche. Le battute iniziali di Pentiment sono importanti anche perché si focalizzano sul dialogo non tanto come strumento retorico, ma come specifico genere letterario: una sorta di trattato filosofico e morale in cui l’autore parla con grandi personaggi, reali o immaginari, per esporre o confutare varie tesi. Oggi può sembrare un semplice esercizio di stile, ma a quei tempi il rapporto diretto con i propri “padri letterari” era molto sentito e trascinante; la convinzione era quella che lo studio dei testi e una formazione umanistica permettessero davvero di parlare in maniera diretta e paritetica con chi aveva lasciato un segno nella cultura e nella letteratura. Mi concedo un altro esempio, per farvi capire quanto l’approccio creativo di Pentiment sia ricercato e sottile. La prima interazione del giocatore avviene sulle pagine di un tomo miniato, cancellate con una pietra pomice. Il gioco non lo dice mai esplicitamente, ma sta simulando l’operazione di raschiatura, con cui spesso e volentieri nei monasteri si “riciclavano” i manoscritti. La pergamena era molto costosa, spesso più preziosa dei contenuti che ci venivano vergati sopra; in quei casi era normale cancellare, con un colpo di pietra o di coltello, appunti di viaggio, libri contabili, cronache poco accurate, testi amatoriali. Viene quasi da chiedersi se la vita di Andreas Maler, il protagonista di Pentiment, avrebbe meritato di essere consegnata alla storia oppure all’oblio…
Arrivando al gioco, devo dire che il primo impatto con Pentiment è leggermente straniante, e non per il suo approccio orgogliosamente testuale. Sono sempre di più i videogame che mettono il testo al centro della scena - da Citizen Sleeper a Norco, passando per l’incredibile Disco Elysium – ma in questo caso la lettura viene accompagnata dal suono incessante della penna che graffia la pergamena, senza nessun altro accompagnamento musicale. Devo ammettere che in più di un’occasione questa lieve cacofonia risulta un po’ fastidiosa: un sottofondo musicale avrebbe forse ammorbidito l’esperienza, come dimostrano i momenti incredibilmente evocativi in cui risuonano cantici in latino e altri componimenti originali.
La scelta di sottolineare in maniera così decisa questi suoni è legata alla volontà di portare l’attenzione del giocatore sulla scrittura, intesa come atto al contempo comunicativo, culturale, artigianale. Questo è proprio uno dei temi che Pentiment affronta con grande eleganza e inventiva, utilizzando i vari stili di scrittura e i differenti caratteri per distinguere i villici dagli studiosi, e questi ultimi dai monaci e dagli amanuensi.
Lo stile della scrittura (volendo si può persino attivare la grafia della “s lunga” tipica della minuscola carolingia) in pratica serve per caratterizzare le classi sociali e i registri, e non è inusuale che qualche personaggio non cambi grafia quando, invece di parlare con il Maestro Maler in tono più formale, si lascia andare a una chiacchiera con i propri compaesani.
C’è di più: persino nella sperduta cittadina di Tassing si sta diffondendo la stampa a caratteri mobili, e i dialoghi di chi la conosce e la promuove si manifestano sullo schermo come se fossero impressi dal torchio, dopo esser stati composti “in negativo” con una sfilza di letterine di piombo. Visto che siamo arrivati alla stampa, forse è il momento di affrontare un altro argomento fra quelli centrali nel racconto di Pentiment, ovvero la grande rivoluzione culturale che si è verificata alla fine del XIV secolo.
Per ora ho sempre parlato di Medioevo, ma la verità è che il racconto di Pentiment è formalmente ambientato in piena età moderna, dal momento che comincia nel 1518. Non credo di aver sbagliato a parlare di cultura medievale, perché la storia scritta da Sawyer parla proprio di come, progressivamente, quell’impianto culturale venne messo in crisi e sostituito. L’invenzione della stampa non rappresenta solo un progresso tecnico ma anche un poderoso “cambio di potere”, visto che la conservazione, la riproduzione e la divulgazione dei testi cessarono di essere prioritariamente controllate delle abbazie e del mondo ecclesiastico. Pentiment parla anche di questo: di come si diffusero le tesi di Lutero, di come le idee cominciarono a circolare più liberamente, di come queste idee abbiano potuto diffondersi e generare moti di rivolta che hanno sfidato, criticato e persino sovvertito l’assetto del potere presente in epoca medievale. Forse Pentiment, a guardarlo bene, è un gioco sulla forza liberatoria della cultura e del testo, e sulle forme di censura che ogni autorità rischia di operare.
Come dicevo c’è anche un mistero da risolvere, in Pentiment. Anzi: più di uno. Una serie di omicidi che sconvolgono, in due momenti storici diversi, la comunità di Tassing e l’abbazia di Kiersau, e su cui Andreas Maler dovrà indagare.
È qui che si manifesta, in un primo momento, la parte più ludica di Pentiment, il suo carattere investigativo ed enigmistico. Il funzionamento di queste fasi resta molto semplice nelle premesse: Andreas ha un tempo limitato per svolgere le proprie indagini, prima che l’Arcidiacono si presenti per il giudizio o che il tribunale del popolo reclami il suo colpevole. Col tempo che scorre inesorabile il giocatore potrà inseguire soltanto alcune delle piste che potrebbero condurre a indizi centrali per la risoluzione del caso. L’obiettivo è quello di scegliere le tracce più fertili e promettenti, ma anche quello di usare le proprie conoscenze e l’arte della retorica per orientare le scelte dei cittadini e dei frati, e farsi magari raccontare qualche segreto. Scandite secondo la regola delle “ore canoniche”, le giornate scivolano via rapide, mentre Andreas percorre le ampie sale dell’abbazia, cammina nel chiostro interno e osserva i banchi dello scriptorium. Non serve troppo tempo per rendersi conto, anche grazie alle mappe del villaggio e del monastero, che l’intento di Obsidian è proprio quello di realizzare Il Nome della Rosa del mondo videoludico (un po’ come Spec Ops: The Line voleva essere un Cuore di Tenebra interattivo). Chi conosce l’opera di Eco (ma anche l’adattamento cinematografico diretto da Jean-Jacques Annaud) potrebbe trovare alcune soluzioni narrative un po’ depotenziate, e un paio di colpi di scena meno efficaci, perché anche a livello di racconto e caratterizzazione di certi personaggi ci sono “calchi” e sovrapposizioni che riducono un po’ l’originalità di Pentiment. Poco male: nel mondo dei videogiochi non c’è quasi niente di paragonabile all’opera di Obsidian, neppure quell’Inkulinati che viene erroneamente confrontato con Pentiment ma che in verità si limita a recuperare l’estetica dei codici miniati e dei loro marginalia. Durante la risoluzione dei casi si innesca un senso di sfida stimolante, e il giocatore è spinto a portare avanti le indagini con metodo e curiosità. L’approccio di Pentiment è però diametralmente opposto a quello di altri titoli investigativi, che tendono a rassicurare l’utente sulla legittimità delle proprie conclusioni.
Con un paio di accorgimenti narrativi molto eleganti Pentiment lascia invece una libertà integrale nella conduzione delle indagini, e dissemina indizi che non sono mai conclusivi ma che vanno sempre interpretati. In questo modo il giocatore si sente davvero responsabile delle proprie scelte, nel senso più pieno e potente del termine: non c’è una scelta giusta che permette di proseguire, ma solo una scelta consapevole. Il livello di questa consapevolezza dipende dall’attenzione e dalla diligenza con cui si è condotta l’indagine: l’impegno, la focalità, la ricerca sono insomma l’unico strumento che permette di sentirsi più sicuri delle proprie decisioni di fronte al tribunale della Storia o – nell’ottica di Andreas Maler – di fronte al giudizio divino. Tanto è affascinante questo approccio, imperante nelle prime fasi dell’avventura, quanto è invece più rinunciataria tutta la parte finale, che altera integralmente meccaniche di gioco e abbandona del tutto la dimensione investigativa, per concentrarsi invece su argomenti che definirei più… storiografici. Invece di focalizzarsi sulla risoluzione di un ultimo caso, alla ricerca di un misterioso burattinaio che potrebbe aver giocato con le vite degli abitanti di Tassing, al giocatore viene chiesto di decidere come raccontare la storia della città, indagando sulle sue origini pagane, sui miti dei santi che la proteggono, e sulle imprese e le controversie degli uomini che l’hanno fondata e fatta prosperare.
Anche in questa parte finale ci sono delle prospettive interessanti, ma cambia completamente il tono e l’investimento che è richiesto al giocatore. Si potrebbe dire che tutta la conclusione ragiona di quanto sia difficile raccontare la storia e interpretare le fonti, perché ogni fonte rappresenta di fatto una lettura degli eventi in qualche modo polarizzata dall’orizzonte etico, spirituale e culturale dell’autore. Ogni punto di vista è parziale, raggiungere la totale neutralità è impossibile. Forse Pentiment pone anche una domanda a tutti quanti noi, infinitesimali testimoni della Storia: nel tramandare i fatti, i personaggi, le idee, è giusto ricercare una posizione innocua, che tenga conto delle esigenze di tutti, oppure è meglio schierarsi e far risaltare quello che per noi conta di più? Mi piace pensare che giocando a Pentiment ognuno possa dare la sua risposta.
"This particular period in time is interesting because it’s a time of social unrest; the German peasant’s lifestyle was rather chaotic and the reformation that preceded it was tangled with that unrest in a lot of interesting ways."
Josh Sawyer (Kakuchopurei)
Per quanto interessanti possano essere queste fascinazioni, tuttavia, è innegabile che il cambio di registro dell’ultima parte lasci un retrogusto amaro. Sarebbe stato interessante seguire le tracce del burattinaio, scoprirne le macchinazioni, cercare gli indizi per metterlo all’angolo, invece di vedere i suoi imbrogli esposti in maniera del tutto passiva. Nella parte finale Pentiment sceglie invece di procedere linearmente, conduce al colpo di scena senza nessuna alternativa o digressione, e smette di essere un testo interattivo per essere invece un testo puro e semplice. Non mi sento di definire quello di Pentiment un finale sprecato, perché credo che la penna di Sawyer e i temi che affronta bastino a lasciarlo impresso nel cuore, a salvarlo dalla “raschiatura” della memoria. Avrei solamente voluto sentirmi più partecipe… forse perché avevo annotato, mentalmente, tutte le tracce che avrebbero portato al vero colpevole. Sarebbe stato bello poterlo “dimostrare” al gioco, e invece bisognerà accontentarsi della stessa soddisfazione di risolvere un giallo prima di leggerne il capitolo finale.
In fin dei conti considero Pentiment un gioco interessante e prezioso. È importante che esista un prodotto così: il talento di un grande team (e di un grande scrittore) viene messo al servizio di un gioco contenuto, senza la complessità produttiva di un kolossal.
Un gioco più “agile”, che con il suo carattere unico dà spessore e personalità all’offerta di tutto l’ecosistema. Credo che un titolo che solleva certi interrogativi, e ti permette di parlare di rivoluzioni culturali, dimensione spirituale nel Medioevo e trasognati dialoghi di un antico umanista, abbia dei meriti che tutti dovremmo celebrare.
Se è vero che il videogioco deve sforzarsi di integrare nella sua sfera nuovi temi, materiali diversi da quelli già troppo “consumati”, altri spunti estetici e riferimenti culturali, Pentiment compie un grande servizio a questo medium. Giocatelo – leggetelo! – e usatelo come spunto per andare oltre: per scoprire o riscoprire, oltre alla storia di Andreas Maler, la Storia dei suoi tempi.
Pubblicato il: 15/11/2022
Provato su: PC Windows
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